Cametti, Danese, Hobbs, Malvaldi, Verasani e Winslow

6 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio (*)

Tosca-Puccini

Marco Malvaldi

«Buchi nella sabbia»

Sellerio

Pisa. Fine primavera 1901. Il direttore del quotidiano “La Stampa” Alfredo Frassati invia a Pisa il proprio corrispondente per musica, arte e costume Ernesto Ragazzoni, cronista e poeta, ateo e anarchico, un vero bipolare con voce di sassofono e barbona nera. Stanno allestendo per il primo giugno al Teatro Nuovo un’importante rappresentazione della Tosca (molte scene d’azione e poche arie) di Puccini (da lui stesso diretta a Carrara un mese prima), alla cui prima, oltre a sindaco e molti notabili locali, sarà presente il nuovo re d’Italia (da meno di un anno) Vittorio Emanuele III, che sosterà nella tenuta di San Rossore. Il precedente re Umberto I è stato da poco ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci, c’è molto fermento in Toscana. Mentre si cerca di ottenere il massimo dalla compagnia suonante e cantante, i Carabinieri sono all’erta per evitare attentati e proteste, anche perché Bresci si è appena suicidato (?) in carcere. Pure il tenore è un carrarese anarchico militante, Ruggero Balistrieri, pieno di sé come tanti nello spettacolo (e altrove). Sul palcoscenico un omicidio avviene davvero, al momento degli spari dei quattro del plotone d’esecuzione del pittore Cavaradossi.

Gran successo per Marco Malvaldi (1974) che fa ancora centro, divertendosi con il genere e facendoci divertire. Il chimico scrittore (pure cantante diplomato al conservatorio) narra con competenza e arguzia dell’opera lirica e del periodo storico, in terza persona varia. La trama gialla è congegnata come “un dramma giocoso in tre atti”, pure con i personaggi in ordine di apparizione. Chi uccide verrà trovato, con l’aiuto di Ragazzoni, dall’alto 27enne tenente del corpo delle Guardie Reali Gianfilippo Pellerey. Oltre alle passioni politiche ci sono di mezzo affari, amori, parentele e iettature. Il titolo prende spunto dal verso di una quartina che il giornalista (realmente esistito) declama nel romanzo sopra una sedia durante il buffet degli indagati (testo effettivamente pubblicato in vita come “Ballata”). Molti i riferimenti a fatti e personaggi storici, al maestro lucchese 42enne Giacomo Puccini, al pigro goloso viveur Gioacchino Rossini e alla storia della musica in teatro. Alla fine sapremo anche di più sulla gerarchia delle offese previste dal codice cavalleresco italiano, sulle sfide triangolari a duello e sul modello di fucile Carcano ’91 con caricatore Mannlicher.

 

Grazia Verasani

«Senza ragione apparente»

Feltrinelli

Bologna. Inizio autunno. Giusy, l’alta bella moglie di Luca Bruni, va a trovare la 46enne Giorgia Contini, sa della loro storia, una forte amicizia trasformatasi in un appassionato amore e da poco in una convivenza, è convinta che non durerà. Dubbi di paura li ha pure Giorgia, brava investigatrice privata, incallita fumatrice e bevitrice, impulsiva atea e solitaria, soprattutto dopo la morte sia della sorella (suicida incinta) che della mamma. Luca ha marcati irregolari lineamenti, occhi sulfurei, è un poliziotto zelante e meticoloso, pianificatore nato e spartano, dedito a lavoro e famiglia (Mattia quasi 16enne), avevano collaborato con professionalità e simpatia. La madre di un 17enne suicida si rivolge a Giorgia, vuole capire ragioni del gesto, lei prova a indagare. Nelle scuole e anche al liceo scientifico ci sono storie di bullismo e gelosia, di droghe e violenze. Fra l’altro Mattia lo conosceva, poi capita un secondo suicidio, la polizia riapre il fascicolo. L’agenzia investigativa Cantini (prima la bazzicava pure il padre, ex maresciallo dei carabinieri in pensione) si arrabatta fra vari casi, la giovane assistente Genzianella fa gli straordinari per venire a capo di tutti.

La bolognese scrittrice e cantautrice, attrice e doppiatrice Grazia Verasani (1964) confeziona uno dei suoi migliori noir, come sempre narrato in prima persona dalla riuscita protagonista. Scrive buone storie e musiche da ormai trenta anni, romanzi da oltre 15, il primo con Contini nel 2004 (ne furono tratti un film da Salvatores e una serie televisiva). Questo è il quinto e ha ottenuto una meritata menzione speciale al Premio Scerbanenco 2015. Il titolo riprende la frase che Bruni e il preside usano, ragionando sui ragazzi che la fanno finita. L’appassionata compulsiva di gialli è l’assistente Gen, lunghi capelli biondo cenere, sguardo imbambolato, alta e massiccia, atea e comunista; delusa dall’unico ex fidanzato considera piaceri fondamentali della vita l’ossobuco, la torta della nonna, castagne d’inverno e gelati d’estate, il salamino piccante sulla pizza. Valle a dar torto! Contribuisce a suo modo a risolvere sia il caso di un infedele cronico che sta per sposarsi che quello dei gatti che spariscono nel palazzo dell’ufficio. Colonna sonora per tutti i gusti e le età: da Paolo Conte ai Darkness, senza dimenticare i rappers.

 

Roger Hobbs

«Pronti a svanire»

traduzione di Alfredo Colitto

Einaudi

Mar Cinese meridionale. Mesi fa. Nel centro del contrabbando mondiale tre pirati su un peschereccio assaltano con successo uno yacht di contrabbandieri, trovano la borsa con 26 preziosi zaffiri e, inaspettatamente, qualcos’altro. La coordinatrice del colpo è a 300 chilometri di distanza su una limousine. Il killer professionista si accorge del valore della scoperta, elimina i due complici, prova a gestirla da solo col canotto di salvataggio. A riva viene ucciso e decapitato da un atletico biondo con occhi castani in motocicletta. La testa arriva in albergo ad Angela con uno strano messaggio, non sa che lo yacht conteneva altra ricchezza. Solo l’unico uomo che conosce il suo passato può salvarla, si trova in Oregon, non lo sente da 6 anni, riesce a contattarlo e lui parte, è l’Ombra, non ha nome né telefono fissi, tanti pseudonimi quanti passaporti, massimo ogni sei mesi si sposta, paga in contanti, Jack, un 38enne impostore e rapinatore professionista (ha imparato tutto proprio da Angela, la sua mentore a New York, dieci anni prima), polpastrelli bruciati, niente droghe (l’eroina ha ucciso la madre) o mutui o fidanzate e omicidi inutili. Ora debbono trovarsi, salvarsi e svanire.

Il giovane Roger Hobbs (1988!) vive tranquillo a Seattle ed è al secondo successo (“Vanishing games”) della sua Ombra, quello che vive, dorme, mangia solitario, non si fida di nessuno, quando non lavora traduce i classici (greci e latini), cambia sempre tutto il resto: identità, aspetto, residenza, mezzi. Proprio per questo (forse) il personaggio tende a stancare. Mangiare, bere, dormire, conversare non sono all’ordine del giorno; stagioni e sentimenti sono irrilevanti. L’adrenalinica narrazione, in prima e terza varia, è ambientata fra Macao e Hong Kong, con frequenti riferimenti al precedente comune colpo di Kuala Lampur. I protagonisti sono tutti criminali, più o meno violenti ed efferati, più o meno internazionali: competono per procurarsi milioni di dollari (anch’essi in qualche modo proventi criminali e criminogeni), in mezzo a violenze di spie e governi. Non è un giallo, esattamente nemmeno un noir o una spy-story, piuttosto un hard-boiled on the road delle metropoli globali, descritte nei dettagli di tutti i loro non-luoghi. Non a caso Hobbs ha scritto la tesi su Poe e ha vinto premi intitolati a Ian Fleming e al Falcone Maltese.

 

Elisabetta Cametti

«Il regista»

Cairo

New York. Ieri. La 32enne fotografa giornalista Veronika Evans, occhi verdi e scuri capelli mossi, naso affilato e mascella marcata, orfana di fatto con disturbi ossessivi, ritrae senzatetto per scuotere l’indifferenza dell’opinione pubblica e ci riesce: ha innumerevoli followers, qualche denuncia, grande successo. Le rubano un furgone e vi fanno trovare dentro un conduttore di talk show, lo hanno ucciso col cianuro strappandogli i bulbi oculari. In poco più di un giorno un piano preparato meticolosamente per tanti mesi ha un doloroso crudele svolgimento omicida. Terzo romanzo in due anni per la dirigente editoriale internazionale Elisabetta Cametti (1970). «Il regista» avvia una nuova serie dopo il successo dei thriller di K, Katherine Sinclaire. Si vive nel dolore e nel terrore, ci sono folletti cattivi fra di noi.

 

Don Winslow

«Il cartello»

traduzione di Alfredo Colitto

Einaudi

Messico. L’ultimo decennio. Nel 2004 l’integerrimo incorruttibile 44enne Art Arturo Killer Keller fa l’apicoltore già da 4 anni nel monastero di Cristo del Deserto. Intelligente cattolico cresciuto in un barrio californiano, padre bianco, madre messicana bella come il figlio, zazzera scura, naso prominente, Ucla, moglie progressista e due bravi figli, Operazione Condor in Vietnam, poi agente Cia e Dea, ha dedicato vita e carriera alla guerra contro la droga, la famiglia non c’è più. Non vorrebbe più incrociare violenza, però lo rintracciano e lo avvisano: il suo amico giovanile e acerrimo nemico ultimo dei Barrera vuole andare dal supercarcere di San Diego al funerale della figlia deforme e ha accettato di confessare, mettendo pure una taglia di due milioni di dollari su Art, che lo aveva fatto arrestare. Il malvagio aristocratico Adán Barrera è un poco più giovane, basso smilzo, dolci occhi bruni e capelli neri, grande contabile imprenditore, orfano del possente violento fratello Raul e dello zio che dal piccolo distretto messicano di Badiraguato aveva preso in consegna il coordinamento di tutti i traffici malavitosi del confine con gli Usa (3200 km). In carcere si fidanza gentilmente con Magda, poi evade e torna a essere il patron, deve sconfiggere altri narcos, alleati in modo incrociati con poliziotti e federali. Keller si rimette sulle sue tracce e si innamora di Marisol, ricomincia la caccia reciproca. Succede di tutto e di più, realmente.

Nuovo imperdibile capolavoro di Don Winslow (New York, 1953), californiano da decenni. Dieci anni fa aveva pubblicato un magnifico romanzo con gli stessi protagonisti, “Il potere del cane”, ambientato soprattutto nel 1997. Le storie del narcotraffico avevano iniziato a intrecciarsi nel 1975 e sapevamo solo che Art e Adan (e anche Sean e Nora, che qui vengono solo di rado evocati) erano rimasti vivi, migliaia e migliaia erano morti per loro mano o causa loro. La mattanza riprende, in quasi ogni Stato e anfratto del Messico (c’è un’utile piantina a pagg. 6-7): un continuo alternarsi di battaglie furibonde e alleanze tattiche fra criminale e criminale, gang e gang, Usa e Messico, agenti, servizi e corpi pubblici, politici. Non c’è niente di inventato e anzi le due elezioni presidenziali del 2006 e del 2012 sono raccontate in modo corretto e dettagliato. Chi conosce le storie dei femminicidi e delle maquiladoras, i differenti downtown e porti, le tradizioni e i cibi locali, le specifiche dinamiche ed evoluzioni dei vari cartelli, gli intrecci con il commercio di armi e con gli organi di informazione, gli affari con il Guatemala e la ‘ndrangheta scoprirà che quasi tutto è vero (non solo verosimile), stupendamente narrato (in terza varia) con un epico romanzo corale di quasi 900 pagine.

 

Anna Maria Danese

«La cosa doppia»

Besa

Estate. Marina di Ostuni, poco a nord di Brindisi, proprio di fronte all’Albania. Di lì è Elena Nenè Aliota, bel sorriso, labbra sensuali, occhi inquisitori; usualmente vive in Spagna dove si era infelicemente sposata con l’andaluso Jaime. Ora torna in vacanza in Puglia con il commissario capo di Tarifa, l’estrema punta sullo stretto di Gibilterra, un caro massiccio amico ateo ultra 50enne che attira guai. Infatti in spiaggia assiste al rinvenimento del cadavere di una bimba abusata, stuprata, uccisa. Un’altra ragazzina aveva appena chiamato Elena chiedendo aiuto in albanese. Vengono rinvenuti altri resti di cadaveri di bimbi. C’è un cattivo e violento da qualche parte, una donna? Indagano e, con loro, nelle psichi contorte la giornalista anconetana Anna Maria Danese, brava autrice di “La cosa doppia”, secondo arso romanzo della serie.

(*) Nell’illustrazione una locandina del pucciniano «La tosca».

 

Redazione
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