Arpad Weisz, l’allenatore ebreo inghiottito da Auschwitz

Vincitore di tre scudetti con Inter e Bologna negli anni Trenta del Novecento, il tecnico ungherese fu deportato con la sua famiglia nei campi di concentramento nazisti e il 31 gennaio 1944 morì ad Auschwitz. Nel 1938 era stato costretto ad abbandonare l’Italia a seguito delle “leggi razziali”. Un altro valido motivo per lottare oggi contro la presenza del fascismo e del razzismo negli stadi.

di David Lifodi

Il 31 gennaio 1944 Arpad Weisz, allenatore di Inter e Bologna di origini ebraiche, muore ad Auschwitz. La sua storia è stata conosciuta in Italia soprattutto grazie al libro Dallo Scudetto ad Auschwitz. Quando la discriminazione entra in campo, del giornalista Matteo Marani.

Costretto ad abbandonare l’Italia nel 1938, a seguito delle leggi razziali, il trainer ungherese si trasferisce in Olanda, dove allenerà, con ottimi risultati, fino alla deportazione, avvenuta nel 1942.

Weisz aveva iniziato la sua carriera da allenatore a soli 30 anni, costretto ad abbandonare i campi da gioco dopo aver militato, in Italia, nell’Alessandria e nell’Inter, e aver indossato la maglia della Nazionale magiara, a causa di problemi fisici. Nato a Solt il 16 aprile 1896, era arrivato nel nostro paese come calciatore nei primi anni Venti.

A soli 34 anni, Veisz, questo era il suo cognome italianizzato imposto dal fascismo, conduce l’Inter alla vittoria dello scudetto nella stagione 1929-1930. Nel 1932 guida il Bari alla salvezza (all’Inter non gli avevano rinnovato il contratto a seguito del 5° posto dell’anno successivo) fin quando, dopo una nuova permanenza nella Milano nerazzurra ed una breve parentesi in serie B con il Novara, nel 1935 passa al Bologna grazie al presidente Renato Dall’Ara che lo chiama a gennaio, alla quindicesima giornata, per sostituire il connazionale Lajos Kovacs alla guida della squadra. Quell’anno il Bologna chiuderà il campionato al sesto posto.

Weisz vincerà con il Bologna due scudetti consecutivi, nel 1935-1936 (con una rosa di soli 14 calciatori) e nel 1936-1937, stagione impreziosita anche dal successo ottenuto al Torneo dell’Esposizione internazionale di Parigi dove, in finale, i rossoblu battono il Chelsea 4-1: era la prima volta che una squadra italiana ne batteva una inglese. La stagione 1937/1938 vede il Bologna, campione d’Italia in carica, raggiungere il quinto posto in classifica, a soli quattro punti dall’Ambrosiana (così il fascismo aveva ridenominato l’Inter).

La leggenda del “Bologna che tremare il mondo fa” si interrompe quando Weisz lascia l’Italia a causa delle leggi razziali. Il 16 ottobre 1938, l’allenatore ungherese si siede per l’ultima volta sulla panchina del Bologna.

Come ha scritto Francesco Barbati nell’articolo Il lungo inverno di Arpad Weisz, “Arrivano le sue dimissioni. Bologna, la città che tanto lo ha osannato ed amato, adesso è diventato un posto dove non si può più vivere. Il mondo della famiglia Weisz crolla all’improvviso: le fondamenta, rappresentate dagli amici stretti e dai vicini di casa, sono le ultime ad abbandonarli, giocoforza. I Weisz devono lasciare la città prima, ed il Paese poi. Sappiamo per certo che è il 10 gennaio del 1939 il giorno in cui la famiglia varca il confine per non farvi più ritorno. La meta è Parigi, in Francia. L’inverno lì è più duro rispetto a quello bolognese, e lo è ancor più metaforicamente: Arpad, il più grande allenatore del momento, è disoccupato. Mantenere una famiglia senza una fissa dimora e senza un lavoro rappresenta una sfida non di poco conto, anche per colui che è abituato a vincerle, le sfide, con la sua intelligenza e tenacia.

I primi mesi nella capitale francese sono difficili, li ospita un albergo e l’atmosfera generale comincia a farsi un po’ pesante: l’antisemitismo non conosce confini. Ma ecco che dalla vicina Olanda sembra prospettarsi un’alternativa che può far respirare Arpad e la sua famiglia”.

Si trasferisce in Olanda, dove allena il Dordrecht in Eredivisie (il massimo campionato olandese) facendo raggiungere alla squadra due insperati quinti posti ed una salvezza facendosi rispettare da squadre ben più quotate come Feyenoord, Ajax e Psv Eindhoven. L’invasione nazista dell’Olanda, nel maggio 1940, impedisce a Weisz di continuare ad allenare fin quando, il 2 ottobre 1942, l’allenatore, la moglie e i suoi due figli vengono arrestati dalla Gestapo e spediti inizialmente in direzione Auschwitz. La moglie Ilona e i figli Roberto e Clara (di 12 e 8 anni) sono condotti in realtà a Birkenau, dove troveranno la morte pochi giorni dopo, nelle camere a gas, mentre per Arpad, dopo alcuni mesi in un campo di lavoro nell’Alta Slesia, c’è il campo di concentramento di Auschwitz, nel quale anche lui verrà ucciso dall’odio e dalla follia nazista.

Le società di calcio allenate da Arpad Weisz hanno voluto omaggiare il grande allenatore ungherese. Al Dall’Ara di Bologna, sotto la torre di Maratona, nel 2009 è stata apposta una targa per ricordarlo, nonché è stata intitolata a lui la curva San Luca. Lo stesso hanno fatto Inter e Novara, che a San Siro e al Silvio Piola hanno dedicato una targa a Weisz, mentre a Bari una via nei pressi dello stadio San Nicola ha preso il suo nome.

Grazie a Matteo Marani, non solo Arpad Weisz non è stato dimenticato, ma il giornalista è riuscito a ricostruirne la sua vita sotto molti dettagli , dal luogo della sua abitazione in via Valeriani 39 (quartiere bolognese Saragozza) fino alle scuole frequentate dal figlio.

In un’intervista rilasciata al Corriere di Romagna il 30 agosto 2019, in occasione di una delle tante presentazioni del suo libro, alla domanda “Come combatterebbe lei il razzismo negli stadi?”, Marani ha risposto:

«Io penso che vada combattuto con l’antidoto della cultura, della conoscenza, del sapere. Se conosci la storia, finisci per pensarla diversamente, fai più fatica a fare un coro antisemita allo stadio o scrivere offese razziste su uno striscione. È questo l’unico vero antidoto, la consapevolezza».

La storia di Arpad Weisz, tra i simboli di una generazione annientata dal nazismo, rappresenta ancora oggi un valido motivo per lottare contro la presenza del fascismo e del razzismo negli stadi e in tutti i luoghi dove si pratica sport in Italia.

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Leggi anche:

I luoghi di Arpad Weisz

Arpad Weisz a Bologna

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • domenico stimolo

    A proposito di allenatori di calcio in Italia durante la dittatura fascista e poi “inghiottiti” nella bufera assassina nazifascista è necessario anche ricordare (lo faccio io, non tifoso di palla) due altre figure:
    Gèza Kertèsz e Istavàn Tòth Potya. Ambedue ungheresi. Si è nel contesto tra glia anni venti e quaranta.
    Kertèsz fu allenatore delle squadre di calcio di Lazio, Roma, Catania, Atalanta e Salernitana.
    Tòth Potya fu allenatore di Triestina e Ambrosiana Inter.
    Poi, a seconda guerra mondiale tgià in corso, scatenata dagli appetiti omicidi – espansionisti e razzisti -nazifascisti tonarono In Ungheria.
    Si schierarono con la Resistenza ungherese, contro le orrende azioni di sostegno ai nazisti e di caccia ai “diversi”, ebrei e resistenti, operate dalle “ Croci frecciate”.
    Kertèsz fu arrestato nel dicembre del 1944. Stessa sorte toccò a Tòth Potya.
    Ambedue furono fucilati a Budapest il 56 febbraio 1945, pochi giorni prima della liberazione da parte dell’esercito sovietico.
    Kertèsz arrivò a Catania nell’anno calcistico 1933-34, rimase fino al 1935.
    1. In un bel libro – edito nel 2016 – “ Due eroi in panchina”, a cura di un giovane giornalista catanese, Roberto Quartarone – con prefazione di Darwin Pastorin -, viene narrata l’epopea calcistica e la tragica sorte dei due allenatori ungheresi.

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