Francia-Algeria: la (im)possibile riconciliazione storica

di Karim Metref

Quasi 60 anni dopo la fine della guerra di liberazione algerina, la sua ombra continua a planare sui rapporti tra Francia e Algeria e il suo ricordo ad avvelenare le loro relazioni. Per tentare di rimediare a questa situazione, i due Stati hanno chiesto un contributo a due storici, Benjamin Stora, lato francese e Abdelmadjid Chikhi, lato algerino: quali punti nella memoria delle due nazioni continuano a creare problema, e cosa fare per superarli?
Ma dopo la consegna parziale dei risultati, la Presidenza francese dichiara “nessun pentimento e niente scuse.” Il viaggio verso una memoria comune riappacificata sembra ancora lungo e la riconciliazione non sarà la prossima fermata.

Sbarco dei Francesi a Sidi Fredj nel 1830

Quella tra la Francia e l’Algeria è una lunga storia di amore e odio. Più spesso odio che amore. Ma se non c’è tanto amore vero e proprio, c’è attrazione reciproca. C’è un desiderio tormentato, violento, come tra due amanti che si prendono e si mollano in continuazione. Incapaci di stare insieme ma incapaci anche di stare lontani l’uno dall’altra.

Questo “idillio” malato comincia tanto tempo fa, quando per non rimborsare un debito verso il reggente ottomano di Algeri, il Re francese Carlo X decide di far sbarcare le sue truppe sulle stupende spiagge della penisola di Sidi Fredj, a 30 chilometri a ovest di Algeri. 

Era il 12 luglio del 1830. Con quello sbarco cominciò l’avventura coloniale francese in Africa, portando l’impero francese a regnare su immensi territori e a mettere mano sulle innumerevoli risorse che offre il continente.
Per più di un secolo la Francia ha dominato più della metà del territorio africano e mezzo secolo dopo le indipendenze, il paese a forma di esagono continua a fare la pioggia e il bel tempo in molte ex colonie. E se nonostante il crollo della sua potenza industriale dopo gli anni 90, il paese continua ad avere un buon livello di vita e a fornire un welfare di qualità ai suoi cittadini, è perché parte del continente africano continua ad essere suo territorio di caccia riservato.

Ma il rapporto con l’Algeria è diverso da quello con tutti gli altri paesi. L’Algeria non fu un territorio invaso militarmente e sfruttato economicamente soltanto. L’Algeria fu popolata da centinaia di migliaia di cittadini europei: francesi, italiani, spagnoli, svizzeri... Era l’Eldorado vicino per chi cercava una alternativa alla miseria che faceva stragi in Europa.

Era considerata una estensione oltre mediterraneo della Francia stessa. Molto più tardi, il Generale De Gaulle in un discorso per tranquillizzare i pied-noir, i francesi d’Algeria, che lo accusavano di voler cedere agli indipendentisti, gridò dalla finestra del Palazzo del governatorato: “La France est une, de Dunkerque a Tamanraset.”, La Francia è una, da Dunkerque (ultima città Francese a Nord) fino a Tamanrasset (ultima città Algerina a Sud).
All’indipendenza un milione di europei lasciarono il paese in fretta e furia. Insieme a loro partiranno alcune migliaia di harki, gli ausiliari algerini dell’esercito francese, durante gli anni della sanguinosa guerra di indipendenza che durò dal 1954 fino al 1962.

Oggi, queste due popolazioni. Pied-noir et harki, insieme ai milioni di francesi discendenti di immigrati algerini sono il cuore pulsante di questo rapporto travagliato.

Questa contradizione interna alla società francese ha creato uno stato di amnesia. Per molti decenni, il paese ha fatto finta che quella guerra non ci sia mai stata. Persino il nome di Guerra d’Algeria non fu mai pronunciato ufficialmente in Francia prima di pochi anni fa. Ufficialmente ci sono stati degli “avvenimenti”, questo era il nome ufficiale. E in questi avvenimenti l’amministrazione e l’esercito francesi si sarebbero comportati secondo le norme, per un paese che si considera culla dei diritti umani. O almeno così dicono. La realtà fu tutt’altra.
Dal lato algerino, di Pied-noir ne sono rimasti pochissimi. Ma la memoria rimane viva, anche troppo. Perché 130 anni di ingiustizie non si lavano con acqua chiara e sapone e i sette anni di guerra di liberazione furono particolarmente feroci. Hanno spazzato via centinaia di migliaia di vittime. Quasi un decimo della popolazione autoctona ci ha lasciato la vita. E questa ferita, ovviamente, 60 anni dopo non è del tutto guarita.
Dal lato suo, il sistema politico algerino campa da 60 anni di propaganda nazionalo-vittimistica. Anche se fondato da persone che non hanno mai combattuto e che ha rubato il potere ai veri rivoluzionari, il regime si considera erede dei partigiani e tira la sua finta legittimità dalla liberazione della nazione. La vetrina della memoria serve per schermare la realtà e per ciò viene addobbata continuamente, mentre nel frattempo il paese è saccheggiato da bande di opportunisti senza scrupoli.

Benbella e Boumedienne, i due presidenti dell’Algeria Indipendente

Da una parte un paese che soffre di amnesia e dall’altro uno che soffre di eccesso di memoria. È in questa situazione che dura da 60 anni che i due presidenti si sono accordati per cercare una via per la riconciliazione.

Il mese di luglio 2020 le presidenze della Repubblica dei due paesi hanno incaricato due storici, uno algerino e uno francese di “redigere un inventario equo e precisosulla memoria della colonizzazione e della guerra algerina.

Dal lato francese è stato scelto lo storico Benjamin Stora, un intellettuale serio e rispettato, nato in Algeria e specializzato nello studio della sua Storia. Sul lato algerino è stato scelto Abdelmadjid Chikhi, ex partigiano, direttore dell’archivio nazionale e consulente della Presidenza della repubblica.
Nei giorni scorsi Benjamin Stora ha presentato la sua relazione di circa 150 pagine in cui formula una trentina di raccomandazioni. (versione integrale da qui)
In linea generale si tratta di riconoscere la guerra, di restituire alcuni simboli e archivi storici all’Algeria, istituire commissioni e rapporti bilaterali per lavorare su alcuni temi caldi, risolvere contenziosi e riconoscere crimini commessi da una parte e dall’altra

Una serie di misure che sarebbero un bel passo avanti. Ma niente di molto sconvolgente. In uno strano gioco di equilibri, ad esempio, ha parlato di inchiesta sui morti europei nelle sommosse del 5 luglio 1962 a Orano e dei morti algerini assassinati dalla polizia a Parigi nel 1961, ma ha lasciato da parte molti altri massacri, tra i quali quello più importante commesso nell’area di Setif e Guelma nel 1945.
Nonostante questo equilibrismo, la presidenza della Repubblica Francese ha risposto con un comunicato che parla di percorso di riconoscimento reciproco. Ma in ulteriori interventi ha negato ogni intenzione di pentimento o di presentare scuse.

Forse riconoscere i crimini della Francia in Algeria è un passo troppo grande per un uomo della statura di Macron. Troppe suscettibilità sarebbero svegliate, troppi equilibri interni messi in pericolo. E il sitema Macron è solo un complesso gioco di equilibri.

Così come Il presidente Abdelmadjid Tebboune non ha la statura necessaria per affrontare una questione così complicata e sensibile come la riabilitazione degli harki.

Dal lato algerino non ci sono reazioni ufficiali. Il Presidente della Repubblica è tornato in Germania per nuove cure. E il paese ha altre gatte da pelare. Ma sicuramente per il governo algerino, questa fase di grave crisi di legittimità, non è il momento ideale per prendere iniziative rivoluzionarie.

In conclusione, nonostante i buoni intenti (se ci sono), per fare una riconciliazione storica dopo lunghi conflitti, ci vogliono leader carismatici e forti. E in questo momento sia l’Algeria sia la Francia sono molto mal messe.

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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