Attanasio, Blom, Calore, Rossanda, Scaffai con i duetti Cassini-Dahmash e Tuniz-Tiberi Vipraio

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Maria Attanasio

«La ragazza di Marsiglia»

Sellerio

390 pagine, 15 euro

Italia. Prima e dopo l’Unità. Rosalia Montmasson nacque nel 1823 a Saint Jaroz (Savoia) e morì a Roma il 10 novembre 1904. È l’unica donna ad aver partecipato alla spedizione “dei Mille”, i 1162 volontari che sbarcarono in Sicilia l’11 maggio 1860, al comando di Giuseppe Garibaldi, episodio cruciale del Risorgimento. Allora era moglie di Francesco Crispi (1818-1901): si erano sposati a Malta il 27 dicembre 1854, ebbero 24-25 anni di vita coniugale, anche se nei libri di storia l’unica moglie “accreditata” a Crispi risulta Lina Barbagallo. Attraverso l’accurata consultazione di archivi, epistolari, saggi, materiali iconografici, la poetessa e scrittrice Maria Attanasio (Caltagirone, 1943) narra Rose Rosalìe Rosalia, «La ragazza di Marsiglia», ricostruendo dettagliatamente il legame amoroso con Crispi, dal primo incontro nel 1849 nel porto francese e poi a Torino (lei dal passo sfrontato e con un ciuffo di capelli ricci) alla celebrazione del matrimonio e al successivo annullamento.

 

Philipp Blom

«Il primo inverno. La piccola era glaciale e l’inizio della modernità europea (1570-1700)»

traduzione di Francesco Peri

Marsilio

286 pagine , 18 euro

Europa. Da mezzo millennio fa. Fino al XVI secolo la neve è quasi assente in arte. Dalla seconda metà del Cinquecento gli artisti del Nord Europa scoprono il ghiaccio e il gelo. Il calo di temperatura osservabile tra il 1570 e il 1685, due gradi centigradi in media, ha un impatto enorme sugli ecosistemi e su tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Fu un dato di fatto, anche se gli studiosi ancor oggi non concordano pienamente sulle cause o sull’esatta datazione. Specialisti di varie discipline hanno ricostruito comunque le caratteristiche del precedente periodo molto caldo (tardo Medioevo), della fine del periodo mite e dell’inizio del raggelamento (a partire dal Quattrocento), delle concause ipotizzabili nella lunghissima storia climatica del pianeta e, soprattutto, delle documentate ricadute pratiche in Europa, ora ottimamente descritte da un divulgatore storico tedesco. Inverni glaciali, primavere con grandine, estati piovose, autunni gelidi rappresentarono (spesso e insieme) una catastrofe per l’agricoltura e per un intero continente legato a cereali (grano, segale, orzo, avena), a ortaggi e frutti stagionali, raramente alla carne. I contadini vivevano di autosussistenza, la nobiltà e i feudatari vivevano dei contadini, il denaro aveva un ruolo secondario, le carestie (e le guerre) si moltiplicarono. L’adattamento ai cambiamenti climatici (quando ci fu e per chi sopravvisse) comportò innovazioni per ogni attività umana. Le monocolture affaticavano i terreni, si sperimentarono differenti specie e tecniche. I vegetali introdotti con lo “scambio” colombiano (rimasti per secoli culture da orto botanico) trovarono lentamente spazio produttivo. Culture e arti conobbero svolte. Ma l’evoluzione non obbediva a progressi lineari, ebbe ben poco di deliberato e intenzionale, conobbe enormi differenze temporali, geografiche e demografiche.

Il multidisciplinare giornalista Philipp Blom (Amburgo, 1970) narra un periodo storico che sconvolse il pianeta e le rare innovazioni che hanno retto alla prova del tempo giungendo a far parte anche delle nostre esistenze odierne. Parte dai quadri (il volume ha una decina di illustrazioni, oltre a una ricchissima bibliografia), parla di filosofia e teologia, medicina e scienze, economia e commercio, sottolinea qualche significativa biografia e grandi eventi, intrecciando la periodizzazione cronologica (nell’articolato ecosistema europeo) e le contraddittorie convinzioni culturali di quei tempi: tre densi capitoli (l’Europa tra il 1570 e il 1600, l’età del ferro ovvero quasi tutto il Seicento, le comete e le altre meteore nella lotta senza quartiere tra dogmatismo pensiero razionale-scientifico) fra un prologo e un epilogo (che si confronta con i cambiamenti climatici e politici in corso). Il filo “ideologico” (il conflitto fra “sogni”) non consente sempre all’autore assoluta precisione su fenomeni atmosferici e fonti storiche, tuttavia coglie bene il passaggio di fase. I primi testimoni del cambiamento climatico ragionavano quasi senza eccezione da un punto di vista religioso, finché una generazione di pionieri intellettuali tentò di scorporare il concetto di natura da quello di creato. L’inverno più rigido a memoria d’uomo fu quello del 1684, gennaio e febbraio; la morsa della piccola era glaciale non si sarebbe allentata prima di un altro secolo, diffusa a scala planetaria. Un successivo evento “climatico” globale fu l’eruzione del vulcano indonesiano sul monte Tambora nell’aprile 1815, il raggelamento durò un anno, una sorta di inverno nucleare, poi forse si consolidò un altro ciclo, il “riscaldamento”, ora accelerato drammaticamente. “Le api lavorano alla propria rovina. Sono api, è l’unica vita che conoscono”.

 

Antonello Calore

«“Cittadinanze” nell’antica Roma. Volume I, L’età regia»

Giappichelli

100 pagine, 10 euro

Roma. Tra l’VIII e il VI secolo a. C. Riflettere sulla cittadinanza significa richiamare il rapporto giuridico fondamentale che lega l’individuo all’ordine politico e sociale, un legame che dopo la Rivoluzione Francese riguarda sia l’appartenenza (a una Nazione) che la partecipazione (a un sistema di diritti e doveri). Il modello sembra oggi entrato in crisi per ingenti flussi migratori, la globalizzazione dell’economia, il multiculturalismo delle società, il ruolo di istituzioni sovrannazionali. Può essere, dunque, utile non dare per scontato il modello otto-novecentesco e verificare concezioni e pratiche più antiche. Antonello Calore (Sulmona, 1952) insegna Diritto Romano a Brescia e ripercorre con meticoloso acume l’evoluzione dello status dei cittadini romani (una minoranza dell’intera popolazione) nel periodo dei re da Romolo (753) ai Tarquini (509). Esistevano più “Cittadinanze nell’antica Roma”, acquisibili non solo con la nascita, mai strumento di pura esclusione e chiusura.

 

Niccolò Scaffai

«Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa»

Carocci

270 pagine, 26 euro

Libri ed ecosistemi. Dall’inizio. Fin da epoche remote la raffigurazione della natura ha unito mimesi e invenzione, umano e animale, coinvolgendo sentimenti opposti e collegati: timore e dominio, venerazione e controllo. Niccolò Scaffai (Firenze, 1975) insegna Letteratura a Losanna. Dopo dieci anni di ricerche, studi, corsi, lezioni, contributi, saggi ha concepito un bel volume che affronta organicamente i nessi fra “Letteratura e ecologia”. Adotta definizioni e criteri, sottolineando le tre accezioni fondamentali del termine: studio di relazioni, insieme di attività, principio di tutela. Esamina le prospettive critiche e teoriche, insieme a costanti del rapporto fra uomo e natura. Ragiona sui dispositivi che definiscono la presenza dell’ambiente nelle opere d’invenzione (dallo straniamento al cambio di prospettiva animale o temporale). Considera il caso dei rifiuti e della letteratura italiana del secondo dopoguerra. Ricchissimo corredo di citazioni accurate e ampia bibliografia.

 

Rossana Rossanda

«L’anno degli studenti»

manifestolibri

(prima edizione giugno 1968)

94 pagine, 12 euro

Università (non solo italiane e francesi). Inizio 1968. Soprattutto nel 2018 molti stanno riflettendo sul significato del ’68, quando accadde alcuni partirono, furono permeabili e si rimisero subito in discussione. Rossana Rossanda (Pola23 aprile 1924) era allora deputata del Pci, in Commissione cultura, a fine legislatura (iniziata nel 1963, gli anni del primo centrosinistra, Psi e Pci su fronti opposti). Dopo poche settimane quell’anno accademico prese la strada della politica, si discuteva della riforma universitaria proposta dalla Dc, gli studenti in tante sedi decisero di dire la loro, parti in causa: assemblee, proposte, agitazioni. Rossanda si considerò partito in causa, andò in giro per l’Italia, cercò di capire. Da Trento a Milano, Torino, Genova, Pavia, Firenze, Cagliari, Salerno, Napoli, Sassari, Padova, Lecce, Venezia, Pisa, Roma. E a maggio partì con Magri (e Maone) per Parigi. Ecco “L’anno degli studenti”, stile chiaro, spirito critico, prospettiva reattiva.

 

Claudio Tuniz e Patrizia Tiberi Vipraio

«La scimmia vestita»

Carocci

272 pagine, 21 euro

Il pianeta (delle scimmie). Prima e ora. Il mondo non gira intorno a noi. La specie umana e l’umanità contemporanea sono il prodotto degli stessi processi che hanno originato tutti gli altri organismi viventi. Quel che accade oggi e, in larga parte, quel che accadrà sono la risultante del lungo processo evolutivo che ha avuto luogo nel nostro passato profondo, di processi adattativi e circolari di un sistema vitale complesso e integrato. Quella che, vista con gli occhi di oggi si chiamava civilizzazione, appare piuttosto come un processo di domesticazione e autodomesticazione, imperniato sulla capacità (acquisita) umana di pensare attraverso simboli, di inventarci realtà immaginarie che poi diventano reali, nelle nostre menti, e ci consentono di pianificare, di cambiare direzione e di reindirizzare le nostre energie per scopi diversi. L’evoluzione e l’adattamento si svolgono attraverso reti di continue interazioni – non lineari e a diversi livelli della struttura biologica – che collegano tra loro i rami delle diverse specie, e questi all’ambiente, attraverso processi circolari e retroattivi. Sappiamo che molte altre specie umane hanno preceduto noi Homo sapiens, che altre ancora ci sono state contemporanee, che loro e noi siamo stati più volte sull’orlo dell’estinzione, che innovazioni cerebrali e comportamentali ci hanno portato a un aumento frenetico della socialità negli ultimi 100.000 anni (a partire da un piccolo gruppo africano), accelerando ancora quando abbiamo iniziato ad avere un impatto globale sull’ambiente (circa 50.000 anni fa) e siamo restati (poco meno di 40.000 anni fa) l’unica specie sul pianeta, capace di diventare davvero un “organismo sociale” cosmopolita: grazie all’elevata capacità migratoria (e alla conseguente “ambiguità” territoriale, con maggiori gradi di libertà per stanziamenti e dispersioni) ci siamo sempre incrociati fra gruppi diversi e nessuno può associare la propria origine a un determinato territorio!

Il fisico Claudio Tuniz e l’economista Patrizia Tiberi Vipraio hanno già (ben) narrato una biografia (non autorizzata) della nostra specie. Ora iniziano la storia evolutiva dall’assunzione della posizione eretta (una svolta per deambulazione e alimentazione), proseguono con il graduale passaggio da prede a predatori (grazie anche al controllo del fuoco), cui si associa l’aumento del volume cerebrale per giungere al decisivo culmine (specifico): la nascita del pensiero simbolico (rappresentare, raccontandola, una realtà alternativa e trasformarla così in esistente), dalle tracce più episodiche e antiche ai possibili sviluppi futuri individuali e generali. Non si limitano certo alle proprie discipline, si addentrano con sintesi efficace nei territori dell’antropologia, archeologia, biologia, geologia, geografia, medicina, ingegneria, informatica e, ancora, neurologia, fisiologia, demografia, psicologia, sociologia. Ed è costante l’aggancio fra fenomeni e concetti che ci appaiono moderni o contemporanei con anticipazioni e preludi del Paleolitico e del Neolitico. Per giungere all’oggi: l’aumento demografico e l’instabilità climatica saranno i maggiori responsabili della conflittualità umana durante questo secolo. A settantamila anni dalla prima, ci sarà una seconda grande uscita dei sapiens dall’Africa, non per sostituire i Neanderthal ma per riempire il vuoto lasciato dalla scarsa natalità dei sapiens autoctoni. In più ci sarà un nuovo protagonista: l’intelligenza artificiale (un’intelligenza raffinata e ora tendenzialmente autonoma, ma anche “primordiale” della nostra specie), contributo-rischio per gestire la complessità delle relazioni sociali. Al termine si trovano sia le note esplicative distinte per ciascuno dei quindici capitoli, sia l’ampia bibliografia (poco italiana), che mostra la rete interdisciplinare e aggiornatissima dei riferimenti utilizzati dagli autori.

 

Giuseppe Cassini e Wasim Dahmash

«Alfabeto arabo-persiano. Quando le parole raccontano un mondo»

Egea

278 pagine, 28 euro

Da migliaia di anni. In una parte del mondo. L’arabo è lingua semitica di cui vi sono tracce assire del IX secolo a.C., enormemente propagatasi con l’Islam, idioma di medicina astronomia matematica filosofia mistica poesia, oggi parlato (in forma moderna) da oltre 300 milioni di persone in almeno 22 paesi, una delle 6 lingue ufficiali dell’Onu, scritto (e letto) da destra verso sinistra. L’ambasciatore italiano Ino Cassini (S. Margherita Ligure, 1941) e il docente arabo Wasim Dahmash (Damasco, 1948) con il colto chiaro “Alfabeto arabo-persiano” restituiscono agli italiani, compresi i tre milioni di musulmani qui residenti, una lingua non confiscata dal potere religioso. Due parole chiave per ognuna delle 28 lettere (tre per la prima, alif), una per le 4 proprie solo dell’alfabeto persiano, scelte per narrare di storia e geografia, cultura e politica (con riquadri sapidi di esperienze vissute e ricca bibliografia), per capire il mondo, tutto meticcio. Diritti per Medici Senza Frontiere.

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