Ana Belén Montes prigioniera degli Stati uniti

L’agente dei servizi segreti cubani uscirà dal carcere solo nel 2026

di David Lifodi

Qualche mese fa la liberazione di Oscar López Rivera, storico militante dell’anticolonialismo portoricano uscito dal carcere grazie ad uno degli ultimi provvedimenti del presidente Obama, che ha concesso l’indulto poco prima di lasciare la Casa Bianca nelle mani di Trump, ha riacceso il dibattito sulla sorte di Ana Belén Montes, l’agente segreto dei servizi cubani ancora nel carcere di massima sicurezza di Fort Worth, in Texas, da dove uscirà nel 2026.

Alla scarcerazione di Oscar López Rivera in molti si auguravano buone nuove anche per Ana Belén Montes, tra le ultime prigioniere della guerra fredda tra Washington e L’Avana, ma nemmeno il recente disgelo ha smosso la Casa Bianca. La donna, arrestata nel 2001 poco dopo i fatti dell’11 settembre, era stata condannata a 25 anni e non è mai rientrata in nessun scambio dei prigionieri. La storia di Ana Belén Montes è poco conosciuta, ma merita di essere raccontata, se non altro per evidenziare come, per 17 anni, fosse riuscita a farsi beffe dell’intelligence statunitense, facendosi assumere nella Defense intelligence agency (Dia) e, al tempo stesso, decodificando i messaggi in codice e facendoli pervenire a Cuba tramite le onde corte di una radio dell’Avana. Nata nell’allora Germania occidentale (in una base militare statunitense) il 28 febbraio 1957, Ana Belén Montes è stata arrestata con l’accusa di “spionaggio elettronico”, della quale lei stessa si dichiarò colpevole nell’ottobre 2001, ed ha dovuto scontare 5 anni di reclusione in libertà vigilata. Tuttavia, la prigioniera 25037-016, questa è la sua denominazione nel carcere di Fort Worth, non ha mai né ucciso né ferito nessuno, oltre a non essersi mai arricchita dalla sua attività di spionaggio, ma gli Stati uniti non le hanno perdonato di aver lavorato per i servizi cubani fin dal 1984. Prima svolse il ruolo di analista della Dia per El Salvador e il Nicaragua, poi per Cuba. Più volte, Montes ha dichiarato di aver obbedito esclusivamente alla sua coscienza e questo, per sua fortuna, le ha evitato un periodo di detenzione maggiore o addirittura la pena di morte. Agiva per ideali politici, non per soldi, Ana Belén Montes, la cui fede politica si era sviluppata durante un viaggio compiuto in Spagna quando era una studentessa. Fu in questa circostanza che conobbe un suo coetaneo argentino che le aprì gli occhi sulla politica Usa in America latina, fino ad allora per lei sconosciuta. Crescendo, Ana Belén Montes approfondì le tematiche legate alla guerra sporca condotta da Ronald Reagan contro il continente latinoamericano e iniziò a simpatizzare apertamente per la rivoluzione cubana.

Il caso dell’agente dei servizi cubani però, soprattutto all’inizio, non ha fatto registrare lo stesso clamore suscitato dalla detenzione dei cinque agenti della cosiddetta Operación Avispa, conosciuti familiarmente come los cinco e adesso liberi, ma di recente è sorto un comitato per chiedere un trattamento più umano per Ana Belén Montes all’interno del carcere di Fort Worth. La sorella di Ana Belén, Lucy, ha denunciato che in carcere sta vivendo una vita d’inferno, mentre cresce il numero di coloro che, all’interno dei singoli comitati costituiti per la sua liberazione, ritengono necessario rivolgersi a Papa Francesco. Difficile però che gli Stati uniti dell’era Trump perdonino la donna, quasi impossibile l’indulto, nonostante la sua carcerazione rappresenti il perpetuarsi della guerra fredda condotta contro una donna che non si è mai macchiata di reati di sangue. Nell’ultima intervista rilasciata da Ana Belén Montes, che risale al 2015 ed è stata raccolta dal sito web Resumen Latinoamericano,  fedele ai suoi ideali, la donna si dichiarava soddisfatta del miglioramento dei rapporti tra Cuba e Stati uniti, ma aggiungeva che Washington dovrebbe instaurare migliori relazioni anche con il resto del mondo, definendo la politica della Casa Bianca come “ipocrita” e “cinica”. E aggiungeva: “Ero a conoscenza delle conseguenze a cui sarei andata incontro, ma nonostante le condizioni di estrema pressione psicologica, l’ho fatto affinché la rivoluzione cubana continuasse a vivere. Non mi piace stare in prigione, ma ci sono certe cose nella vita per cui vale la pena andare in carcere”.

Ad incastrarla fu Scott Carmichael, funzionario della Dia, che la definì una delle spie più pericolose per gli Stati uniti. Oggi, se il nuovo corso tra Usa e Cuba fosse all’insegna di un disgelo reale e non improntato più che altro alla convenienza, soprattutto dalla parte di Washington, Ana Belén Montes avrebbe il diritto di tornare ad essere una donna libera, ma la sua figura, anche nella stessa Cuba, resta scomoda e l’Avana non ha mai organizzato una campagna per la sua liberazione simile a quella condotta per los cinco.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *