«Ciao, sono Jack Vance!»

Mr. Onion scava, con delicatezza, nell’autobiografia di un grande del fantastico

Nel 1916 nacque a San Francisco il più grande «paesaggista della fantascienza», John Holbrook (Jack) Vance, capace di descrivere mondi straordinari, caratterizzare personaggi indimenticabili e rendere il lettore protagonista delle sue storie. Tratto tipico del suo stile fu essere incalzante raccontando con un ritmo avvincente storie indimenticabili. Ha sempre posto in primo piano l’avventura, tratteggiando atmosfere di mondi fantastici, proponendo ricostruzioni di usi e di costumi di società aliene. In questo modo è sempre la storia e mai lo scrittore a risaltare.

Jack Vance è stato uno degli scrittori più prestigiosi del XX secolo, tale da avere un’influenza determinante per tutti gli autori che appartengono all’olimpo del Fantasy e della Fantascienza. In suo onore è stata realizzata un’antologia curata dal geniale George R. R. Martin e dal compianto Gardner Dozois, «Songs of the Dying Earth» (2009 Subterranean Press), tradotta in tre volumi Urania [numeri 1567, 1580, 1590], in cui autori e autrici del calibro di Dan Simmons, Tanith Lee, Robert Silverberg, Mike Resnick – e tanti altri – hanno dedicato un loro racconto, ambientando storie sul palcoscenico crepuscolare del famoso ciclo della «Terra morente». Alla fine di ogni racconto hanno lasciato un pensiero su quanto Vance abbia influito sulla loro formazione.

Ecco un frammento tratto dall’ultimo volume Urania «La Terra al tramonto» [Urania 1590] in coda all’ultimo racconto “Un’invocazione dell’incuranza” di Neil Gaiman: «In una buia libreria dell’usato, dove tizi in impermeabile compravano riviste porno di seconda mano, trovai una copia delle Avventure di Cugel l’astuto, oltre a polverosi libriccini di singoli racconti (“Il Faleno lunare” è, come ritenevo allora e ritengo ancora oggi, il racconto di fantascienza dall’architettura più impeccabile che sia mai stato scritto). In quell’epoca Vance cominciava a essere pubblicato in Inghilterra, e all’improvviso per leggere i suoi libri non dovevo far altro che comprarli. Così feci: I principi demoni, la trilogia dell’ammasso di Alastor e tutto il resto. Mi piaceva un sacco il suo modo di divagare, il suo modo di immaginare, e più di tutto mi piaceva il suo modo di scrivere: ironico, delicato, divertito come si divertirebbe un dio, ma senza mai sminuire ciò che scriveva, un po’ alla James Branch Cabell, ma con un cuore oltre che un cervello».

Se cercate un libro che sveli davvero Jack Vance e i retroscena della sua vita privata, i progetti, i momenti lieti e le amicizie ecco l’autobiografia – edita da Spatterlight e da Delos – «Ciao sono Jack Vance!» che raccoglie gli appunti di un viaggio lungo una vita. Descrive la profonda amicizia con Paul Anderson, il rapporto con Frank Herbert e con tanti altri grandi della SF, ma anche passo dopo passo il riempire di bandierine un mappamondo con tutti i luoghi visitati e il continuo desiderio di migliorare e ampliare la sua casa. È il racconto dell’amore per Norma, compagna di una vita, e per il figlio John. Ci sono flash indimenticabili, che rappresentano un dietro le quinte in cui sorgevano le storie e i successi. Poco spazio è lasciato alla meccanica di scrivere: la prospettiva è rovesciata, sono protagoniste le emozioni, le avventure quotidiane e semplici dell’uomo Jack Vance. Ecco ad esempio la descrizione di un improvviso spavento: «Durante il viaggio attraverso la Norvegia ho vissuto una delle esperienze più terrificanti della mia vita. Lungo la strada attraverso la campagna sono arrivato a un tunnel. Ci sono entrato, e al momento di accendere i fari mi sono reso conto di non sapere quale fosse la leva da azionare! Ero già dentro la galleria e non potevo far marcia indietro, vedevo solo un bagliore a indicare l’uscita, circa duecento metri più avanti. Quelli sono stati i duecento metri più lunghi della mia vita. Non mi è venuto in mente che avrei potuto suonare il clacson per avvertire della mia presenza gli altri guidatori. Invece ho fatto gli scongiuri, afferrato saldamente il volante e diretto l’auto verso il chiarore in fondo al tunnel. Sono riuscito per miracolo a non urtare le pareti del tunnel e a uscirne illeso. Appena uscito, ho fermato la macchina sul ciglio della strada per calmare i nervi. Anche se non sono balzato fuori a baciare il terreno, mi sono sentito come se l’avessi fatto».

Ed ecco un momento toccante, quando entrò in un altro tunnel, cioè l’ultima parte della sua vita: «Ma un giorno la tragedia mi ha colpito. Ero andato a farmi esaminare la vista e mi avevano diagnosticato un glaucoma. Un medico lo ha trattato con il laser, ma l’operazione invece di guarirmi ha formato delle placche sui nervi ottici e la mia vista si è deteriorata rapidamente. […] Aver perso la vista mi ha costretto a una vita molto più semplice. I viaggi sono diventati un ricordo del passato […] scrivere era diventato un processo sempre più laborioso man mano che la vista peggiorava. Non ho mai pensato di dettare i romanzi su nastro, anche se questo è il metodo che ho usato per questo libro e che si è rivelato sorprendentemente efficace».

Come giustamente afferma nella nota introduttiva il traduttore, Marco Riva, «Ciao, sono Jack Vance!» è più di una biografia, è un’avventura privata. Come è stato nel tradurre, anche nel leggere invita alla gioia nei momenti più esaltanti, e alle lacrime in quelli più commoventi.

https://www.fantascienza.com/25139/ciao-sono-jack-vance

NOTA DELLA “BOTTEGA”

Ovviamente abbiamo già parlato di Vance. Vale (ri)leggere almeno questi due: post Chi ha preso la mia coppa di carne di Miscus? e Homo Vance sapiens,

Redazione
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Un commento

  • Lieto di averti conosciuto. Con colpevole ritardo.
    Sono i guai della decrepitezza, nella quale è difficile leggere più di un libro al mese (spesso neanche quello), tenersi al corrente di quello che si muoveva nella fantascienza, scriverne e approfondire il detto di Marx: ancora a quarantanni facevo tutto questo. Oggi invece un semplice racconto mi può costare la fatica di mesi.
    Ma è bene quel che finisce bene. Sono vivo e di tanto in tanto capita la fortuna di imbattersi nei segni di un futuro in formazione, della cultura che avanza. Esserne tesimoni.
    Grazie Onion. Che l’entusiasmo sia con te.

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