CPR: morti, torture, deportazioni e sportwashing

In questo piccolo dossier troverete:
1 – un articolo tratto da Nigrizia sulla cacciata delle ONG dalla Libia, sul rinnovo del memorandum di intesa Italia-Libia e un “aneddoto” sulla squadra dell’Inter;
2 – una notizia ripresa dalla newletter di Radio Onda d’Urto sull’arresto di Almasri;
3 – un articolo di Sbilanciamoci sui centri di detenzione in Albania;
4 – una presa di posizione di Medici per i diritti umani contro il memorandum di intesa Italia – Libia con il link al rapporto La fabbrica delle torture;
5 – da Riforma.it una relazione sulla situazione dei Cpr in Albania da parte del Garante dei detenuti della regione Lazio.
6 – E ai CPR in Albania è arrivato un altro stop dalla Corte d’appello di Roma.

Tragedie ignorate e business milionari – tratto da Nigrizia
articolo di giba

Libia: morti in mare, espulsione di MSF e lo “sportswashing” dell’Inter

Mentre i naufragi nel Mediterraneo si moltiplicano e le ONG vengono cacciate dal paese, la squadra italiana per 3 milioni di dollari va a celebrare gli Haftar, i signori della guerra. La denuncia di Human Rights Watch. Il 2 novembre, infine, si rinnoverà in automatico il contestato Memorandum d’intesa Italia-Libia
La squadra dell’Inter al suo arrivo a Bengasi. Credito Francesco Saverio De Luigi

 

Diciotto morti. Decine di dispersi, tra cui bambini. Un’altra tragedia nel Mediterraneo al largo delle coste libiche di Sabratha, dove un’imbarcazione di migranti è affondata lasciando 91 sopravvissuti e un bilancio che continua a salire.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha definito l’incidente “un duro promemoria del fatto che la mancanza di percorsi sicuri e legali continua a spingere molte persone a rischiare la vita in pericolosi viaggi in mare alla ricerca di sicurezza e dignità”.

Non è un caso isolato, ma l’ennesimo capitolo di una crisi umanitaria che nel 2025 ha già superato i numeri del 2024. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), dal 19 al 25 ottobre sono stati intercettati e riportati in Libia 1.273 migranti, portando il totale dell’anno a 22.509 persone – già più dei 21.762 intercettati in tutto il 2024. Di questi, 19.493 erano uomini, 1.976 donne e 832 bambini.

Drammatico il bilancio: 472 morti e 489 dispersi nel 2025.

La Libia senza più soccorso umanitario

In questo scenario di crescente emergenza, il governo di Tripoli ha ordinato a Medici Senza Frontiere (MSF) di lasciare il paese entro il 9 novembre. L’espulsione arriva senza alcuna motivazione ufficiale, attraverso una lettera del ministero degli Esteri libico che chiude definitivamente le porte all’organizzazione umanitaria.

«Non è stata fornita alcuna ragione per giustificare la nostra espulsione e il processo rimane poco chiaro», ha dichiarato Steve Purbrick, responsabile dei programmi di MSF in Libia. L’organizzazione aveva già dovuto sospendere le attività a marzo, quando l’Agenzia per la sicurezza interna aveva chiuso i suoi locali e sottoposto diversi membri dello staff a “interrogatori”.

MSF sottolinea di aver effettuato oltre 15mila visite mediche lo scorso anno in collaborazione con le autorità sanitarie libiche, fornendo assistenza cruciale non solo ai cittadini libici ma soprattutto a rifugiati e migranti «esclusi dalle cure e soggetti a detenzione arbitraria e gravi violenze».

Cacciate altre nove ONG

La loro espulsione si inserisce in un quadro più ampio di repressione: «Questa ondata ha colpito anche altre nove organizzazioni umanitarie che operano nella parte occidentale del paese», denuncia MSF.

Il risultato è devastante: «In un contesto di crescenti ostacoli all’intervento delle ONG, di drastici tagli ai finanziamenti per gli aiuti internazionali e di rafforzamento delle politiche europee sulle frontiere in collaborazione con le autorità libiche, non ci sono più ONG internazionali che forniscano assistenza medica ai rifugiati e ai migranti nella Libia occidentale».

Il rinnovo del Memorandum Italia-Libia

Tra naufragi, violazioni dei diritti e ONG espulse, tra pochi giorni (il 2 novembre) ci sarà il rinnovo automatico del Memorandum d’intesa Italia-Libia, originariamente firmato il 2 febbraio 2017 dal governo Gentiloni con Marco Minniti come ministro dell’Interno.

Questo accordo è alla base della strategia italiana di contrasto all’immigrazione irregolare attraverso la cooperazione con la Libia, in particolare con la guardia costiera libica.

Nonostante le numerose denunce di violazioni sistematiche dei diritti umani e crimini contro i migranti e nonostante le recenti manifestazioni nelle piazze italiane, il governo Meloni ha confermato la volontà di mantenere il Memorandum.

La sua approvazione è stata sostenuta dalla maggioranza in parlamento, che ha respinto mozioni di opposizione che chiedevano di sospendere il rinnovo automatico e di rivedere l’accordo.

A partire dal 2 febbraio 2026, se non interviene una disdetta formale entro il 2 novembre, il Memorandum sarà quindi in vigore per altri tre anni, continuando a fornire sostegno economico, politico e logistico alla guardia costiera libica nonostante le critiche di organizzazioni umanitarie e osservatori internazionali per i gravi abusi commessi.

Mentre si muore in mare, l’Inter celebra Haftar

In questo contesto di drammatica emergenza umanitaria, dove le vite dei migranti valgono sempre meno e le organizzazioni che cercano di salvarle vengono espulse, uno dei principali club calcistici italiani ha scelto di volare a Bengasi per intrattenere i signori della guerra locali.

Il 10 ottobre, l’Inter ha affrontato l’Atletico Madrid nello stadio internazionale di Bengasi in un’amichevole battezzata “Coppa della Ricostruzione”. Compenso per entrambe le squadre: 3 milioni di euro ciascuna.

Le accuse di Human Rights Watch

Il 29 ottobre Human Rights Watch non ha usato mezzi termini: si tratta di “sportswashing”, l’uso dello sport per ripulire la reputazione di chi commette gravi violazioni dei diritti umani.

La partita è stata presentata da Khalifa Haftar, comandante delle Forze armate arabe libiche (LAAF), e dal suo clan familiare, che controlla la Libia orientale e meridionale “con il pugno di ferro”.

Il Fondo per la ricostruzione e lo sviluppo della Libia, guidato dal figlio di Haftar, Belgasem, ha finanziato la ristrutturazione dello stadio da 42mila posti e coperto i costi dell’evento.

A giugno, la Camera dei rappresentanti libica aveva stanziato per il fondo un bilancio triennale di circa 12 miliardi di dollari, nonostante la crisi finanziaria del paese e la mancanza di un bilancio nazionale unificato tra i due governi rivali.

Il prezzo della complicità

«Mentre Haftar potrebbe voler distrarre il mondo dalla dilagante repressione e dalle gravi violazioni da parte delle forze sotto il suo comando, ospitare mega club europei in un torneo appariscente non nasconderà il fatto che legislatori e politici vengono fatti sparire nelle aree sotto il controllo della LAAF», denuncia Human Rights Watch.

Le Nazioni Unite hanno definito sparizioni forzate e rapimenti «pervasivi e sistematici» nelle zone controllate da Haftar, dove gli abusi contro i migranti sono dilaganti e dove persone che non sono d’accordo con il clan Haftar vengono «uccise illegalmente, detenute arbitrariamente, torturate, maltrattate e sfollate con la forza dalla LAAF e dai gruppi affiliati almeno dal 2014».

Human Rights Watch ha contattato sia l’Inter che l’Atlético Madrid il 24 ottobre per chiedere un commento sulla loro partecipazione. Nessuna risposta è arrivata al momento della pubblicazione del rapporto.

“Le società sportive devono rispettare i diritti umani”, ricorda l’organizzazione. “Questo include condurre una due diligence per identificare i rischi di contribuire a migliorare l’immagine di stati ed entità che violano i diritti umani”. Anche se le squadre potrebbero aver visto questa partita come un “riscaldamento per la Champions League”, “nulla di tutto ciò dovrebbe avvenire a scapito del riciclaggio della reputazione di gruppi irresponsabili e abusivi che commettono gravi violazioni”.

Il silenzio complice dell’Europa

La vicenda libica mette in luce una contraddizione profonda delle politiche europee: da un lato si finanziano le autorità libiche per intercettare i migranti in mare (più di 22mila nel 2025), riportandoli in un paese che nemmeno l’OIM considera un “porto sicuro”. Dall’altro si chiudono gli occhi quando i club calcistici più prestigiosi del continente volano a celebrare chi di quelle violazioni è responsabile.

Mentre MSF viene espulsa e non rimane più nessuna ong internazionale a fornire assistenza medica ai migranti nella Libia occidentale, mentre i corpi continuano ad affondare nel Mediterraneo e le autorità libiche intercettano migliaia di persone per riportarle nell’inferno da cui cercano di fuggire, l’Europa del calcio incassa i suoi milioni di euro e se ne torna a casa.

Tradire le origini dell’Inter

E la beffa maggiore arriva proprio dalla squadra nerazzurra: nel 1908 i dissidenti fuoriusciti dal Milan scelsero il nome Internazionale per sottolineare la volontà di accogliere calciatori di qualsiasi nazionalità, in contrapposizione alla linea nazionalista dei rossoneri. Era un nome che rivendicava l’apertura, l’inclusività e l’universalità dello sport oltre i confini nazionali.

Oggi l’Internazionale è solo quella del business.

 

La Libia arresta Almasri, il torturatore di migranti coccolato dal governo italiano

da  FuoriOnda, la newsletter quotidiana nei giorni feriali di Radio Onda d’Urto.


MIGRANTI – La Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la ratifica e l’esecuzione del trattato sulla deportazione delle persone detenute tra l’Italia e la Libia, dove la Procura libica ha ordinato la detenzione di Osama Al-Masri, il torturatore libico, e il suo rinvio a giudizio con l’accusa di tortura di detenuti e della morte di uno di loro sotto tortura.

Si tratta dello stesso Almasri su cui pendono accuse analoghe della Corte penale internazionale (CPI); fermato a gennaio in Italia, era stato liberato e caricato in tutta fretta da Governo e Servizi italiani su un aereo di Stato e riportato, sano e salvo, in Libia.

L’ordine di carcerazione preventiva dell’ex dirigente della polizia giudiziaria a Tripoli – di fatto, uno dei ras dei lager per migranti – segue gli interrogatori e la raccolta di elementi su violazioni dei diritti dei migranti nella principale struttura di riforma e riabilitazione della capitale. ‘Felice per l’arresto, ma per Italia è una figuraccia’, commenta Angela Bitonti, legale di una donna ivoriana, da anni residente in Italia e vittima delle torture di Almasri, che annuncia oggi la volontà di chiedere un risarcimento al Governo italiano, mentre +Europa vuole le dimissioni di Nordio.

Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Alice del Baobab di Roma, realtà impegnata da 10 anni al fianco dei migranti arrivati in Italia dopo essere transitati, in gran parte, proprio dai lager libici di Almasri e degli altri gerarchi, foraggiati dall’Unione Europea.


dal sito di Sbilanciamoci

Gjader: spreco di soldi e diritti umani violati

Missione di monitoraggio del Tavolo Asilo e Immigrazione in Albania, cui ha partecipato la campagna Sbilanciamoci!. Il centro italiano per migranti di Gjader conferma criticità strutturali, violazioni dei diritti umani e spreco di risorse pubbliche. Chiesto al governo lo stop al protocollo Italia-Albania.

Il Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), in collaborazione con il Gruppo di Contatto Parlamentare – composto da parlamentari di Camera, Senato ed eurodeputati – ha svolto il 28 ottobre una nuova missione di monitoraggio in Albania, presso il centro di Gjader, struttura di detenzione realizzata dal Governo italiano nell’ambito del Protocollo Italia–Albania, in cui vengono trattenute persone trasferite dai Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) italiani in attesa di rimpatrio. Ha partecipato alla missione anche la campagna Sbilanciamoci! che in occasione della discussione della Legge di Bilancio 2026 sta promuovendo in tutta Italia una carovana di iniziative per un’economia di pace.

La missione, alla presenza dei/le parlamentari Matteo Orfini, Rachele Scarpa e Riccardo Magi, si è svolta in un momento di particolare rilievo politico e giuridico, a seguito dell’ordinanza n. 23105/2025 della Corte di Cassazione, che ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). La Suprema Corte ha chiesto alla CGUE di valutare se il Protocollo Italia–Albania sia compatibile con la Direttiva europea sui rimpatri (2008/115/CE), sottolineando che il trattenimento in Albania avviene in un Paese terzo non membro dell’UE e potrebbe quindi non rispettare le garanzie e i limiti stabiliti dal diritto europeo in materia di privazione della libertà personale.

Durante la visita il TAI ha potuto acquisire informazioni aggiornate: da agosto i trasferimenti dall’Italia proseguono regolarmente, circa ogni due settimane, con un aumento a una frequenza settimanale da ottobre; l’ultimo identificativo assegnato è il n. 219; attualmente sono presenti 25 persone, con una media stabile di 20 e un minimo registrato di 12.

Un quadro che solleva forti perplessità sul piano dei diritti e sui costi di una struttura costruita e mantenuta con ingenti risorse pubbliche, ma utilizzata solo in minima parte: un vero e proprio spreco di denaro pubblico a fronte di risultati inconsistenti e di gravi ricadute sui diritti delle persone coinvolte.

Circa il 70% delle persone trattenute è stato riportato in Italia per mancata convalida del trattenimento, mentre il restante 30% riguarda casi di non idoneità o rimpatri disposti dall’Italia. Si tratta, nei fatti, di trattenimenti privi di base legale, in violazione della Direttiva rimpatri e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha già condannato l’Italia per pratiche analoghe di privazione arbitraria della libertà personale.

Ulteriori elementi di criticità riguardano la mancanza di trasparenza nei trasferimenti: gli ultimi sono avvenuti in aereo da Torino, quindi non monitorabili dalla società civile, mentre i ritorni verso l’Italia continuano via mare, in orari notturni, senza garanzie di tracciabilità e monitoraggio indipendente.

Le persone trattenute provengono principalmente da Algeria, Marocco, Senegal e Costa d’Avorio, con la presenza di un cittadino siriano e uno sudamericano. È stato inoltre rilevato che alcune persone assumono psicofarmaci, che sembrano essere proposti a molti trattenuti, sollevando gravi preoccupazioni sulle condizioni psico-fisiche e sulle modalità di assistenza sanitaria all’interno della struttura.

Il monitoraggio conferma criticità strutturali e gravi violazioni dei diritti umani, come già evidenziato dalla Corte di Cassazione nel suo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. A distanza di mesi dall’apertura del centro, il sistema appare fallimentare sotto ogni profilo: giuridico, umano, gestionale ed economico.

Il Tavolo Asilo e Immigrazione e i/le parlamentari presenti chiedono al Governo italiano di:

  1. Sospendere immediatamente i trasferimenti verso Gjader;
  2. Garantire piena trasparenza e accesso alle informazioni su criteri, modalità e costi del trattenimento;
  3. Cancellare il Protocollo Italia–Albania – con conseguente chiusura dei centri – che si configura come insostenibile, costoso e in contrasto con i principi fondamentali dello Stato di diritto e della tutela dei diritti umani.

“La missione di ieri – dichiarano i rappresentanti del Tavolo Asilo e Immigrazione – conferma l’illegittimità di un modello che priva le persone della libertà senza prospettiva né garanzie. Chiediamo al Governo di sospendere immediatamente i trasferimenti verso Gjader e di rispettare pienamente il diritto europeo e i diritti fondamentali delle persone migranti”.
“Nella fase in cui si discute la Legge di Bilancio 2026 – ricorda Sbilanciamoci! – la conferma degli stanziamenti destinati a mantenere attivo il centro di Gjader è un esempio clamoroso di inutile dispendio delle risorse pubbliche.

STOP MEMORANDUM ITALIA-LIBIA 

“Abbiamo consegnato nelle mani di Papa Leone XIV il nostro rapporto “La Fabbrica della Tortura” che raccoglie oltre tremila testimonianze dirette sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse nei confronti delle persone migranti in Libia.
Si tratta di un formidabile atto di accusa sulla tragedia che si sta consumando in questi anni sulle rotte migratorie che attraverso la Libia portano all’Europa. Anche se le testimonianze sono state raccolte dal 2014 al 2020, oggi nulla è cambiato. L’Italia ha gravi responsabilità. Attraverso il memorandum con la Libia, in vigore dal 2017, i governi che si sono succeduti hanno di fatto finanziato il sistema di abuso delle persone messo in atto dalle autorità, ufficiali o meno, di Tripoli.

In nome del blocco dei flussi migratori l’Italia continua ad alimentare “La Fabbrica della Tortura”.

Se entro il prossimo 2 novembre il governo Meloni non interverrà per modifiche o abrogazione l’accordo si rinnoverà automaticamente – per la terza volta – dal 2 febbraio 2026. Medici per i Diritti Umani torna a chiedere al governo italiano la sospensione e la revisione integrale dell’accordo Italia-Libia.

Alberto Barbieri, Coordinatore generale di MEDU

RAPPORTO 
LA FABBRICA DELLA TORTURA

Coils of razor wire on top of a wire mesh perimeter fence

Pesanti criticità nel Cpr in Albania

Vari rilievi dopo la visita del Garante dei detenuti della Regione Lazio, competente sul centro per i rimpatri situato a Gjadër

Da alcuni giorni è online la Relazione indirizzata il 3 ottobre scorso al Prefetto di Roma, Lamberto Giannini, alla Capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, Rosanna Rabuano, e, per conoscenza, al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà dal Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, e dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, Valentina Calderone, sulla visita al Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) e alla sezione penitenziaria di Gjadër, in Albania.

Il centro di Gjadër è sotto la responsabilità della Prefettura di Roma, e ciò configura una competenza territoriale dei Garanti delle persone detenute della Regione Lazio e di Roma Capitale, che vi si sono recati in visita il 29 e 30 luglio scorsi.

Gestito dall’ente Medihospes, il Cpr di Gjadër è descritto nella relazione dei Garanti come una struttura nuova e con dotazioni adeguate, anche se con limiti logistici, dati dalla collocazione in Albania e da una progettazione architettonica securitaria che non ha tenuto conto di elementari bisogni della persona, dalla visibilità del cielo dai cortili delle aree detentive alla assoluta mancanza di verde. Al momento della visita erano presenti solo 27 persone trattenute, mentre la sezione per richiedenti asilo e quella penitenziaria non erano operative.

La gestione è apparsa ai Garanti efficiente, ma la collocazione geografica in Albania presenta rilevanti criticità, prima fra tutte la distanza dall’Italia, che ostacola la comunicazione con familiari e legali, compromettendo il diritto alla difesa. Ulteriore motivo di preoccupazione è rappresentato dai rischi derivanti da eventuali necessità di cure esterne, poiché il sistema sanitario albanese garantisce standard inferiori a quello italiano.

Le raccomandazioni dei Garanti

Alla luce delle criticità rilevate, nella relazione sono esposte una serie di raccomandazioni rivolte alle autorità competenti. Innanzi tutto, i Garanti invitano le autorità competenti a evitare trasferimenti inutili, sconsigliando gli spostamenti di persone dai Cpr italiani al Cpr di Gjadër (come è stato il caso di tutti i trattenuti transitati dal centro), poiché ciò comporta costi elevati, ostacola i contatti con familiari e avvocati e limita il diritto alla difesa.

Rilevato l’uso sistematico delle fascette ai polsi delle persone in corso di trasferimento in Albania, Anastasìa e Calderone raccomandano alle autorità di polizia a valutare caso per caso la stretta necessità del loro impiego.

I Garanti invitano inoltre le autorità competenti a rimuovere le reti metalliche che rendono i cortili comuni alle camere di detenzione simili a gabbie; ad assicurare che i trattenuti possano presentare domanda d’asilo e che i tempi di formalizzazione siano adeguati; a promuovere iniziative che rendano meno gravosa la permanenza nel centro; a piantare alberi e creare aree verdi per attenuare il carattere afflittivo della struttura, situata in un’area brulla e isolata; a prestare attenzione alle disparità tra il sistema sanitario italiano e quello albanese, che possono penalizzare i trattenuti; ad assicurare assistenza a chi viene dimesso per incompatibilità con la vita ristretta, evitando che sia abbandonato senza supporto.

I Garanti infine rivolgono una raccomandazione alle autorità competenti, affinché si indaghi sui casi frequenti di persone dichiarate idonee al trattenimento nei Centri in Italia che risultano poi inidonee in Albania e sui casi in cui individui giudicati inidonei in Albania vengano poi nuovamente ritenuti idonei e trattenuti in Italia.

La Relazione dei Garanti è disponibile sul sito garantedetenutilazio.it, nella pagina Le relazioni del Garante della sezione “Il Garante”, e sul sito di Roma Capitale al seguente link https://www.comune.roma.it/web/it/garante-dei-diritti-delle-persone-private-della-liberta.page nella sezione relazioni.

MENTRE CHIUDEVAMO IL DOSSIER  sono arrivate buone notizie per i diritti umani (dunque cattive notizie per il governo Meloni). Un’indiscrezione del quotidiano Il corriere della sera il 6 novembre ha svelato che per la terza volta la Corte d’appello di Roma ha contestato i presupposti giuridici dei centri di detenzione migranti in Albania “concordati” con l’Italia rinviando la questione alla Corte Europea. Ne riparleremo ovviamente ma il protocollo Meloni-Rama rischia di saltare. Evviva.
Enrico Semprini

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