Contromondiali: cala il sipario e…

torna la normalità: ma quale normalità?

di Maria Teresa Messidoro (*)

Sognando e preparando giornali altri per un mondo altro

Cala il sipario su Russia 2018 e qualcuno afferma sia stato “il migliore campionato del mondo da sempre”, soprattutto dal punto di vista dell’organizzazione.

Alcune cifre: quasi tre milioni di turisti tifosi, “solo” tredici miliardi di euro spesi; gli aeroporti hanno smaltito quindici milioni di persone, sui treni hanno viaggiato gratis in trecentomila, era sufficiente esibire il biglietto per una partita. Folle di turisti hanno approfittato dell’evento per scoprire il Paese più grande del mondo, che comprende dieci fusi orari e si estende per diecimila chilometri.

la vignetta del New York Times

 

E allora riprende la normalità. Per capire quale normalità, ecco le prime pagine dei giornali: Putin e Trump, nell’incontro di Helsinki, hanno affrontato temi come Crimea, Siria, armamenti nucleari, temi decisivi nello scenario mondiale attuale; noi continueremo a essere soltanto spettatori delle decisioni assunte dal potente club degli industriali militari? Secondo SIPRI – Istituto Internazionale di Ricerca sulla pace di Stoccolma – nel 2016 le maggiori società di servizi militari e di produzione di armi hanno totalizzato 375 miliardi di dollari nella vendita dei prodotti, dimostrando che la produzione e il commercio delle armi nell’economia mondiale non conosce crisi.

Non sta a guardare l’Italia: lo scorso anno ha esportato armi per un valore di quattordici miliardi di euro.

In un giornale serio, quindi immaginario, le pagine successive sarebbero dedicate all’Africa, la patria di molti giocatori che hanno partecipato ai Campionati del Mondo di calcio e ci hanno deliziato con le loro azioni: è l’Africa del Sud Sudan, il più giovane Stato del continente africano, coinvolto in una guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. E del Sudan, governato da un regime dittatoriale in guerra contro i Nuba, sui Monti del Kordofan. L’Africa della Somalia: un silenzio inaccettabile nasconde agli occhi del mondo una guerra civile che dura da trent’anni, con milioni di rifugiati interni ed esterni. Ancora una guerra civile nel Centroafrica, ancora un governo oppressivo in Eritrea, la minaccia di un Califfato dell’Africa Nera nella zona del Sahel che appartiene al Ciad e al Mali.

La patria di Lukaku, il campione del Belgio, è il Congo,da dove arrivano i nostri metalli più preziosi, macchiati di sangue e morte. L’elenco sarebbe molto lungo, interminabile, e dovrebbe comprendere anche le nostre responsabilità nel caos della Libia, frutto della nostra guerra – che Alex Zanotelli definisce “maledetta” – contro Gheddafi. Zanotelli – l’indomito missionario comboniano, alla soglia degli ottant’anni ma ancora sulle barricate – nel suo ultimo accorato appello ai giornalisti italiani chiede di non dimenticarci dei cambiamenti climatici che, in Africa, alla fine di questo secolo renderanno inabitabili tre quarti del territorio.

(http://www.askanews.it/esteri/2018/07/02/migranti-appello-di-padre-alex-zanotelli-ai-giornalisti-italiani-pn_20180702_00108/)

Cambiamo continente, sfogliamo le pagine che si riferiscono al mondo latinoamericano, cominciando dall’Argentina di Messi: le sportive argentine si uniscono all’epica lotta per la depenalizzazione dell’aborto, alla marea verde, perché verde è il fazzoletto delle migliaia di donne scese in piazza per difendere il proprio diritto a una vita senza il rischio di morire in un aborto clandestino».

Passiamo al Brasile di Neymar, il giocatore più “paperone” al mondo, con i suoi tre milioni e mezzo di euro al mese lordi nel PSG: l’ex presidente Lula, poco più di un mese fa, ha scritto un’accorata lettera, che inizia così: «Da due mesi sono incarcerato, ingiustamente, senza avere commesso nessun crimine. Da due mesi mi è proibito di percorrere il Paese che amo, portando il messaggio di speranza in un Brasile migliore e più giusto, con opportunità per tutti, come sempre ho fatto in 45 anni di vita pubblica. Sono stato privato della convivenza quotidiana con i miei figli e mia figlia, con i nipoti e le nipoti, con la mia bisnipote, i miei amici e compagni. È sicuro che mi hanno messo qui per impedirmi di convivere con la mia grande famiglia: il popolo brasiliano. Questo è ciò che più mi angustia, perché so che, là fuori, ogni giorno più famiglie tornano a vivere per strada, abbandonate dallo Stato che dovrebbe proteggerle» (il testo integrale in https://ilmanifesto.it/lula-abbiamo-il-diritto-di-sognare).

Almeno una mezza pagina dovrebbe essere dedicata al Messico, la cui nazionale ha avuto l’emblema calcistico in Javier Hernández Balcázar, soprannominato il Chicharito, per i suoi occhi verdi, come il padre, el Chicharo (chicharo è il pisello): proviene da una famiglia di calciatori, anche il nonno materno lo è stato, partecipando alla Coppa del Mondo del 1954, primatista assoluto di reti nella nazionale messicana.

Noi vorremmo però che si parlasse del Messico per l’ultimo assassinio avvenuto in Oaxaca. Il difensore dei diritti indigeni Abraham Hernández González è stato ucciso martedì scorso. Era il coordinatore regionale del del Comité por la Defensa de los Derechos Indígenas (Codedi) nella comunità di Salchi, distretto di Pochutla (http://www.resumenlatinoamericano.org/2018/07/18/mexico-asesinan-a-lider-indigena-en-oaxaca/).

Quasi alla fine del giornale, scovo un riferimento alla Colombia, la cui nazionale calcistica è stata eliminata agli ottavi di finale di Russia 2018, con un discutibile calcio di rigore, concesso all’Inghilterra. Il popolo colombiano ha ritrovato un’improbabile unità nazionale intorno al campo di calcio e alle partite dei suoi eroi ma si è scomodato perfino Maradona: «La Colombia ha subìto una rapina monumentale. L’arbitro Geiger che è statunitense conoscerà le regole del baseball, non certo quelle del calcio. È un ladrone, il fallo l’aveva fatto Kane e invece lui ha dato rigore contro i colombiani che hanno perso senza aver alcuna colpa. Perché non ha chiesto l’intervento della Var?» (così nel corso della trasmissione televisiva venezuelana “De la mano del Diez”).

Lo stesso orgoglio di identità come popolo che si riconosce anche in eroi di altri sport, come i ciclisti Nairo Quintana e Rigoberto Uran. Sfortunatamente, solo nel giornale immaginario che sto sfogliando con attenzione, in un breve articolo si fa riferimento all’incremento degli assassini di dirigenti sociali e difensori di diritti umani: tema che dovrebbe preoccupare molti colombiani, in quanto significa la ripresa di una cronica pratica dell’uso della violenza per imporre interessi o progetti politici in un territorio che si ribella e difende la propria terra (http://www.resumenlatinoamericano.org/2018/07/10/colombia-la-ofensiva-de-terror-exterminio-del-movimiento-y-su-liderazgo-de-base/).

Chiudo il giornale immaginario, sospirando: meglio, per un attimo, cercare di sorridere. Riprendo in mano il libro di Osvaldo Soriano, “Pensare con i piedi” (Einaudi, 1994): questo è un l ibro vero, anche se immaginifico e surreale. Rileggo lo splendido racconto «Il figlio di Butch Cassidy» in cui i mapuches argentini, in campo contro la squadra del Terzo Reich, fanno scomparire le porte, dopo aver chiesto aiuto agli dèi, non potendo cantare un inno nazionale che non esiste per loro. A un certo punto «una delle porte apparve all’improvviso sull’alto di una collina, tutti potevano vederla, e le donne ripresero la loro danza senza musica. Una di loro, la più grassa e colorata a festa, andò incontro al pallone che cadeva da molto in alto, da chissà dove, e con un tocco lieve di testa lo lasciò adagiare davanti ai pali affinchè un ballerino scalzo che rideva a crepapelle lo mettesse in goal di destro».

Leggetelo anche voi, ne vale la pena. Per sognare, ma anche per non smettere di lottare.

E per realizzare giornali altri, per un mondo altro.

(*) vicepresidente Associazione Lisangà

LA VIGNETTA in apertura – scelta dalla “bottega” – è del disegnatore algerino Dilem. Per chi non sa il francese ecco la traduzione. In alto: “L’effetto Coppa del mondo in Francia” e sotto il gendarme che piange dice: “Ho appena cacciato il futuro Kylian Mbappè”.

Teresa Messidoro

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *