Cuba: Stati Uniti e destre cavalcano le proteste

La “sollevazione” contro il governo rappresenta l’attuale esasperazione della popolazione cubana: la situazione economica, sanitaria e alimentare resta difficile e le fake news hanno il sopravvento. Fanno discutere le modalità di intervento della polizia, ma per i movimenti sociali di Cile e Colombia, dove Esmad e carabineros sono in piazza quasi quotidianamente e sparano senza alcun problema, non si è scatenata la stessa indignazione registrata per i fatti avvenuti a Cuba.

di David Lifodi (*)

 

   Foto: Cuba debate

I fatti avvenuti a Cuba l’11 luglio scorso, culminati in quella che molti giornali hanno definito una “sollevazione popolare”, sono stati utilizzati anche dalla stampa di casa nostra, in particolare da Repubblica e Corriere della sera, per riprendere una campagna diffamatoria contro l’isla rebelde e il suo governo, affievolitasi negli ultimi anni, ma che ha ripreso subito vigore rispolverando interviste a blogger di dubbia indipendenza come Yoani Sànchez.

In molti hanno pensato che il momento di un vero e proprio levantamiento popular, atteso negli Stati uniti, negli ambienti delle destre latinoamericane, ma anche in Europa, fosse realmente arrivato.

Lo scorso 15 luglio, ha ricordato Geraldina Colotti nell’articolo Un esercito di bot contro la rivoluzione cubana, pubblicato sul sito web l’Antidiplomatico , “Cuba ha denunciato che, in vista del 2022, l’amministrazione Biden aveva richiesto 58,5 miliardi di dollari per la sovversione: un aumento del 10% rispetto al budget di quest’anno. Dopo gli eventi dell’11 luglio, uno dei principali destinatari dei fondi americani, al centro della campagna di destabilizzazione, è stato Proactive Miami Foudation Inc.”

Contemporaneamente, come già accaduto in Brasile per spingere Bolsonaro verso la presidenza del paese e in Venezuela per far cadere Maduro, le fake news contro il governo cubano sono aumentate in breve tempo e, sui social l’hashtag #SOSCuba ha preso il sopravvento. Lo stesso era accaduto quando le guarimbas dilagavano per le strade di Caracas e spopolava l’hashtag #SOSVenezuela.

Certo, la polizia per le strade di Cuba ha fatto scalpore e la stampa mainstream ha calcato la mano sui metodi di intervento utilizzati verso i manifestanti, che hanno in effetti destato perplessità, tacendo peraltro sui tentativi di assalto non proprio pacifici di una parte di loro ai posti di polizia e sui tentativi di danneggiamento di alcune linee elettriche di fronte ai quali gli agenti non hanno potuto non intervenire.

Inoltre, molti analisti politici vicini a Cuba hanno sottolineato che la risposta del governo cubano ha finito soltanto per fare pubblicità a quei gruppi di dissidenti legati agli ambienti della destra a Miami, che non si sono fatti pregare nel cavalcare la protesta, soprattutto a seguito dei numerosi arresti effettuati da parte della polizia.

Tuttavia, va riconosciuto che lo stesso presidente cubano, Diaz Canel, aveva ammesso la drammaticità della situazione, dovuta al crollo del turismo, alla crisi economica frutto degli attacchi reali e virtuali a cui l’isola è stata sottoposta non solo da parte di Trump, ma anche di Biden, nonché al ritardo nelle riforme, come ricordato nell’equilibrato articolo di Aldo Garzia pubblicato sul quotidiano il manifesto il 15 luglio scorso, dal titolo Proteste a Cuba, capire perché e dire basta all’embargo.

Al tempo stesso, non si può fare a meno di notare che in paesi come Cile e Colombia, a partire dai levantamientos dell’autunno 2019, gli squadroni antisommossa, Esmad e carabineros sono in piazza quasi quotidianamente e sparano senza alcun problema contro i movimenti sociali. A farne le spese, molto spesso, sono i giovani. Negli ultimi due mesi, solo in Colombia, sono stati registrati almeno 74 omicidi compiuti da polizia e paramilitari, per non parlare delle lesioni oculari di cui sono stati vittime numerosi dimostranti colpiti dai lacrimogeni nelle piazze di Santiago del Cile o Bogotá, ma non si è scatenata la stessa indignazione registrata per Cuba.

Quasi la totalità dei cubani, fin dalla nascita, è costretta quotidianamente a fare i conti con il bloqueo che, solo per fare un esempio, ha impedito alla Svizzera di far arrivare i respiratori utili per i malati da Covid-19 negli ospedali di Cuba.

In un contesto di estrema difficoltà, le proteste contro il governo rappresentano quindi l’attuale esasperazione della popolazione cubana che, prima dello scorso 11 luglio, raramente era scesa in piazza.

L’utilizzo del blocco economico per spingere la popolazione a ribellarsi rappresenta tuttora lo strumento su cui gli Stati uniti fanno maggior affidamento per destabilizzare il paese e attaccare la sovranità dell’isola. Se è vero, come ha ricordato Frei Betto, che a Cuba si lotta per sopravvivere, ma non si muore di fame, pur dovendo fare i conti con il bloqueo e che l’isola ha diritto a costruirsi un proprio modello economico, sociale e politico, è altrettanto evidente che sono molte gli aspetti da migliorare in una situazione certo non facile.

Di certo, il buon esempio non può venire dagli Stati uniti, dove, ad esclusione di poche personalità politiche come Bernie Sanders, spesso repubblicani e democratici rappresentano due facce della stessa medaglia, ma occorre, da parte del governo cubano, prestare particolare attenzione alle nuove generazioni.

Vale la pena ricordare di nuovo ciò che ha scritto Geraldina Colotti: “Le rivoluzioni colorate, si sa, vengono convocate attraverso i social network. Così si è provato a fare a Cuba. Il bersaglio preferito della guerra ideologica sono i giovani, che fanno vita nei social network. Nel 2011, gli Stati uniti hanno creato segretamente un social network simile a Twitter chiamato ZunZuneo, alimentato da messaggi di testo, sia per provare il controllo tecnologico, sia per convocare i giovani a manifestazioni anti-governative….”.

Al tempo stesso, per riflettere sul futuro di Cuba in un contesto probabilmente ancora più difficile del cosiddetto periodo especial, dato per assunto che il blocco economico rimane l’arma più utile per affossare l’isola, insieme alla scarsità degli alimenti e alle difficoltà del sistema sanitario nel fronteggiare il Covid-19 a causa di infrastrutture spesso non più all’avanguardia (sempre a causa dell’embargo), ma che non hanno impedito ai medici cubani di aiutare anche il nostro paese nei mesi più duri dell’emergenza sanitaria, occorre comunque ragionare sui fatti dell’11 luglio scorso e sulle attuali difficoltà del sistema cubano senza riprodurre il classico schema “pro” o contro” a prescindere.

Alla base delle difficoltà che ogni giorno affrontano i cubani vi è un malessere dovuto senza dubbio alla situazione economica da cui è scaturita la protesta dello scorso luglio. È a questi cittadini che il governo cubano deve rendere conto, adoperandosi per migliorare la loro qualità di vita, tenendo aperto un dialogo costante, evitando di additare tutti in maniera indistinta come mercenari e, allo stesso tempo, non cadendo nelle provocazioni della destra radicale di Miami che cerca apertamente di cavalcare ad ogni costo le ragioni del malcontento.

(*) Fonte: Peacelink

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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