25 maggio: la Colombia elegge il suo presidente

di David Lifodi

Le imminenti elezioni presidenziali colombiane, in programma il prossimo 25 maggio, si prospettano come un vero e proprio rompicapo in uno dei paesi più complessi, dal punto di vista sociale e politico, del continente latinoamericano. Dall’esito delle urne, inutile nasconderselo, dipenderà anche il negoziato di pace in corso all’Avana tra lo stato e i guerriglieri delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc): attualmente è stata raggiunta un’intesa di massima su alcuni punti, ma sono molti gli aspetti su cui la guerriglia ha dichiarato tutta la propria insoddisfazione, soprattutto nell’ultimo periodo.

Ad aggiungere pepe alle presidenziali colombiane c’è anche l’esito delle legislative dello scorso marzo, che hanno certificato il ritorno in grande stile di Álvaro Uribe sulla scena politica. Come noto, l’ex presidente punta ad essere eletto al Congresso e a piazzare un suo uomo, Óscar Iván Zuluaga, a Palacio Nariño: quest’ultimo, tra i fondatori del Partido de la U, lo ha abbandonato per passare, armi e bagagli, con lo stesso Uribe. L’ex presidente ha rotto da tempo con il suo delfino, l’attuale mandatario Juan Manuel Santos, ed ha fondato un proprio partito, il Centro Democratico, capace di conquistare ben 19 seggi alla prima uscita pubblica, solo due in meno del Partido de la U, quello di Santos. La rottura tra Santos e Uribe è avvenuta proprio sull’opportunità di aprire o meno un dialogo con la guerriglia. Il primo ha scelto la strada della trattativa, pur se caratterizzata da numerose ambiguità, mentre Uribe ha sempre rifiutato il dialogo: per lui l’unica opzione possibile è sempre stata quella dell’opzione armata e, nel caso in cui Óscar Iván Zuluaga giunga alla presidenza, le trattative subirebbero un brusco arresto. Al tempo stesso, la mesa de diálogos continua a lasciare insoddisfatte le Farc: Andrés París, uno dei portavoce della guerriglia, ha definito con sarcasmo Santos come el candidato marioneta. Le Farc non si fidano del reale desiderio di pace di Juan Manuel Santos evidenziando che, dall’inizio della campagna elettorale, il presidente colombiano non ha più menzionato la parola pace, anzi, sembra voler spingere su un fumoso Tratado para la Regularización de la Guerra al posto di un cessate il fuoco bilaterale. Per un uomo come Santos, ossessionato dal potere, la pace sembra essere esclusivamente una strategia personalistica per ottenere prestigio. Inoltre, le stesse Farc hanno rivelato che Santos sarebbe intenzionato a chiedere il carcere per i guerriglieri e questo non sarebbe certo il miglior modo per proseguire il negoziato di pace. A peggiorare la situazione, nei mesi scorsi, è emerso anche lo scandalo riportato dal settimanale Semana, secondo il quale gli uomini dello stato che partecipano ai colloqui di pace all’Avana sarebbero stati spiati dai servizi segreti militari. Non solo: pare che siano state intercettate anche le mail dello stesso Juan Manuel Santos, che, dal canto suo, ha azzerato i vertici delle Forze Armate. Peraltro, bisogna evidenziare come i più alti comandi dell’ esercito non abbiano gradito il negoziato intavolato da Santos con i guerriglieri, anche perché da sempre filo-uribisti. In questo contesto, va ricordato l’alto numero di senatori e deputati coinvolti nello scandalo della para-politica, a partire dall’ex presidente Uribe, che da sempre è andato a braccetto con i paramilitari. Il candidato al Senato per il Polo Democrático Alternativo, Iván Cepeda, insieme all’attivista per i diritti umani Alirio Uribe, ha pubblicato due libri che evidenziano gli stretti legami dell’ex presidente Álvaro Uribe con i paras del Bloque Metro delle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc). A las puertas del Ubérrimo e Por la sendas de El Ubérrimo raccontano l’utilizzo dell’hacienda El Ubérrimo, di proprietà di Álvaro Uribe, come base logistica dei paramilitari e sul cui terreno sarebbero stati condotti dei lavori con fondi pubblici. Probabilmente, le presidenziali saranno caratterizzate dalla sfida tra Óscar Iván Zuluaga (in forte crescita nell’ultimo mese di campagna elettorale) e Santos, ma ci sono anche altri candidati in pista. A complicare lo scenario elettorale, infatti, è stato un sondaggio pubblicato alla metà di marzo in cui Enrique Peñalosa, aspirante a Palacio Nariño per l’Alianza Verde, sarebbe indicato come vincitore al secondo turno (l’eventuale ballottaggio è previsto per il 15 giugno) proprio su Santos. Dietro alla candidatura di Enrique Peñalosa potrebbe celarsi un’ulteriore mossa di Uribe per danneggiare il suo acerrimo rivale Santos: del resto, secondo Maurice Lemoine, giornalista di Le Monde Diplomatique esperto di America Latina, lo stesso Uribe avrebbe rinunciato ad uno stipendio di 500mila dollari come consulente della banca Usa Jp Morgan Chase pur di tornare in politica, ma, soprattutto, di mandare all’aria la rielezione di Santos. Sono in molti a pensare che Enrique Peñalosa sia il cavallo di troia di Uribe, di cui è amico: è esperto di pubblica amministrazione ed ha cambiato più volte casacca politica, un aspetto, questo, che gli ha permesso di coltivare rapporti con personalità di schieramenti diversi. È altrettanto vero che la sua popolarità potrebbe risultare effimera, come avvenne nel 2010 per il candidato dei verdi di origini lituane Antanas Mockus, che al ballottaggio presidenziale del 2010 fu sonoramente sconfitto da Juan Manuel Santos. Sono comunque in molti a scommettere che Enrique Peñalosa è il tipico candidato che comienza ganando y termina perdiendo. Sebbene le presidenziali siano caratterizzate, di fatto, da una sfida giocata tutta a destra, è interessante dare uno sguardo al quadro dei movimenti sociali, che però non sembrano del tutto uniti e devono affrontare una pericolosa controffensiva delle destre soprattutto a livello giudiziario. È in questo contesto che lo scorso dicembre il procuratore generale Alejandro Ordoñez ha destituito e interdetto dai pubblici uffici per 15 anni Gustavo Petro, sindaco della capitale Bogotà, colpevole di aver “violato i principi costituzionali della libera impresa e della concorrenza, e messo in pericolo l’ambiente e la salute degli abitanti della città”. La cassa di risonanza contro Gustavo Petro è stata gonfiata dalla grande stampa allineata alla democratura colombiana: “Petro se ne deve andare perché è una persona onesta, ma un pessimo sindaco poiché a causa sua Bogotá è stata inondata per tre giorni dalla spazzatura”. La critica a Petro si riferisce al 18 dicembre 2012, quando il sindaco decise di trasferire la raccolta dei rifiuti all’impresa pubblica Acque di Bogotá scatenando il boicottaggio degli imprenditori che imposero una sospensione della raccolta stessa. Fu per questo che la città rimase per tre giorni ostaggio della spazzatura: eppure, anche all’epoca del sindaco Jaime Castro, la capitale fu invasa dai rifiuti per almeno un mese, ma nessuno sembra ricordarlo. Il procuratore generale Alejandro Ordóñez ha accusato il sindaco di aver cambiato l’appalto sulla gestione dei rifiuti in maniera irregolare e di aver regolarizzato la posizione degli oltre diecimila raccoglitori informali della spazzatura. Iván Cepeda, del Polo Democrático Alternativo, sostiene, non a torto, che il procuratore generale voglia danneggiare la sinistra. Solo una sentenza del Tribunale Superiore di Bogotà, lo scorso 23 aprile, ha reintegrato a sorpresa il sindaco Gustavo Petro, e il presidente Santos non ha potuto far altro che firmare il decreto che rimette in sella l’ex guerrigliero dell’M-19. Si tratta di un fatto di rilievo, anche perché la carica di sindaco della capitale è considerata la seconda per importanza in Colombia. In ogni caso Ordoñez, vicino all’ex presidente Uribe, in precedenza si era già fatto conoscere per aver destituito per 18 anni dalla vita politica Piedad Córdoba, con la surreale accusa di fiancheggiare la guerriglia. In realtà, la senatrice progressista è universalmente conosciuta per essersi sempre data da fare nella mediazione con le Farc, anche nelle occasioni in cui si era reso necessario il suo intervento per scambiare uomini dello stato rapiti dalla guerriglia con membri delle stesse Farc. Sorte simile, sempre per mano di Alejandro Ordoñez, anche per Francisco Toloza, docente universitario e portavoce della Marcha Patriótica, uno dei movimenti sociali più innovativi sorti di recente nel paese: per lui arresto con l’accusa di “ribellione aggravata”. Al tempo stesso, come detto, la sinistra si presenta in ordine sparso, oltre ad essere uscita dalle legislative con un risultato non entusiasmante. Da un lato , nota ancora Maurice Lemoine su Le Monde Diplomatique, il Polo Democrático Alternativo (a cui appartengono lo stesso Gustavo Petro e Cepeda) che però non ha mai condiviso fino in fondo una strada comune con i movimenti sociali, dall’altra l’area politica denominata “La Colombia si astiene”, sorta su iniziativa dello scrittore Gustavo Bolivar e a cui intendono aderire buona parte delle organizzazioni studentesche più radicali. E ancora, il polo ecologista, composto da Unión Patriótica (il partito politico sorto nel 1985 e sterminato dal regime, che si presentava come il braccio politico del Movimiento de Autodefensa Obrera, dell’ Ejército de Liberación Nacional e delle Farc), personalità come Carlos Lozano, direttore del quotidiano di sinistra Voz, esponenti del Polo Democrático Alternativo in uscita dal loro partito, organizzazioni contadine e comunità lgbt. La formazione ambientalista, nata dalla fusione del Partido Verde e del Movimiento Progresista, rischia però di scontare le frequenti giravolte del proprio candidato Enrique Peñalosa. È probabile che alla fine, nonostante i tanti distinguo, la sinistra movimentista alternativa appoggerà in gran parte il ticket Clara López Obregón-Aída Avella, in corsa per il Polo Democrático Alternativo-Unión Patriótica con lo slogan elige la paz, elige el cambio: sarà una candidatura di testimonianza, ma il loro Programa político y popular merita un accenno. In primo luogo viene evidenziato l’impegno per giungere ad una soluzione politica del conflitto armato, in cui alle vittime sia garantita una reparación integral y política. In seconda istanza si pone l’accento su un nuovo modello di sviluppo economico, di carattere solidale e redistributivo, che rompa con i dogmi neoliberisti. Inoltre, massima attenzione sia ai diritti umani sia  a quelli della natura e piena identificazione con il processo integrazionista latinoamericano in politica estera. Infine, è  in corsa per la presidenza del paese anche  Marta Lucía Ramírez, del Partido Conservador Colombiano. Sono in molti a pronosticare un ballottaggio, indipendentemente da chi saranno i due contendenti e, probabilmente avrà un valore anche l’astensionismo, ad alti livelli nelle legislative, soprattutto nelle grandi città: di certo c’è che l’esito elettorale influirà sul processo di pace e su un paese stanco del conflitto armato e del narcoparamilitarismo.

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