Ci manca(va) un venerdì – 78

Questa volta Fabrizio Melodia, astrofilosofo per destino, oscilla fra menzogna e sincerità: partendo da Tiziano Ferri arriva a Gianni Rodari ma deve passare… per Joseph Goebbels e persino per il Grande “Fardello” televisivo

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  «Mai vergognarsi della sincerità» afferma il cantautore italiano Tiziano Ferro, idolo di molte/i teenagers per la freschezza della sua musica.

  Le usanze della nostra società – nel BelPaese della Galbani – sembrano smentire questa esortazione di Tiziano Ferro: per la maggioranza essere sinceri è una cosa non solo di cui vergognarsi ma da evitare con accuratezza, poiché la sincerità, alla lunga, non paga.

  «Ci nutrono di menzogne perché la verità non si può mandar giù» tuonava ironicamente lo scrittore e poeta polacco Stanisław Jerzy Lec. Troppo spesso la verità è una moneta che non paga, un investimento fallimentare, un bene che, per quanto lo si sparga, restituisce solo erbacce e gramigna.

 Quante volte, anche nelle semplici discussioni familiari o amicali, ci troviamo a nascondere il nostro reale pensiero rispetto ai luoghi comuni e spesso fasulli nelle bocche di superficiali che si reputano invece le menti più brillanti del pianeta, solo in virtù di essere in linea con gli spot televisivi?

  E quante volte ci troviamo a mentire con i nostri amici per non ferirli o proteggerli, magari anche dai nostri casini personali, senza comprendere quanto la sincerità potrebbe essere un aiuto invece che un muro?

  O quante porte sbarrate ci si trova davanti, solo per essere stati sinceri – accade persino con le persone care – riguardo a un pensiero discordante dalla maggioranza, trovando repulsione invece che rispetto, attenzione, stima reciproca?

 In una società massificata e conformista come questa essere sinceramente liberi pensatori e coerenti implica un pesante ostracismo sociale, una solitudine vissuta talvolta nella più quieta disperazione.

  Nella società che vorrebbe essere inclusiva e partecipativa, campionessa di democrazia e tolleranza, si registra un imbarbarimento totale dei costumi e della cultura, un vero e proprio ritorno ai periodi più oscuri, in cui ignoranza, ferocia e violenza facevano da padroni.

  Chi denuncia questo stato di fatto viene lapidato a parole e, qualche volta anche con i fatti.

  Sembra che non si discuta più: si sono perse capacità dialettiche e linguistiche nelle risse verbali e fisiche dei bar, come nei talk show politici e in reality show stile “Grande Fratello”. Tantissime persone ragionano a spot e altrettanto parlano così. Poche/i hanno tempo da perdere con l’altro; bisogna lavorare, consumare, correre, non si deve perdere tempo.

  Mille spot o luoghi comuni fanno venire in mente la lugubre frase «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità», come affermava Joseph Göbbels, gerarca nazista e “dittatore della cultura” nella Germania di Hitler; a lui si devono anche i vari roghi di libri e di quadri contrari al verbo e alla morale nazista.

  Qualcuno ottimista però potrebbe ben rispondere: «Una bugia ripetuta un secolo non diventa verità» una bella rappata da parte di J-Ax. Ironico e pessimista – o realista? – Gianni Rodari che avvertiva: «nel Paese della bugia, la verità è una malattia».

Per concludere – ma una conclusione è impossibile, no? – ricordo di aver visto un certo “barbieri” che forse in “bottega” indossava una t-shirt con la frase di Mark Twain «Quando ti trovi d’accordo con la maggioranza è il momento di fermarsi a riflettere».

NELL’IMMAGINE: «Verità e falsità», scultura (1857) di Alfred Stevens

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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