«Conversazioni in alto mare»

Daniele Barbieri sul libro di Riccardo Gatti e Marco Aime

Nell’estate 2017 il Mediterraneo diventa «il teatro di una strana battaglia navale». Da una parte il governo italiano con molti schiamazzi (la Ue è dietro a sostenerla ma in modo non appariscente) e dall’altra le ong di vari Paesi «che tentavano di intercettare e soccorrere i barconi dei migranti». La narrazione quotidiana muta radicalmente: nella retorica dei media sino ad allora quelli che salvavano vite erano eroi, «gli angeli del mare», adesso sono complici dei trafficanti.

Questo è lo sfondo su cui si svolgono 5 lunghe conversazioni fra Marco Aime, antropologo di professione ma noto soprattutto come autore di bei libri, e Riccardo Gatti che è stato (dal 2016 al 2021) il comandante prima, poi il capo missione sulle navi della ong spagnola Open Arms. A completare il libro gli splendidi disegni di Gianluca Costantini e la postfazione di Duccio Facchini, direttore del mensile «AltrEconomia».

Il quadro storico delle politiche italiane ed europee resta sullo sfondo, così le analisi sulle migrazioni, sulla globalizzazione o su Frontex come le differenze (minime) fra un Minniti e un Salvini. Al centro delle chiacchiere fra Aime e Gatti è lo strano mestiere di «salvare». Soccorrere chi è in pericolo, specie in mare, dovrebbe essere ovvio e per molti lo rimane; persino se si sta salvando qualcuno che non piace come spiega candidamente un pescatore di Lampedusa: «guarda, a me sulla terraferma non sono simpatici ma in mare li salvo». Per le politiche criminali della “fortezza Europa” invece bisogna aiutarli (cioè chiuderli) solo in casa loro, anche se tutto brucia: e se cercano di muoversi … che muoiano pure purchè non ci siano telecamere accese. Per inciso: sono ben pochi i giornalisti italiani interessati a capire, a vedere; gli altri nulla conoscono però suonano la grancassa del momento (l’invasione, i terroristi, le malattie…) imbrogliando persino sui numeri mentre oscurano i testimoni scomodi e le verità più evidenti anche quando vengono dalle Nazioni Unite.

Quel «mestiere di salvare» Gatti lo racconta nei dettagli, stupendosi di come non le politiche ma le concrete persone (della Guardia costiera italiana per esempio) siano cambiate da un mese all’altro, perdendo l’umanità. La sua scelta di vita Gatti la interpreta così: «per me aiutare le persone, soprattutto nelle situazioni estreme in cui sono in gioco la vita o la morte, vuol semplicemente dire mettere in pratica il mutuo appoggio. Non è dunque un discorso genericamente umanitario ma il mio modo concreto, da libertario, di praticare la solidarietà».

Aime e Gatti cercano risposta alle tante domande, anche ingenue, che tutte/i ci facciamo. E trovano risposte semplici. Perchè a esempio migliaia di persone partono sapendo di rischiare la vita? Perchè vivere in certi luoghi è peggio. Se i giornalisti indagassero invece di sbraitare scoprirebbero (come Stephen Smith di «Libération») che «il rischio di morire facendo la tratta del Mediterraneo centrale è percentualmente minore del rischio di morire per malattia in certe zone dell’Africa». O scoprirebbero chi sui migranti si arricchisce in Italia: anche con appalti pubblici ma se i giornalisti chiedono i documenti – racconta Facchini – si sentono rispondere no dalle istituzioni per «evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici» e/o tutelare «le relazioni con un Paese strategico» come la Libia. Una vecchia storia: si fa ma non si dice.

«Conversazioni in alto mare»

Riccardo Gatti MarcoAime

Elèuthera

(*) questa recensione è uscita a novembre nella pagina libri dell’edizione italiana di «Le Monde diplomatique» che viene distribuita in edicola con il quotidiano «il manifesto»

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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