Cos’è cambiato tra la guerra d’Algeria e il massacro in corso a Gaza?

Nelle prime settimane di gennaio, sono stato in Algeria. Una passeggiata tra le vie del Centro città mi rimanda indietro nel tempo alla Guerra d’Algeria, poi mi riporta ai giorni di oggi, al massacro in corso nella striscia di Gaza e nei territori palestinesi occupati.

di Karim Metref

Una passeggiata nella città e nel tempo

Facendo un giro per le strade di Algeri, nel Centro, come quasi sempre, seguo il “percorso classico”: dalla Posta Centrale verso la Piazza dei Martiri, passando per la via Larbi Ben Mhidi.

Il Milk Bar

Arrivato a metà strada, alla piazzetta Emir Abdel Kader, inevitabilmente, come ogni volta, il mio sguardo si posa sull’insegna del Milk Bar, uno dei pochi caffè della città che non ha cambiato nome dall’epoca del colonialismo francese.

La vista del Milk Bar, ogni volta, mi riporta indietro nel tempo, verso tempi che non ho conosciuto, perché sono nato qualche anno dopo la loro fine, ma che abitano nel mio subconscio come e più di molte cose che ho vissuto direttamente: la guerra di liberazione nazionale (1954-1962)[1].

L’attentato del Milk Bar

Il Milk Bar, infatti, fu il luogo di uno degli attentati più spaventosi di quella guerra.

Il 30 settembre del 1956, verso le 18.00, due belle ragazze entrano al Milk Bar, una famosa gelateria dei quartieri europei di Algeri. Si siedono un attimo. Sorseggiano qualcosa, guardano un po’ intorno, un po’ nervose… poi escono, lasciando sotto un tavolo una borsetta. Mezz’ora dopo, la borsetta esplode devastando l’interno del bar e danneggiando anche i locali e le abitazioni circostanti.

Le strade del Centro erano gremite di gente: chi faceva shopping e chi rientrava dal mare. La giornata era calda e molti si fermavano nei bar della città per bere qualcosa. Alla famosa gelateria della piazzetta centrale c’erano molte famiglie, tanti bambini.

Il bilancio dell’attentato è spaventoso non tanto per il numero dei morti, ma per quello dei feriti gravi. Tre ragazze perdono la vita. I feriti, invece, sono sessanta e dodici persone, tra le quali molti bambini, devono essere amputate.

Nicole G 10 anni et Danielle M., 7 anni vittime dell’attentato del Milk bar ad Algeri

Un quadro spaventoso. Terribile. Soprattutto se raccontato oggi, mentre noi viviamo una vita tranquilla, dove la violenza, le bombe e le pallottole le vediamo solo in TV.

Una goccia in un mare di morte

Invece se riportiamo quel fatto così terribile nel contesto di quello che è stata la Guerra d’Algeria, tra il 1956 e il 1962, allora ecco che diventa solo una goccia in un mare di violenza e di orrore.

In quegli anni, l’esercito francese riversava tutta la sua potenza di fuoco sull’Esercito di Liberazione Nazionale algerino, ma anche e soprattutto sulla popolazione civile. I sette anni di guerra finirono con un numero di vittime mai accertato con certezza, ma che gli studi più accurati stimano tra le trecentomila e il mezzo milione.

Mezzo milione di persone su un totale di 9 milioni sono tanti tantissimi: una persona su 18. Mezzo milione di uomini, donne, bambini e bambine, anziani e anziane. Colpiti dalle pallottole, morti sotto i bombardamenti, bruciati dal napalm, morti sotto tortura, freddati nelle esecuzioni extragiudiziali, o durante una spedizione punitiva o un attentato dell’Organizzazione Armata Segreta (OAS)[2].

Una carneficina immensa, nei confronti della quale gli attentati del Fln, per quanto ingiusti e crudeli, erano solo gocce… gocce di violenza che si aggiungevano a un mare di terrore e di morte.

Solidarietà internazionale con “le assassine”

Le ragazze de La Battaglia di Algeri[3], le famose portatrici di borse, furono tutte catturate o uccise. Quelle catturate furono anche condannate a morte. I giudici, e la stampa francese, le presentarono al mondo come dei mostri. Assassine a sangue freddo. Assassine di bambini.

Larbi Ben M’Hidi

Anche il leader del Fronte di Liberazione ad Algeri, Larbi Ben Mhidi[4], fu catturato. Un giornalista francese gli chiese se non si vergognava di usare le borse delle donne per uccidere civili innocenti. La sua risposta fece i titoli della stampa di mezzo mondo e fu anche immortalata da Gillo Pontecorvo nel suo film culto, La Battaglia di Algeri[5]: “Dateci gli aerei con i quali bombardate i nostri villaggi, vi daremo le borsette delle nostre donne e vedremo che uso ne farete.”

Larbi Ben Mhidi fu “suicidato” in cella dall’esercito francese, nei giorni seguenti. Le ragazze, invece, si salvarono. La condanna a morte non fu mai eseguita. Una campagna di solidarietà internazionale a loro favore impedì la loro esecuzione e ne fece delle icone della lotta dei popoli colonizzati per la loro liberazione.

Pablo Picasso: Ritratto Djamila Boupacha

A quelle ragazze, battezzate “al giamilet” (le belle), perché due di loro si chiamavano “Djamila” (Bella): Djamila Bouhired (quella del Milk Bar) e Djamila Boupacha, furono dedicate varie poesie cantate in seguito dalle dive della musica orientale[6]. Il regista egiziano Yousef Chahine girò un film intitolato “Djamila l’algerina”[7], una rivisitazione in chiave nazionalista araba della lotta delle donne algerine, e persino Pablo Picasso dedicò un ritratto a Djamila Boupacha[8].

Nonostante i tentativi delle istituzioni e della stampa francese, nessuno attraverso il mondo guardò a queste ragazze come mostri. E il Fronte di Liberazione Nazionale, mentre succedevano queste cose, era ricevuto in giro per il mondo, come unico legittimo rappresentante del popolo algerino.

Dal Milk Bar a Gaza

Questa volta, come tante altre volte, la mia mente volò a quei momenti terribili, che hanno marchiato il nostro popolo con marchi indelebili di sofferenza, paure e morte. Ma il mio pensiero tornò subito ai giorni nostri e a ciò che succede nella Striscia di Gaza e nei territori palestinesi occupati.

“Cosa c’entra la storia del Milk Bar con Gaza?” – potresti chiedere. Ebbene: Tutto! C’entra proprio tutto. Un popolo sotto occupazione, portato alla disperazione a forza di fame e di violenza coloniale. E un girone infernale di violenza e contro-violenza.

Miseria, distruzione, umiliazione, morte… Un popolo disperato che genera un movimento di liberazione violento. E più il popolo è disperato, più il movimento di liberazione è violento. A prescindere dall’impostazione ideologica che sta dietro il movimento. La violenza strutturale e diretta del colonialismo genera la violenza rivoluzionaria dei “dannati della terra”. Questo ce lo insegna la Storia. Poco importa se la lotta di liberazione si esprime poi sotto una copertura ideologica comunista, nazionalista o islamista.

Da quando esiste l’umanità, nessuna guerra ha risparmiato i civili. Da quando esiste la guerra, esistono i crimini di guerra: civili, donne e bambini uccisi, stupri, distruzioni… Perché la guerra stessa è un crimine. L’oppressione coloniale è il crimine per eccellenza e le violenze rivoluzionarie dei movimenti di liberazione sono altrettanti crimini generati dalla disperazione: un male per scacciare un altro male più grande.

Con o senza Hamas

A dirla tutta, il mio giudizio personale sul Movimento Hamas è pessimo. È un partito islamista che vuole sicuramente instaurare una teocrazia. E già questo la dice tutta. Se domani i palestinesi si liberano dall’oppressione israeliana, sono sicuro che come gli iraniani oggi, avranno poi molta difficoltà a liberarsi dall’oppressione islamista.

Oltre l’ideologia, Hamas è, a dir poco, molto losco nelle sue alleanze strategiche. Come ogni movimento islamista nel mondo, ha ottimi rapporti con le monarchie del Golfo. Riceve finanziamenti da loro e alcuni dei suoi leader vivono sotto l’ala protettrice dei sceicchi. Non ci sarebbe niente di male a questo, se non sapessero anche i pesci del Mar Rosso che i sceicchi del Golfo sono i migliori alleati degli USA… e di Israele nella regione.

Ma questa incoerenza è propria di ogni lotta armata. Si sa che la lotta armata è ghiotta di soldi… E i soldi, come si dice, non si portano dietro la puzza dei luoghi da cui provengono. E se la dirigenza di Hamas vive vicina alle fonti puzzolenti dei petrodollari, la base vive in mezzo alla miseria dell’occupazione, e la loro rabbia non ha niente di diverso da quella della generazione di mio padre durante la Guerra d’Algeria.

A parte la propaganda fantasiosa dei sionisti che si sono inventati decine di bambini decapitati e migliaia di donne stuprate in una sola giornata di conflitto, abituati dalla sottomissione della stampa internazionale a non dover mai provare nulla di quello che dichiarano. A parte quello, quindi, nell’azione militare portata avanti dai militanti armati di Hamas non c’era niente che non sia stato fatto in altre guerre di liberazione nazionale.

Cos’è cambiato allora, dagli attentati della Battaglia di Algeri a oggi?

Se la lotta dei colonizzati disperati non è cambiata, intorno sono cambiate molte cose. La cultura, la politica, gli equilibri internazionali…. Tutto.

È finita la grande stagione delle guerre di decolonizzazione. I pochi movimenti di liberazione che sono rimasti sono soli. Dimenticati da tutti.

È cambiato il fatto che dopo la fine della guerra fredda, gli Stati Uniti, seguiti da tutte le potenze occidentali, hanno seminato il terrore in giro per il mondo, distruggendo e riducendo in cenere chiunque non volesse aderire al loro nuovo ordine mondiale.

È cambiato che Israele, il figlio viziato degli imperialismi anglosassoni, è diventato sempre più potente, intoccabile e incriticabile.

Tante cose sono cambiate ma una non è cambiata affatto. Quella cosa, il Generale Sun Tzu[9] la scriveva migliaia di anni fa: “Quando circondi un esercito, lascia libero uno sbocco. Non esercitare troppa pressione su un nemico disperato.” Perché non c’è niente di più pericoloso di un animale che non ha vie di fuga o di un essere umano che non ha più niente da perdere. E un popolo costretto a vivere nelle condizioni in cui vive la Striscia di Gaza da decenni ormai cosa avrebbe da perdere secondo voi?

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Note:

1. La guerra d’Algeria (anche guerra d’indipendenza algerina) è il conflitto che oppose tra il 1º novembre 1954 e il 19 marzo 1962 l’esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN, Front de Libération Nationale),

2. OAS: Organizzazione Armata Segereta. gruppo paramilitare espressione dell’estrema Destra dei Francese.

3. La battaglia di Algeri fu una breve guerra urbana fatta di uccisioni mirate e attentati all’esplosivo, portata avanti nel 1957 nella città di Algeri dal Fronte di Liberazione Nazionale Algerino in risposta ai massacri dell’esercito francese nelle campagne e agli attentati dell’OAS nelle città.

4. Larbi Ben M’hidi  è stato un rivoluzionario algerino, uno dei sei fondatori del Fronte di Liberazione Nazionale. Catturato dai paracadutisti francesi nel febbraio 1957 nell’ambito della battaglia di Algeri, venne assassinato il mese seguente.

5. La battaglia di Algeri è un film del 1966 diretto da Gillo Pontecorvo.
6. Qui la diva libanese Fairuz canta: Djamila Bouhired wardat al Djazair: https://www.youtube.com/watch?v=HRyVx-Pk99U
7. Djamila l’Algerina , un film di Yousef Chahine, Egitto, 1958) https://www.youtube.com/watch?v=U7UsO1BTBSM
8. Ritratto di Djamila Boupacha, Pablo Picasso.
9. Sun Tzu. L’arte della Guerra.

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

4 commenti

  • Daniela Campiotti

    Bellissimo articolo illuminante

    • Grazie Daniela,
      Tra l’altro ieri a Torino ho avuto l’onore di fare da traduttore per la conferenza di Omar Barghouti, leader palestinese del movimento BDS, in tour in Italia questi giorni.
      Mi ha fatto tanto tanto piacere il fatto che gli argomenti utilizzati da lui per smontare le accuse di mostruosità delle azioni della resistenza fossero sostanzialmente le stesse delle mie.

  • Domenico Stimolo

    Un approfondimento di rilievo su Karim Metref riportato da un periodico molto interessante di Mazara Del Vallo ( TP)

    “Karim Metref e i racconti di una vita di frontiera”
    https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/metref-e-i-racconti-di-una-vita-di-frontiera/#more-70629

    • Grazie Domenico.
      un vecchio articolo, che l’autore mi ha mandato via mail a suo tempo. Scopro vedendolo sul sito oggi che la redazione, sicuramente per sbaglio, mi ha messo come illustrazione un manifesto del MAK (movimento per l’Autonomia della Cabilia), movimento “populista”, suprematista, razzista, al limite del fascismo.
      Spero che nessuno di chi andrà a leggerlo mi associerà in qualche modo a loro. Per fortuna è quasi del tutto scponosciuto in Italia.
      .-(

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