Guatemala al voto nell’incertezza

Oggi Bernardo Arévalo (Semilla) e Sandra Torres (Unidad Nacional de la Esperanza) si contendono la presidenza di un paese a larga maggioranza indigena, ma dove a governare, comunque vada, sarà un criollo.

di David Lifodi

Oggi, 20 agosto, in Guatemala si vota dopo due mesi di forti tensioni sociali e politiche. A fine giugno, il primo turno si era concluso con Bernardo Arévalo (Semilla) e Sandra Torres (Unidad Nacional de la Esperanza) che avevano raggiunto il ballottaggio in un contesto caratterizzato da un’alta percentuale di astenuti.

Successivamente, come del resto fin dai mesi precedenti al primo turno, la battaglia politica si è giocata principalmente nelle aule dei tribunali. In principio, ad essere escluso, tra gli altri, era stato il Movimiento para la Liberación de los Pueblos di Thelma Cabrera, organizzazione indigena in un paese a maggioranza maya, ma dove il potere è amministrato da una minoranza che non ha mai avuto alcun interesse per la questione della plurinazionalità e del diritto alla terra per le comunità indios.

Fin dai giorni successivi al secondo turno, invece, il Tribunale Supremo Elettorale ha dovuto esprimersi a seguito della sospensione della personalità giuridica del Movimento Semilla di Bernardo Arévalo ordinata da un giudice. Solo intorno alla metà di luglio, dopo il ricorso di Arévalo, il candidato di Semilla ha ottenuto la certezza di poter partecipare al ballottaggio, anche a seguito di aspre critiche provenienti da Onu, Unione europea e Stati uniti.

L’articolo 92 della legge elettorale stabilisce che un partito non può essere sospeso nel periodo compreso tra l’apertura delle elezioni e la loro conclusione, aveva spiegato più volte Bernardo Arévalo evocando il rischio di un “golpe elettorale”, tanto da smuovere anche il presidente uscente Alejandro Giammattei, il cui mandato è stato a sua volta caratterizzato dalla totale assenza di democrazia, spingendolo a denunciare i tentativi di destabilizzazione in vista del ballottaggio. Peraltro, lo stesso partito di Giammattei, Vamos, insieme alla più che interessata Sandra Torres, aveva chiesto di escludere dal ballottaggio Arévalo dopo aver sollevato molti dubbi sullo scrutinio dei voti in occasione del primo turno.

Se Semilla e Arévalo vincessero per il paese si tratterebbe di una svolta, se non altro perché alla guida del paese ci sarebbe un presidente tendenzialmente di centrosinistra dopo i mandati di Otto Pérez Molina e Jimmy Morales (entrambi di estrema destra) e di Alejandro Giammattei (anch’esso di destra).

Tuttavia, se la vittoria di Arévalo e del suo partito, nato dalle partecipate manifestazioni contro la corruzione che aveva travolto la coppia presidenziale Molina-Baldetti nel 2015 sarebbe senza dubbio auspicabile, bisognerà vedere quale sarà la posizione dell’elettorato.

Il Movimiento para la Liberación de los Pueblos, che se non fosse stato escluso dal voto avrebbe probabilmente raggiunto il ballottaggio, ha invitato di nuovo ad astenersi, mentre su Arévalo sono in molti, tra gli analisti politici, ad intravedere dietro a lui il sostegno Usa.

Molto duro il giudizio di Ollantay Itzamná che parla di prossimità tra Semilla e governo Usa, accusa il partito di essersi autodefinito a parole “socialdemocratico” e spiega come il suo elettorato provenga quasi esclusivamente dalla classe media. In più, aggiunge Itzamná, Arévalo non si è mai pronunciato contro l’interventismo statunitense in America latina né, secondo lui, sui disastri e sulla corruzione che è ulteriormente cresciuta sotto i mandati di Morales e Giammattei.

Sull’esito del ballottaggio dello scorso 25 giugno, su Sandra Torres e su Bernardo Arévalo, e i suoi legami con gli Usa, è molto interessante il podcast Latinoamericando in cui, dal Guatemala, Alessandra Vecchi, del Consiglio dei Popoli d’Occidente, interviene sull’argomento: https://lamericalatina.net/2023/07/07/il-rinvio/

Certo, non si può far a meno di chiedersi, come già accaduto molte volte in passato, perché a disputarsi la presidenza di un paese a larghissima maggioranza indigena siano due bianchi, sulla forza dello stato criollo per escludere, ancora una volta, gli sfruttati di sempre, ma una vittoria di Sandra Torres sarebbe assai peggiore di quella di Arévalo, definito da alcuni, forse troppo frettolosamente “tío Bernie”, riferendosi alla sua presunta visione politica ritenuta simile a quella dello statunitense Sanders.

Per capirlo basta vedere come ha condotto la campagna elettorale Sandra Torres, che più volte ha apostrofato Arévalo di essere “uruguayano” perché il candidato di Semilla ha trascorso i primi 15 anni della sua vita in Uruguay e lo ha accusato ripetutamente per essersi espresso favorevolmente al matrimonio ugualitario e al diritto all’aborto, aspetti su cui in realtà non si è schierato ufficialmente.

Non contenta, Sandra Torres ha dichiarato guerra alla comunità lgbt e ha cercato di far passare nell’opinione pubblica l’idea che il suo avversario voglia abolire la proprietà privata, attaccare la famiglia tradizionale, spingendosi fino a sostenere che Semilla è finanziato da Codeca, il Comité de Desarrollo Campesino, che, al contrario, come tutti sanno, è l’organizzazione popolare da cui è nato il suo braccio politico, il Movimiento para la Liberación de los Pueblos.

Inoltre Sandra Torres, ex moglie del defunto ex presidente Àlvaro Colom, è passata decisamente a destra da posizioni a tinte vagamente socialdemocratiche, attaccando Semilla per le sue radici nel movimento che, dal 2015, ha iniziato a denunciare (colpevolmente) solo Pérez Molina (rispetto ai suoi due successori, a loro volta ampiamente coinvolti), quel Pacto de Corruptos composto da politici di destra ed ex militari.

Al primo turno Arévalo si è fermato all’11,8% dei consensi contro il 15,7% di Sandra Torres. Già durante il primo turno la Misión de Observación Electoral dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) aveva registrato numerosi episodi di violenza politica e ancora maggior casi di clientelismo per far votare questo quel candidato, in aperto contrasto con gli Acuerdos para una Campaña Ética, Pacífica, Programática y con Valores Democráticos promossi dal Tribunale Supremo Elettorale.

Leggi anche: Guatemala, un gioco delle parti ipocrita (di Giorgio Trucchi)

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