«Contro l’ideologia del merito»

Le riflessioni di Sergio Sinigaglia sul libro di Mauro Boarelli

Merito, competenza, competitività, capitale umano, valutazione. Sono termini ormai entrati nel lessico comune. Parole che compongono quella narrazione tossica che in pochi decenni ha trasformato profondamente la nostra società, colonizzato le menti, a partire dal trionfo del concetto di meritocrazia. L’idea che, a fronte delle crescenti disuguaglianze, si tratta di mettere tutti sullo stesso livello e poi far sì che «vinca il migliore, cioè il più meritevole» facendo finta di non sapere che in un contesto sociale profondamente classista, a “vincere” sono coloro che hanno i mezzi economici per emergere. Mauro Boarelli nel saggio – breve ma estremamente ricco – «Contro l’ideologia del merito” (Laterza 2019, 160 pagine) ci propone un viaggio attraverso questa deriva politica, sociale e culturale che ha ormai pervaso tutti i nostri ambiti di vita. Se il modello sociale che si è imposto è strutturato sull’impresa, se la logica di mercato e il processo di aziendalizzazione si sono diffusi ovunque, il nostro sistema educativo è la base da cui si innerva questa mefitica concezione del mondo. Chiunque abbia a che fare direttamente o indirettamente con la scuola e l’università lo può ampiamente verificare. La svolta è avvenuta con quella vera e propria restaurazione capitalistica avvenuta all’inizio degli anni Ottanta, ma che affonda le radici nella prima parte del Novecento.

Come la logica imprenditoriale debba essere il filo conduttore nel mondo dell’istruzione lo attesta, fra i tanti esempi che si potrebbero fare, questo documento della Commissione Europea riportato nel volume: «Gli Stati membri dovrebbero promuovere le abilità imprenditoriali attraverso metodi di insegnamento e di apprendimento nuovi e creativi fin dalla scuola elementare, mentre dall’istruzione secondaria fino a quella superiore l’attenzione dovrebbe concentrarsi sull’opportunità di fare impresa come possibile sbocco professionale. A partire dall’apprendimento basato sui problemi e attraverso collegamenti con l’impresa»… «I giovani dovrebbero usufruire di almeno una esperienza imprenditoriale concreta». Queste poche righe sono emblematiche di una linea che si è andata affermando in tutti i settori educativi. Uno degli strumenti su cui si sofferma Mauro Boarelli è quello della «valutazione». Esempi alla mano, mostra come la logica burocratica proponga test orientati a plasmare la persona “ad unica dimensione”. Viene riportato a questo proposto un test in una classe elementare dove le possibilità di risposte vengono in realtà ridotte ad un unicum. Naturalmente la centralità dell’impresa, il diventare modello sociale idealtipico, mettere in campo strumenti valutativi standardizzati, ha come conseguenza la creazione di “Agenzie” preposte al tutto. Una specie di agenzie di rating del settore. L’Italia ovviamente si è adeguata prontamente a questa visione, e ha creato l’Invalsi, Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e per l’Università l’Anvur, Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Se il modello è l’impresa, se la “filosofia” è quella del mercato, ovvio che le scuole e le università devono competere fra loro. Uno degli effetti perversi dell’ideologia del merito e di tutto ciò che la sovrintende è anche l’utilizzo di termini, concetti, apparentemente seducenti. Così come l’apologia del merito nella sua versione “democratica”, propone «l’uguaglianza delle opportunità» che Boarelli dimostra essere un ossimoro, così da tempo si è divulgata la buona novella dell’«autonomia scolastica». Una parola nobile, autonomia, viene usata e stravolta per promuovere la competizione più sfrenata fra istituti dove – più o meno inconsciamente (speriamo…) – si fa strage dei più elementari princìpi di civiltà e umanità pur di proporsi sul mercato dell’istruzione. Ecco come un liceo classico romano si descrive in un rapporto di autovalutazione, nell’ambito del «Sistema nazionale di valutazione» istituito dal ministero dell’Istruzione: «L’essere il Liceo classico più antico di Roma conferisce alla scuola fama e prestigio consolidato…Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio-alto borghese… Tutti gli studenti, tranne un paio, sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile. La percentuale di alunni svantaggiati per condizione famigliare è pressoché inesistente… Tutto favorisce il processo di apprendimento». Un altro rapporto redatto in un liceo di Genova, evidenzia come non ci siano «studenti nomadi o provenienti da zone particolarmente svantaggiati». Per fortuna chi ha scritto i due rapporti non ha fatto riferimento a “negri” o “ebrei” ma poco ci manca…

Come detto il processo di aziendalizzazione ha toccato tutti i settori. Un esempio è la sanità, dove le originarie Unità sanitarie locali sono diventate “Aziende”. Mauro Boarelli sottolinea come tutta l’amministrazione pubblica ne è stata contagiata in nome di quel «New Public Management» proveniente dagli Usa e dal mondo anglosassone. Il graduale smantellamento del Welfare – rispetto al quale vengono comunque evidenziate le logiche verticistiche e burocratiche (Marco Revelli in un saggio di una ventina di anni fa aveva ugualmente analizzato i “lati oscuri” dello Stato sociale) – porta a una trasformazione dello Stato come garante del mercato e della competitività.

Il libro opportunamente ricorda il convegno di Parigi nell’agosto del 1938 che rifondò il pensiero liberale dando vita a quell’ordoliberalismo (dalla rivista Ordo fondata dalla Scuola di Friburgo nel 1936) i cui frutti hanno da tempo germogliato. Uno Stato la cui burocrazia in nome di un altro concetto suadente, la “trasparenza”, ha trasformato la pubblica amministrazione. In nome della necessità di essere «una casa di vetro» in realtà si è dato vita a un meccanismo incentrato sulla sfiducia e la diffidenza, nonché sul marketing.

L’individualizzazione (fra i riferimenti bibliografici spiccano i saggi di Cristopher Lasch), il relegare sempre più le persone a una dimensione di isolamento – dove ognuno deve arrangiarsi da solo, per cui chi ti sta vicino è un avversario da battere per avere un posto nel mercato del lavoro, essere “imprenditori di se stessi”, dove le proprie capacità relazionali diventano merce da vendere – ormai riguardano sia chi lavora nel privato che nella pubblica amministrazione. In realtà tenendo presente le riflessioni di figure come Ilich si sottolinea come «statale» sia diverso da «pubblico». E proprio dalla scuola ci vengono esempi di percorsi educativi virtuosi, da Don Milani a Danilo Dolci e Aldo Capitini, per citare i nomi più noti (oggi potremmo indicare l’esperienza di Franco Lorenzoni in Umbria) in cui si dimostra che «un’altra scuola è possibile». Ma per far sì che si affermi un’alternativa, è evidente che nella società si deve manifestare quel conflitto che è il principale nemico della «ideologia del merito». Il merito ti relega appunto a una dimensione individuale, il conflitto invece è basato sulla relazione sociale, sulla solidarietà, sul farsi comunità aperta. Purtroppo oggi troppo spesso – evidenza Mauro Boarelli – al conflitto subentra «lo scontro». Cioè una specie di scenario hobbesiano di tutti contro tutti.

Come se ne esce? Il saggio non lo dice. Evidenzia come tutto questo sia lo specchio di una profonda crisi della democrazia. Per rimanere alla scuola possiamo sperare che la buona volontà e la generosità (di insegnanti e studenti coscienti del meccanismo perverso in cui sono ormai invischiati) possano essere gli anticorpi efficaci. Nella consapevolezza che la scuola o è sociale o non è.

Già pubblicato su Global Project.

 

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