Gli haitiani nella Repubblica Dominicana tra schiavitù e razzismo

 

di David Lifodi

Le storie degli haitiani che fuggono dal loro paese per trovare lavoro nella confinante Repubblica Dominicana sono tutte drammaticamente uguali. Abbandonata Haiti nel tentativo di lasciarsi alle spalle la povertà, i sogni sommersi dal terremoto ed una vita piena di stenti, i migranti haitiani finiscono dalla padella nella brace. Gran parte di loro, inevitabilmente, diventa schiava nelle piantagioni di canna da zucchero.

I cañeros haitiani lavorano per un salario di fame almeno 12 ore al giorno nella Repubblica Dominicana che, da terra promessa, si trasforma in un inferno terreno. Spesso vittime delle deportazioni della polizia che avvengono al confine, i migranti haitiani lavorano come braccianti nelle cosiddette bateyes, le comunità agricole, in condizioni disumane. Quando non lavorano sono costretti ad abitare in baracche prive di acqua e servizi igienici e, inoltre, non possono rivendicare alcun diritto perché sono indocumentados e alla mercé del caporale di turno. Il degrado che aspetta gli haitiani nella Repubblica Dominicana è uguale, se non peggiore, a quello già affrontato nel loro paese, dal quale, nonostante tutto, cercano di fuggire spingendosi addirittura a lasciare i propri figli alle famiglie che abitano nelle città purché possano studiare e abbiano un futuro migliore dei loro padri. Già alla fine degli anni Settanta, ben prima dell’ulteriore peggioramento del tenore di vita del paese più povero del continente americano, la Società antischiavista di Londra definiva i braccianti haitiani impiegati nelle piantagioni dominicane come degli schiavi moderni. Nei bateyes gli haitiani non sperimentano solo una situazione degradante dal punto di vista delle condizioni igieniche, ma sono vittime dell’esclusione sociale e di discriminazioni di ogni tipo. Tutto ciò nonostante già nel 1794, nell’isola che oggi è divisa tra Haiti e Repubblica Dominicana, fosse stata abolita la schiavitù nella parte occidentale. Nella Repubblica Dominicana gli haitiani sono percepiti da buona parte della popolazione come un problema in quanto neri ed il razzismo prevale su ogni altra considerazione. La parola nero è utilizzata in maniera dispregiativa dai dominicani e solo per riferirsi agli haitiani. Curiosamente, i dominicani non si considerano né meticci, né neri, bensì bianchi e casomai rispondono che sono indios claros o escuros. Per i dominicani il termine “nero” è ritenuto un insulto. Se nella Repschiubblica Dominicana i bianchi veri e propri sono coloro che detengono il potere politico, economico e religioso, i dominicani meticci vedono solo il lato bianco della loro pelle e di avere il sangue nero che scorre nelle loro vene non vogliono nemmeno sentirne parlare. I dominicani ritengono l’apporto genetico dei popoli indigeni nullo, sentendosi principalmente di origine spagnola. In questo contesto si capisce come mai la vita degli haitiani nell’altra metà dell’isola sia un inferno e il motivo per cui vengono utilizzati, come se fossero bestie, per lavori massacranti quali il taglio della canna da zucchero. Erano schiavi i loro antenati e sono schiavi gli haitiani moderni, nonostante Haiti si fregi, con fierezza, di essere stata una  ribelle. Il razzismo si è trasformato in politica di stato all’epoca del Generalísimo, questo era l’appellativo con cui era designato Trujillo, al potere dal 1930 al 1961: dal suo arrivo alla presidenza gli stereotipi razzisti non hanno più abbandonato l’isola. Prima del regime trujillista, gli haitiani presenti nella Repubblica Dominicana erano molti, fino al punto che, in alcune regioni del paese, circolava la moneta haitiana. L’episodio spartiacque che caratterizzò l’identità dominicana e la criminalizzazione di quella haitiana avvenne nel 1937, quando alla frontiera furono massacrati migliaia di neri su ordine dello stesso Trujillo. Per il Generalísimo c’erano troppi neri e, in questo sterminio di massa, finirono per essere coinvolti anche coloro che non erano haitiani, ma neri. Trujillo se la cavò facendo l’elemosina di due pesos per persona assassinata al governo haitiano e liquidò il massacro come un semplice incidente avvenuto alla frontiera tra i due paesi. Attualmente, gli haitiani soffrono una tripla discriminazione: sociale (il nero è povero), etnica (il nero è haitiano) e razziale. Per quanto curioso, l’assioma “il dominicano è bianco e l’haitiano è nero” ha finito per affermarsi nel paese trasformandosi in un vero e proprio anti-haitianismo.

È così che l’eldorado della Repubblica Dominicana per gli haitiani è divenuto una sorta di prigione a cielo aperto, schiavi dei caporali, mal visti (nel migliore dei casi) dai dominicani e sfruttati giorno dopo giorno. Non è vero che nelle piantagioni più si lavora e più si guadagna, poiché la vita dei braccianti è nelle mani dei loro padroni e i bateyes sono un recinto da cui fuggire può significare mettere a repentaglio la propria vita.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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