«Alla fine qualcosa ci inventeremo» – Gianluca Nicoletti

letto da Francesco Masala – il titolo sa di ottimismo e di lotta. A seguire un video e alcune considerazioni di Nick Hornby.

Gianluca Nicoletti è il padre di Tommy e racconta la vita del e col figlio autistico.

È la vita con un ragazzo che ha sempre bisogno di qualcuno, non riesce mai a diventare autonomo.

Il turbamento di un genitore, oltre il presente conosciuto è il futuro del ragazzo quando i genitori non ci saranno più.

Gianluca Nicoletti non nasconde niente, non si rinchiude nel suo dolore, non tace, gira l’Italia insieme a Tommy.

Bisogna prima creare le condizioni per una vita degna per chi resterà.

Il comportamento di una società civile verso i deboli dovrebbe essere la solidarietà, la partecipazione.

Ma da troppi anni si usa l’espressione nessuno resterà indietro, per fare tutto il contrario, in realtà nelle politiche degli stati e delle regioni, dietro gli slogan, la prassi è che le famiglie si arrangino, come nella sanità, che se hai soldi puoi provare a curarti, se no ti danno un’aspirina e a casa, a soffrire senza essere curato.

La cosa più terribile è come questa mancanza di solidarietà sia accettata senza problemi da quasi tutti, salvo rammaricarsi per casi singoli in occasione di eventi tragici, ma tutto resta come prima, cioè sempre peggio.

Buona (autistica) lettura, Gianluca Nicoletti e Tommy vi aspettano.

 

Ps1: in una pagina del libro appare Andrea Rocchelli

Ps2: su Raiplay, qui, si può vedere un ottimo film, Hors normes (The specials – Fuori dal comune) – di Olivier Nakache ed Eric Toledano, i protagonisti sono autistici francesi e i loro educatori.

Ps3: in fondo alla pagina alcune interessanti (come sempre) righe di Nick Hornby, anche lui ha un figlio autistico.

 

 

Il libro di svolta della società italiana, scritto da una grande personalità: Gianluca Nicoletti. Uomo di coraggio e di grande intelligenza che riserva un Amore grandissimo al figlio ed alla vita. Un libro di speranza per una società vera dove il rispetto del singolo sia un imperativo naturale, dove “ognuno” possa avere uno spazio. Da leggere. E da condividere.

da qui

 

 

Tommy ha da poco compiuto sedici anni. Vive l’età in cui tutti gli adolescenti cominciano a fare progetti sul futuro e i genitori si preparano a lasciarli camminare da soli. Ma Tommy è un adolescente speciale, Tommy è autistico, un dolcissimo, solitario ragazzone che senza l’aiuto di qualcuno difficilmente potrà percorrere le strade della vita. E se fino a un anno fa la sua gestione quotidiana – già tutt’altro che semplice – era pur sempre l’unico problema dei genitori, per loro è ora arrivato il momento di affrontare nuovi angoscianti quesiti: che ne sarà di Tommy domani? Con la lucidità, insieme disincantata e ironica, e la visionarietà che gli riconosciamo, Gianluca Nicoletti ci racconta (e si racconta) cosa succede “dopo”. Alla fine qualcosa ci inventeremo è un libro provocatorio e arrabbiato, ma anche struggente e pieno d’amore. Alternando il racconto di episodi vergognosi e buffi, imbarazzanti e commoventi, fa luce su una realtà che troppo spesso si preferisce tenere nascosta dietro le finestre di casa e soffocare nel silenzio.

da qui

 

 

scrive Nick Hornby:

…Pur avendo un figlio autistico, non leggo spesso libri sull’autismo. Nella maggioranza dei casi gli editori sembrano smaniosi di sentir parlare di autistici con qualità eccezionali, come in Rain Man (mio figlio, come gran parte dei bambini autistici e al contrario della vulgata, non ha nessuno spiccato talento, a meno di considerare tale la sua straordinaria capacità di udire l’apertura di un pacchetto di patatine a più isolati di distanza); o di genitori che credono di avere «salvato» o «curato» il loro figlio autistico (e non ci sono cure per l’autismo, anche se non mancano le storie strane, nessuna delle quali sembra pertinente allo stato di mio figlio). Così, tendenzialmente i libri sul tema mi fanno sentire estraneo, rancoroso, cinico o semplicemente perplesso. Proprio così: quasi ogni libro sull’autismo finisce per farmi questo effetto, ma credo che nel mio caso l’esperienza personale mi dia il diritto di sentirmi come mi pare. Ho letto il libro di Charlotte Moore perché avevo accettato di scrivere l’introduzione, e ho accettato di scrivere l’introduzione perché, in una serie di brillanti articoli sul Guardian, la Moore era riuscita non solo a raccontarci le cose come stanno, ma a farlo con uno humour e un’arguzia impagabili. Che ci crediate o no, George e Sam (la Moore ha tre figli, due dei quali autistici) è il libro più divertente che abbia letto quest’anno. Non sono sicuro che mi sarei divertito altrettanto sei o sette anni fa, quando fecero la prima diagnosi a Danny… l’autismo allora non era un argomento che mi facesse ridere; ma adesso che mi sono abituato a guardare fuori dalla finestra nelle sere fredde e piovigginose di novembre e vedere d’un tratto un bambino di dieci anni che salta nudo e giocondo sulla pedana elastica, so apprezzare le storie che tutti i genitori di figli autistici hanno da raccontare. Il vecchio cliché «non potevi inventarlo» è sempre scoraggiante per qualsiasi scrittore di romanzi: se non potevi inventarlo, probabilmente non vale la pena di parlarne o scriverne. Ma l’autismo è una cosa di cui val la pena parlare, non solo perché colpisce un numero crescente di persone, ma per la luce che la malattia getta su noialtri tutti. E benché sia prevedibile che i bambini autistici abbiano probabilmente dei comportamenti ossessivo-compulsivi particolari, i dettagli di tali compulsioni e ossessioni sono comunque sempre inimmaginabili, e spesso affascinanti nella loro stranezza. Sam, il minore dei due ragazzi autistici, ha l’ossessione degli essiccatoi per il luppolo: una volta è scappato per andare a esplorare un esemplare particolarmente bello a due chilometri e mezzo da casa sua. «Il proprietario, che stava facendo la siesta, è rimasto sbalordito alla vista di un bambino in stivali di gomma che si coricava sul letto accanto a lui.» Invece George ha la necessità di convincere tutti che non mangia niente, anche se in realtà mangia. Dopo avergli preparato la colazione, sua madre deve assicurargli che è per Sam, e voltargli la schiena finché non ha finito (il cibo deve essere introdotto a scuola clandestinamente, nascosto fra le cose del nuoto). Sam adora gli elettrodomestici, soprattutto le lavatrici, per cui durante un soggiorno di due settimane a Londra veniva accompagnato tutti i giorni in una lavanderia diversa, e quasi si incendiava per l’emozione; gli piace anche guardare i flaconi di detersivo da bagno attraverso il vetro smerigliato. George ripete a pappagallo frasi imparate dalle videocassette: recentemente ha detto al suo istruttore di pedana elastica: «Il Governo mi ha mollato» (chissà perché, le pedane elastiche sono un elemento importante delle nostre vite). In un’altra occasione ha commentato ermeticamente: «Questo farebbe sputare Ken Russell dall’invidia». Essiccatoi per il luppolo, lavatrici, fingere di non mangiare quando si mangia… capite? No, non è proprio roba che si possa inventare. Non voglio dare l’idea che nella vita con un bambino autistico sia tutto divertente. E anche se avete un figlio della varietà comune, non vi consiglierei di scambiarlo con uno (la maggioranza degli autistici sono maschi) affetto da ilarità ossessiva. Spero che sia superfluo aggiungerlo, ma ci sono delle cose che… be’, eufemisticamente, non sono proprio ilari. Voglio solo chiarire, come sta facendo la Moore, che se avete anche un vago interesse per la stranezza e la varietà e la bellezza del genere umano, in questa sindrome troverete molto di cui meravigliarvi. George e Sam è il primo libro sull’autismo da me letto che raccomanderei a chiunque desideri sapere di cosa si tratta: è ricco di buonsenso sull’educazione, la dieta, le possibili cause, praticamente tutto ciò che attiene alla quotidianità di chi deve fare i conti con la malattia. Ha anche rasserenato questo genitore riguardo ai compromessi a cui bisogna cedere: «Questa mattina George ha fatto colazione con sei After Eight [i «sofisticati» cioccolatini alla menta] e un po’ di orzata al limone. Io ero contenta – contenta – perché ultimamente non mangiava niente…» A casa nostra sono le patatine al gusto sale-e aceto. Immagino che George e Sam farà furore fra nonni, nonne, zii e zie abbastanza forti da voler conoscere la verità. Io l’ho letto mentre ascoltavo per la prima volta il bellissimo O di Damien Rice, e ho avuto un inatteso attimo di trascendenza: il libro colorava la musica, e la musica colorava il libro, e ho finito per sentirmi felice – senza ambiguità – che mio figlio sia quello che è: questi momenti sono preziosi.

(da Una vita da lettore, di Nick Hornby, p.37-39, Guanda)

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