Bologna la magra. Il benessere eroso …

…  SOTTO I COLPI DI RENDITA E INFLAZIONE.

di Alessandro Canella (*)

L’epiteto proverbiale che si è conquistato Bologna, quello di “grassa”, è dovuto alla sua cucina tutt’altro che light, che simboleggiava una certa opulenza e un certo “odor di benessere”, come cantava Guccini.
Scene, dati e fatti degli ultimi tempi, tuttavia, suggeriscono un’immagine diversa, più “magra” almeno per una cospicua fetta della popolazione. Lo dicevamo qualche mese fa con l’analisi sulla “Bologna elitaria” e da allora sono arrivate solo conferme, anche se avremmo preferito non avere ragione.

L’impoverimento dei bolognesi a causa di rendita e inflazione: ecco Bologna la magra

Per la prima volta dopo tanto tempo, tutti i sindacati – da quelli confederali a quelli di base – sono stati concordi nel proclamare uno sciopero dei dipendenti comunali. La ragione: l’insufficienza del salario per affrontare il costo della vita in città.
Tra i dipendenti pubblici, però, quelli comunali non sono gli unici che se la passano male. La Regione è stata costretta a stanziare risorse e fare una ricognizione di alloggi pubblici sfitti per scongiurare che i professionisti della sanità, a partire dagli infermieri, cercassero lavoro altrove perché impossibilitati a trovare un alloggio a prezzi accessibili. L’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Paglia, ha osservato che il rischio è la tenuta stessa del servizio sanitario, già traballante.

Allo stesso modo, Tper fa fatica a trovare autisti perché quelle che un tempo erano considerate paghe dignitose oggi non consentono più di avere una vita senza crucci economici. Se a ciò aggiungiamo che guidare un bus nella città tempestata di cantieri, con passeggeri innervositi e automobilisti impazziti è fonte di grandissimo stress, ecco che, a quelle condizioni, a pochissimi viene la voglia di cogliere l’opportunità di un lavoro sicuro.

Se queste sono le condizioni nel settore pubblico, che solitamente è più tutelato, immaginiamoci cosa accade nei settori privati. La scena più vergognosa è quella delle tende sotto il portico della Chiesa dell’Annunziata. Ad accamparsi non sono migranti espulsi dal circuito di accoglienza o studenti che protestano contro il genocidio in Palestina. Sono i cosiddetti “working poors”, persone che pur avendo un lavoro vivono in condizioni di povertà.
La loro quota, secondo il recente report dell’Istat sulla povertà, è in aumento in tutta Italia, ma ovviamente si fa più sentire dove il costo della vita è più alto.

Nelle interviste agli accampati pubblicate sulla stampa locale emergeva un dato: un lavoro a Bologna si trova, ma la casa resta inaccessibile. Ciò significa due cose: da un lato, il mercato immobiliare, in particolare quello dell’affitto, è impazzito a causa del noto problema degli affitti turistici, che di riflesso hanno indotto a rincari speculativi anche i proprietari degli alloggi per la locazione tradizionale. Un bilocale di pochi metri quadrati oggi in città tocca facilmente gli 800 euro al mese.
Dall’altro, però, significa che gli stipendi sono bassi, le paghe oggi sono da fame. E ciò avviene sia perché in Italia non esiste più un meccanismo automatico di indicizzazione degli stipendi con l’inflazione, sia perché a Bologna ad essersi sviluppati negli ultimi tempi sono soprattutto attività economiche a basso valore aggiunto, contraddistinte da precarietà e intercambiabilità della forza lavoro. Tutti elementi di ostacolo ad una forza contrattuale.

Come abbiamo già avuto modo di dire, questi fenomeni non sono presenti solo a Bologna, ma colpiscono un po’ tutti i grandi centri urbani, in particolare quelli che negli ultimi vent’anni hanno inseguito politiche di gentrificazione e attrazione turistica, esponendosi più o meno consapevolmente all’arrivo e alla morsa di capitali.
Ciò che sembra mancare oggi è la leva per ripristinare l’equilibrio, in particolare per frenare la discesa verso l’impoverimento di una parte cospicua della popolazione. I rimpalli delle responsabilità e della titolarità di azione tra governo centrale ed enti locali non risolve certo la situazione. E mentre le società partecipate macinano utili che servono alla componente pubblica a ripianare gli ammanchi dei trasferimenti dello Stato, a pagare quegli extraprofitti sono paradossalmente quei cittadini che poi avrebbero bisogno del welfare pubblico.

(*) Tratto da Radio Citta Fujiko.

 

Bologna diseguale: al 4% delle/i residenti un quarto della ricchezza

Circa il 43% delle/i contribuenti invece percepisce cifre inferiori ai 20.000 euro di imponibile, detenendone soltanto il 13,4% del totale. Il reddito medio degli uomini superiore del 41% rispetto a quello delle donne.

Se in Emilia-Romagna quasi una famiglia su dieci non riesce ad arrivare a fine mese, un dato molto interessante su Bologna dice che appena il 4,3% delle/i cittadine/i detiene quasi un quarto (il 23%) del totale dei redditi, dichiarando una cifra superiore agli 80.000 euro all’anno.
Circa il 43% delle/i contribuenti invece percepisce cifre inferiori ai 20.000 euro di imponibile, detenendo soltanto il 13,4% del totale della ricchezza. E il 70% delle/i cittadini resta al di sotto della soglia dei 30.000 euro lordi all’anno.
E’ quanto emerge dall’analisi annuale stilata dall’Ufficio statistica del Comune, relativa ai redditi 2023. In una città che mostra di essere sempre più escludente, il reddito medio ammonta a 28.573 euro lordi per contribuente con un incremento del +3,6% rispetto al 2022, ma inferiore alla variazione percentuale media annua dell’indice dei prezzi al consumo per il 2023, che è stata del +5,6%. Il reddito mediano (valore che divide esattamente a metà la distribuzione, posizionando il 50% dei contribuenti sopra questa soglia e l’altro 50% sotto) è pari a 22.778 euro, in crescita del 6,6% rispetto all’anno precedente.

Guardando al genere, il reddito imponibile medio dei maschi è di 33.548 euro e risulta ancora superiore del 41% rispetto al reddito imponibile medio femminile, fermo a 23.769 euro. Il reddito mediano è invece risultato per gli uomini di 25.110 euro e per le donne di 20.561 (22,1% in più), con un minore scarto di genere, che significa che tra i contribuenti maschi vi è una maggiore concentrazione del reddito e cioè una più elevata presenza di chi percepisce redditi medio-alti e alti.
Situazione confermata da un altro dato: fino a 20.000 euro di imponibile il 36,7% dei contribuenti sono uomini e ben il 48,5% sono donne. Se si considera la soglia dei 30.000 euro le due quote passano rispettivamente a 61,9% e 74,3%. Guardando invece alle fasce di reddito più alte, ha dichiarato una cifra superiore agli 80.000 euro il 10,7% degli uomini (cui appartiene il 39,6% dei redditi), mentre per le donne si scende al 4,9% delle contribuenti, cui si riferisce il 20% degli importi dichiarati.

Per quanto riguarda le diverse aree della città, i redditi mediani più elevati si registrano nella zona Colli, nelle quattro zone del centro storico cittadino (Galvani, Malpighi, Marconi e Irnerio), nella zona sud dell’area cittadina.
I redditi mediani più bassi caratterizzano invece le zone della periferia ovest e nord, con i valori minimi in Bolognina e San Donato. Il numero dei contribuenti residenti italiani tra il 2022 e il 2023 è salito da 260.361 a 262.385, quello degli stranieri da 33.233 a 33.523 (erano 10.496 nel 2002, pari soltanto al 3,5% del totale). Il reddito mediano sancisce il divario esistente a sfavore degli stranieri: gli italiani dichiarano 24.818 euro, gli stranieri 12.991 euro.

Tratto da ZIC – Zero in Condotta.
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alexik

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