Messico: Ayotzinapa vive!
Nonostante il depistaggio di Stato, la disillusione dei familiari dei 43 normalistas scomparsi nella notte tra il 26 e 27 settembre 2014 e l’assenza di risposte concrete da parte dei governi succedutisi a Los Pinos, la memoria dei giovani desaparecidos resta viva.
di David Lifodi
Foto: https://www.tlachinollan.org/
Sono trascorsi undici anni e poco meno di due mesi dalla notte tra il 26 e 27 settembre 2014, quando 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa furono fatti sparire dall’esercito messicano insieme alla polizia municipale di Iguala, ad ex poliziotti e alla criminalità organizzata.
Si tratta tuttora di uno dei momenti più drammatici nella storia del Messico negli anni Duemila. Dal 27 settembre 2014 i normalistas sono desaparecidos e a niente sono servite le numerose manifestazioni dei familiari e delle organizzazioni popolari. Sia durante la presidenza di Andrés Manuel López Obrador sia durante l’attuale mandato di Claudia Sheinbaum non sono stati registrati dei passi avanti particolarmente significativi.
Lo scorso anno, in occasione del decennale della strage, il giornalista Luis Hernández Navarro scrisse che Ayotzinapa aveva insegnato a pensare e a risvegliare le coscienze e non a caso, è stato proprio per questo che la notte di Iguala, per lo Stato, deve continuare a rimanere una ferita aperta senza alcuna possibilità di giustizia.
I familiari dei normalistas hanno richiesto l’estradizione, tra gli altri, di Tomás Zerón de Lucio, ex direttore dell’Agenzia di investigazione criminale attualmente rifugiato in Israele, addestratore delle forze speciali messicane alle peggiori attività repressive e accusato di occultamento di prove e di tortura contro i testimoni del caso dei ragazzi scomparsi. Sulle pareti dell’ambasciata israeliana a Città del Messico spesso gli attivisti solidali con i familiari degli studenti hanno scritto “Né perdono né oblio” e “estradizione immediata per Tomás Zerón”.
Inoltre, a preoccupare è soprattutto l’impunità dell’esercito, che ricorda assai da vicino il massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968, quando, dieci giorni prima dell’apertura delle Olimpiadi, almeno trecento studenti caddero sotto i colpi sparati all’impazzata contro i manifestanti riunitisi in Piazza della Tre Culture. In quel caso l’allora presidente Gustavo Díaz Ordaz, pur riconoscendo apertamente di essere il mandante della strage studentesca, ha vissuto la sua intera vita evitando di essere sottoposto a processo. Oggi, per quello che è passato alla storia come il massacro di Iguala, l’ex presidente Enrique Peña Nieto non ha pagato per quei fatti, così come i vertici della polizia militare, riusciti finora a farla franca. È stato proprio Tomás Zerón de Lucio, insieme ai militari e al presidente Peña Nieto, ad imporre al paese una “verità ufficiale” fortunatamente rifiutata non solo dalle famiglie dei normalistas, ma anche dalla società civile, secondo la quale i desaparecidos furono consegnati dalla polizia alla criminalità comune per poi essere uccisi e, successivamente, bruciati nella discarica di Cocula.
La strage dei normalista di Ayotzinapa resta un crimine di stato, ma il sabotaggio e gli ostacoli incontrati dal Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes, insieme alle frasi evasive e di circostanza provenienti anche dell’attuale governo, hanno provocato una forte disillusione poiché emerge con sempre maggior evidenza come militari, giudici corrotti e funzionari di governo rappresentino un ulteriore problema e non la soluzione.
Gloria Muñoz Ramirez non si è mai stancata di denunciare che i piccoli progressi sulla sparizione dei normalistas, al pari delle molteplici commissioni sul caso, nate e morte rapidamente, si sono arenate ogni volta che si è convenuta l’urgenza di aprire gli archivi delle Forze armate, in particolare quelli della caserma di Iguala e, del resto, nel luglio 2023, fu proprio il Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes a scegliere di abbandonare il paese in segno di protesta contro le Forze armate, accusate di ostruzionismo e di non aver consegnato tutta la documentazione in loro possesso, nonostante gli stessi militari fossero stati inclusi, dall’ex presidente López Obrador, nella Commissione per la verità da lui creata e che aveva comunque definito i fatti di Ayotzinapa un crimine di stato.
Ayotzinapa rappresenta uno dei tanti, troppi esempi della guerra sporca condotta ancora oggi in Messico contro le organizzazioni popolari e il grido di dolore che, ogni anno, si ripropone soprattutto in occasione dell’anniversario della strage rappresenta solo la punta dell’iceberg dei molteplici crimini di Stato e delle violazioni dei diritti umani.
Ad accrescere la rabbia dei familiari la notizia di pochi giorni sull’occultamento delle piste chiave fondamentali sulla sparizione degli studenti di Ayotzinapa, come emerge dai messaggi resi pubblici da Kate Doyle e Claire Dorfman, ricercatori indipendenti dell’ Archivo de Seguridad Nacional che hanno diffuso le comunicazioni tra la criminalità organizzata messicana e le autorità istituzionali della città di Iguala (stato del Guerrero) durante i momenti concitati da cui si è determinata la sparizione dei normalistas. È stata proprio la cellula del cartello di narcotrafficanti Guerreros Unidos a mettersi in contatto con le istituzioni di Iguala poiché entrambe le parti erano a conoscenza del trasporto di droga nascosto negli autobus che viaggiavano tra gli Stati Uniti e il Messico includendo anche la stessa città di Iguala.
Nel frattempo, il depistaggio di stato prosegue.

