Beate fra le donne: i pianeti di Tiptree-Sheldon e altre

di Fiorella Iacono (*)  

Le donne che si incontrano nei romanzi di fantascienza fino agli anni 60 hanno scarsa importanza per l’evoluzione della trama: sono assenti, o quasi, personalità di spicco femminili. La moda dominante e gli schemi narrativi prevedono donne oggetto, subordinate al protagonista-eroe, con ruoli del  tipo moglie-fidanzata; o bellissime ma possibilmente poco vestite, ispiratrici di sentimenti velatamente sessuali: mai avrebbero osato prendere in mano un’arma o  essere a capo di iniziative  o scoperte su altri mondi. Oppure esiste il caso opposto, donne malvagie, streghe o vampire estremamente vendicative, stipulatrici di patti col diavolo («Rosemary’s baby»).

L’unica eventualità in cui la donna poteva fare valere la sua intelligenza era al prezzo di perdere  parte dei  connotati femminili, la sua sessualità, per acquisire caratteristiche nettamente maschili. E’ il caso della famosa Susan Calvin, protagonista di molte storie robotiche di Isaac Asimov, che alla conoscenza robotica  ha sacrificato la vita e, secondariamente la sua identità femminile. Susan Calvin  rimarrà sessualmente insoddisfatta per tutta la vita.

In questo panorama (piuttosto sconsolante fino a pochi anni fa) unica eccezione maschile è stato Theodore Sturgeon che ha costruito personalità femminili che avevano un loro senso “nell’esserci” e rientravano  autonomamente (non subordinate agli uomini) nel suo universo strano e complesso in cui cose piccole e banali  nascondono regole e misteri alla luce di una fantasia profondamente umana: racconti come  «Le mani di Bianca» del 1947, crudelissima storia d’amore, o il personaggio di Zena, in «Cristalli Sognanti», dolcissima nana ricca di intelligenza e umanitá.

Per il resto, come giustamente nota Laura Serra in «fantascienza al femminile» (su Urania numero 1021) «perché la donna possa assurgere al ruolo di protagonista, diventare capace di dipanare intrighi e  trovare soluzioni  a difficili problemi, deve essere di minima avvenenza, inesistente sex appeal e scarsa penetrabilitá umana: una specie di ibrido maschio- femmina».

Negli ultimi quindici-vent’anni, piano piano un’ondata  di scrittrici (per lo più statunitensi) ha sconvolto l’universo sessista della science fiction. Non tutte sono ancora note o tradotte in Italia. Per questo la quasi contemporanea uscita di un romanzo di ricerca – «E sarà la luce» (da Mondadori) di James Tiptree alias Alice Sheldon  – e di un romanzo breve di Joanna Russ, «Picnic sul paradiso» sul numero 1026 di Urania, costituisce un piccolo avvenimento editoriale.

Accanto ad Ursula Le Guin –  di cui gli Editori riuniti pubblicano ora anche i saggi raccolti in «Il linguaggio della notte» – che è  l’unica autrice tempestivamente tradotta in Italia, ci sono altre scrittrici di grande talento: Alice Sheldon appunto, Marion F. Bradley, Anne McCaffrey, Carolin Cerryh e Joanna Russ.

In questi giorni è uscito l’ultimo romanzo di Tiptree-Sheldon: «E sarà la luce»: concentrato nello spazio di un giorno, parla del pianeta Damien, dove alla luce del passaggio di un fronte di Nova, le esistenze di 15 persone verranno sconvolte dal sorgere di conflitti inaspettati. Di Joanna Russ esce invece «Picnic su paradiso».

Se la Sheldon- Tiptree, grazie anche alla clamorosa beffa (per anni si è finta uomo) ha avuto vita facile almeno in USA,  Joanna Russ, probabilmente a causa della sua dichiarata militanza omosessuale, non è riuscita sempre a farsi pubblicare ciò che scriveva nemmeno in patria.

Joanna Russ appartiene, con Tomas Dish  e Samuele Delany, al fronte più avanzato della New Wawe americana. Nata nel 1937, si interessò presto  alle scienze naturali, si laureò con una tesi sui funghi e seguì un corso di arte drammatica alla Yale University. Ha scritto tre romanzi  – «Picnic on paradise» del 1968, «And chaos died» del 1970 e «The female  man» del 1975 – e numerosi racconti.

Con la Russ ci  troviamo in mondi dove, nella maggior parte dei casi, l’uomo si è estinto per lasciar posto ad avanzate ed evolute società di donne che si riproducono per partenogenesi o per amalgami di cellule e aborriscono il maschio. La donna, eliminando l’uomo della sua vita, ha così cancellato anche  lo stereotipo della femminilità.

In «Quando cambiò» (premio Nebula del 1972 , pubblicato in «Robot» numero 21 del 1977) la comparsa dell’uomo sul pianeta delle donne («… posso soltanto dire che erano scimmie con il volto umano» – dice un ‘abitante del pianeta Whileaway, che significa “mentre siete via” – «più grossi di noi, pesanti  come cavalli da tiro») suscita sentimenti di orrore e repulsione .Il racconto si conclude con una frase che spiega molto sulla filosofia della Russ: «prendete la mia vita ma non toglietemi il suo significato» che ci riporta al concetto di donna che l’uomo ha spesso immaginato.

Le novità che Joanna Russ  porta  all’interno della fantascienza non sono solamente  a livello degli intrecci attraverso i quali le utopie diventano adesione al femminismo radicale; anche  il linguaggio è nuovo, efficace. Con la Russ  la  science fiction diventa campo di sperimentazioni: il linguaggio e lo stile si adattano a esprimere diverse esperienze  extrasensoriali provenienti dal mondo interiore («And caos died»). I suoi personaggi non conoscono le mezze misure: soprattutto in «The female man», le cui quattro protagoniste riassumono quattro modi possibili di essere donna, in un contesto estremizzato dei nostri problemi.

In linea di massima la fantascienza scritta da donne si snoda attorno a tre punti chiave: la sessualità, la maternità e la riproduzione.

Uno degli esempi più calzanti è «La mano sinistra delle tenebre» di Ursula Le Guin, scritto nel 1969, che tratta delle relazioni sessuali di esseri appartenenti a mondi diversi dal nostro: siamo su un pianeta dove la sessualità non ha attributi definiti fissi: il periodo di attività sessuale, il “kemmer”, può rivelare a volte particolarità maschili, a volte femminili perciò si può essere indifferentemente padri o madri.

Sembra inspiegabile (e inconcepibile ) l’aura di asessualità che ha segnato a lungo la science fiction, ed è merito delle scrittrici, interessate alla fantascienza antropologica più che a quella di taglio  tecnologico, se ora – oltre a robot, macchine del tempo, guerre stellari – si è cercato di immaginare menti, psicologie, culture e società assolutamente aliene. Una science fiction che non ama le scienze dure (fisica, chimica) ma quelle morbide (psicologia, antropologia).

Legata a una visione psico-antropologica dell’immaginario scientifico è Alice Sheldon, alias James Tiptree junior. Grazie alla rivista «Robot» molti suoi racconti sono noti al pubblico italiano. Per anni, nessuno ha sospettato che dietro a questo pseudonimo si celasse  la psicologa Alice Sheldon; è stata una delle più riuscite beffe letterarie.

Fino a qualche tempo fa non era facilmente conciliabile l’essere donna e voler  pubblicare fantascienza, genere per tradizione destinato a un pubblico maschile. Ad alcune autrici (anche alla Le Guin all’inizio) fu offerto di pubblicare con le sole iniziali, in modo che il lettore non si accorgesse di aver di fronte l’opera di una donna. È il caso anche del romanzo di Caroline Cherryh, «Il popolo ombra», squisitamente fantatecnologico, uscito pochi mesi fa nella collana Galaxys, dove il nome della scrittrice è accuratamente nascosto dalle anonime iniziali C. Y.

Tornando alla Tiptree, ci troviamo di fronte a un’autrice attenta, come nel caso della Russ, al linguaggio e alle forme di comunicazione che potrebbero connotare altre forme di civiltà. «La via delle stelle» a esempio è la descrizione di una razza intelligente che sta per essere distrutta da una misteriosa forza negativa e viene a contatto con alcuni esseri umani: si crea un confronto diretto fra la nostra civiltà (cultura ,sessualità eccetera) e quella aliena, basata sulla telepatia e l’emissione di colori, sensazioni e scambi di energia. Sicuramente la Tiptree- Sheldon è abilissima nel dare ad ogni mondo il suo linguaggio. A questo l’autrice unisce la sua conoscenza della psicologia che serve soprattutto nelle parti più introspettive. La  costruzione di personaggi femminili, come Tivonel, è fuori da ogni stereotipo. Su Tyree i ruoli sessuali  e sociali sono completamente ribaltati rispetto ai nostri: gli uomini allevano i figli le donne aspirano alla maternità.

In alcuni racconti la Tiptree ha portato sul nostro pianeta situazioni inquietanti: in «Soluzione screwfly» (su «Robot» 37 dell’aprile 79) un virus induce gli uomini al femminicidio, fino al punto di eliminare  le donne dalla Terra, e costringendo le poche superstiti  a rifugiarsi nei boschi, ritornando  a una condizione primitiva. In realtà, ciò che viene alterato inspiegabilmente è il rapporto  aggressività/sesso («sembra appropriato congetturare, nell’attuale  crisi, che essa possa essere causata da qualche sostanza che provoca il blocco della funzione attivante di accensione  sessuale»): l’impulso sessuale si trasforma in impulso omicida.

Situazione per certi versi analoga, anche se non riguarda nello specifico le donne, in «Il dono dell’angelo» (è nell’antologia «Il meglio di If», numero 3, edizioni Mursia, pubblicato nel 1974) dove un gruppo di extraterrestri, interessati al “fremth” terrestre  – una condizione dovuta alla configurazione elettromagnetica che per loro è fonte di benessere – manda le persone migliori su un altro  pianeta, essendo sicuri che quelli rimasti si annienteranno fra loro ed essi potranno così occupare la Terra.  

(* ) Questo articolo di Fiorella Iacono è uscìitosu «il manifesto» del 10 luglio 1986 (db)

Redazione
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5 commenti

  • La protagonista di Rosemary’s baby non era malvagia..era semmai vittima di una congiura, il patto col diavolo non l’ha stipulato, lo ha subito a sua insaputa
    Comunque il personaggio della moglie/fidanzata può pure non essere insignificante (e vale anche per le vituperate “damigelle in pericolo”)..la cosa importante è avere dei personaggi femminili ben caratterizzati come quelli maschili, che siano negativi, positivi, belli o meno,buoni o malvagi (o con tutte le sfumature tra i due) dotati di sex appeal o no, basta che siano coerenti col tipo di storia narrata.

  • donne e uomini con quel carattere potrebbero esistere, esitono o no? Se la risposta è sì il personaggio è riuscito

  • e pure i sentimenti velatamente o meno sessuali esistono ed è legittimo raccontarli

  • Grazie Paolo! Tieni conto che questo articolo, pubblicato da db in occasione della ristampa di Tiptree, è stato scritto mooooolto tempo fa quando davvero le donne scrittrici di s/f erano rare e poco conosciute e , precedentemente, gli stereotipi erano molto pesanti.
    Ciao!

    • ne prendo atto anche se mantengo le mie convinzioni. E su Rosemary Woodhouse confermo quanto ho scritto.
      Comunque mi pare di ricordare che anche Straniero in terra straniera di Heinlein non avesse anche dei personaggi femminili di spessore

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