Quiet light
susanna sinigaglia
Quiet light
Muna Mussie
È stata un’esperienza singolare quella che ho vissuto andando a vedere il lavoro di Muna Mussie nell’ambito della rassegna Fog organizzata periodicamente da Triennale Teatro.
Ho raggiunto un po’ trafelata il luogo dove sarebbe stato presentato, la sala parrocchiale di una chiesa in zona Fiera. All’ingresso, mi aspettava una gentile signora, immagino col ruolo di maschera, che mi ha invitato ad accomodarmi in una saletta d’attesa delimitata da due tendaggi, uno verso l’esterno – dietro il quale la maschera è momentaneamente scomparsa – e uno verso un interno non ancora identificato. Dopo qualche minuto la signora è ricomparsa e mi ha invitato a varcare la soglia delimitata dalla seconda tenda. Siamo entrate in uno spazio, un cinema, immerso completamente nell’oscurità e perciò la signora, da maschera diligente, facendomi luce con una torcia mi ha accompagnato al mio posto, il secondo di una fila. Durante la proiezione delle prime immagini del film, il cui titolo è Cinema Impero, vengo a sapere che il cinema era stato inaugurato ad Asmara, in Eritrea, nel 1937 dopo che Mussolini aveva rinnovato l’attenzione dell’Italia verso la sua prima colonia, proclamata ufficialmente nel 1890. Le immagini sono tratte dagli archivi dell’Istituto Luce, fondato nel 1924 dal regime come strumento educativo e propagandistico, ci ricorda Fog nella sua scheda di presentazione. Nel frattempo, una figura si è materializzata al mio fianco facendomi un po’ trasalire: è l‘artista, Muna Mussie, che mi sussurra alcune informazioni all’orecchio. Per tutta la durata mi resterà seduta accanto spalla contro spalla, stabilendo così con me anche una comunicazione fisica. Come si può osservare in queste immagini, con un lento accostamento Muna guida la persona e stabilisce il contatto.
Mi è sembrato molto curioso vedere, in una sala cinematografica, un film che si sviluppa a partire dal racconto sulla creazione di una sala cinematografica…
Sullo schermo si alternano immagini dell’epoca – quando al Cinema Impero agli eritrei era vietato l’ingresso o a volte, al massimo, era consentito di andare solo in galleria per non mescolarsi con i “bianchi” – e immagini attuali, risalenti al 2016 quando Muna, nata in Italia, si era recata per la prima volta nel suo paese d’origine insieme alla madre e alla sorella.
Attraverso la visita di Muna al Cinema Impero[1], incontriamo un personaggio – il custode del cinema – che da questo momento in poi comparirà, durante tutto lo svolgersi del film, in un riquadro in basso alla guida di un’auto dove presumibilmente nei sedili posteriori si trovavano Muna, sua madre e sua sorella per visitare i vari luoghi.
Le immagini dell’Istituto Luce ci mostrano l’arrivo in Eritrea delle navi per il trasferimento di soldati, animali, operai, strumentazione di vario tipo nel paese che doveva fungere da trampolino di lancio per la conquista dell’Etiopia. Muna ironicamente rifà il verso ai cronisti di allora che, con aggettivi roboanti, commentavano entusiasti le imprese coloniali del regime. In contrappunto, quelle immagini sono messe a confronto con le riprese durante il tour di Muna su zone rimaste aride e incolte, attività ittiche di ieri e di oggi con grandi pesci (squali e altre specie) appesi a ganci, che sembrano rimandare simbolicamente alle crudeltà del regime fascista e alla desolazione in cui il colonialismo (agli italiani è subentrata la Gran Bretagna nel 1941 fino al 1952) ha lasciato il paese malgrado il tempo trascorso. Insomma il lavoro di Muna ci ricorda il passato coloniale dell’Italia con cui non abbiamo mai fatto veramente i conti e di cui si conoscono ancora troppo poco i contorni.
Mentre il film si avvia verso le battute finali, improvvisamente non sento più la presenza di Muna, che silenziosamente si è dileguata. Avrei voluto rivolgerle domande che, forse in parte, resteranno ancora senza risposte.
Per un approfondimento
https://www.labottegadelbarbieri.org/eritrea-il-passato-italiano/
[1] Dopo anni di abbandono, l’edificio è stato oggetto di un’importante ristrutturazione. Ora l’edificio ospita un moderno spazio culturale, il “Teatro Ambasciatori”.









