Cento e passa pittori naif – 16, Rousseau detto il Doganiere
di Mauro Antonio Miglieruolo
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Nato il 21 maggio 1844 a Laval, una cittadina a Nordovest della Francia, da Julien Rousseau (lattoniere e commerciante di ferramenta) e Eléonore Guyard, Henri Julien Félix Rousseau muore a Parigi il 2 settembre del 1910.
Una vita abbastanza movimentata la sua.
Nel 1863 si arruola volontario in fanteria per evitare la casa di correzione a causa del furto di pochi franchi nello studio di un avvocato (sconta anche un mese di carcere nella prigione di Pré Pigeon). Tornerà a essere soldato nel 1870 nel corso della guerra Franco-Prussiana.
Morto il padre (1868) lascia l’esercito e si trasferisce a Parigi, dove conosce e sposa la diciottenne Clémence Boitard. Nel 1871 diventa gabelliere dell’ufficio comunale del dazio di Parigi (da cui il soprannome Rousseau il Doganiere).
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Risalgono a questo periodo le sue prime opere di un certo rilievo: Paesaggio invernale con episodio bellico (1877) e Paesaggio con mulino e carretto (1879); nonché i rapporti artistici con Félix Auguste Clément e Jean-Léon Gérôme, due pittori accademici dei cui consigli tecnici si avvale per affinare la proprie capacità di autodidatta.
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Nel 1884 ha la possibilità, frequentando il Museo del Louvre , di studiare (e copiare) i grandi autori del passato ed acquisire personalità artistica sufficiente per essere accettato nel Salon des Indépendants, dove esporrà dal 1895 al 1900; e poi al Salon d’Automne, nel quale sarà presente dal 1905 al 1907. Ma l’evidente stile naïf provocherà molte critiche e rifiuti, che continueranno a colpirlo anche dopo la morte.
Contro di lui verranno utilizzate argomenti seri (tipo le scarse capacità tecniche) ma anche inconsistenti. Quali, ad esempio, quella che la vegetazione dei suoi quadri, come quella di tutti i pittori naif che sono venuti in seguito, non è reale, essendo frutto di pura fantasia (nonché di amore per l’esotico e per l’immaginario, all’insegna di una concezione mitica del mondo).
Il problema vero era che Rousseau rifiutava di frequentare le avanguardie dei suoi tempi, non era presente nei luoghi in cui essa si ritrovava e, soprattutto, non aveva seguito studi regolari presso un qualche pittore affermato o all’Accademia di Belle Arti. Non era portatore dunque di saperi e comportamenti condivisi. In questa prospettiva le scarse capacità tecniche o il disordine stilistico riscontrabile nelle sue opere, conseguenza quasi inevitabile per un autodidatta, costituivano solo la leva per giustificare il rifiuto spontaneo del gruppo nei confronti dell’eresiarca.
Di lui è stato detto:
Col passare del tempo si assiste ad un’evoluzione del suo stile, che diventa più attento alle proporzioni, alla prospettiva e alla distribuzione della luce, meno piatta ed irregolare rispetto al passato: mentre nelle prime opere si ha una descrizione minuziosa di dati realistici, fissati sulla tela ignorando le relazioni prospettiche, nelle opere mature Rousseau realizza uno spazio bidimensionale che, insieme al colore irreale, trasforma i personaggi in miti ed emblemi, negando e superando la conoscenza razionale del tempo e dello spazio.
Nel 1907 Rousseau viene nuovamente arrestato e condannato a due anni, con il beneficio della condizionale, per tentata truffa. Le sue finanze sono dissestata, sperava di sanarle proprie per mezzo di quella truffa. Scarcerato, rimedia per mezzo dell’unico strumento che possiede: si rimette con rinnovato impegno a dipingere.
Solo negli ultimi anni di attività gli elementi portanti della sua visione artistica (il sogno, la favola, l’esotico) vengono accettati e riconosciuti. Le sue fiabesche giungle vengono accolte per quello che sono, il miraggio di una vita ideale, una vita diversa, il ritorno alle origini, parte di un mito (il paradiso in terra) che non tramonta mai.
Quantunque un po’ eretica la pittura di Rousseau costituisce un momento importante dell’avanguardia figurativa francese. Significativi riconoscimenti gli giungono infatti da parte di Guillaume Apollinaire, Odilon Redon, Paul Gauguin, Robert Delaunay, Georges Braque e Pablo Picasso. I simbolisti lo ammirano per la maestria nell’uso del colore; e Vasily Kandinsky trova che la sua opera sia alla ricerca di una spiritualità per certi versi simile alla sua.
Muore il 2 settembre del 1910 oppresso dai debiti dai quali non era riuscito a riscattarsi mai.