Guatemala: il fallimento di Alejandro Giammattei

Lo Stato crea i presupposti per la crescita del conflitto sociale, perseguita le comunità maya e adotta pratiche mafiose di clientelismo e corruzione. Eppure sembrava che il levantamiento di fine 2020 potesse spazzare via un’intera classe politica.

di David Lifodi

                             Foto: laizquierdadiario.cl

In Guatemala il conflitto sociale cresce e il governo del presidente Alejandro Giammattei, a seguito del levantamiento di fine 2020, che sembrava trasformarsi in una vera e propria insurrezione contro l’intera classe politica, corre a suo modo ai ripari.

Resumen Latinoamericano osserva che la pagina web del Ministerio de Gobernación segnala oltre 1.800 situazioni di conflitto sociale nel paese, rivendicando la capacità dello Stato di tenerle sotto controllo soprattutto nei dipartimenti di Alta Verapaz, Petén, Izabal, Huehuetenango e Quiché, ma in realtà la situazione è ben diversa da quanto riportato dalle fonti governative.

In realtà, dalla questione agraria al diritto alla terra, dalle battaglie per difendere le risorse naturali alla rivendicazione di una sanità migliore, è lo Stato ad alzare la tensione e ad adottare meccanismi di repressione e controllo sociale, presentati dal governo come attività in cui è dovuto intervenire per mediare le dispute.

Solo per rimanere al levantamiento dei mesi di novembre e dicembre 2020, ad essere finita sotto accusa è stata la Policía Nacional Civil, che ha represso con violenza le proteste contro il presidente Giammattei e i deputati del Congresso, responsabili, tra le altre cose, di aver gestito in maniera pessima sia l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 sia le tempeste tropicali Eta e Iota, oltre ad aver approvato furtivamente una legge di bilancio di quasi 13 miliardi di dollari dedicata a tagliare i fondi al sistema sanitario, all’istruzione e alla difesa dei diritti umani e alla lotta alla malnutrizione per poi ritirarla.

Lo stesso Ministerio de Gobernación definisce le origini del conflitto sociale “storiche, strutturali e congiunturali” rivendicando di seguirne l’evoluzione, ma la risposta dello Stato si conferma esclusivamente violenta.

A inizio anno, un comunicato dei maya Uk´ux B´E ha denunciato l’uccisione di Jesús Choc Yat, guida spirituale del municipio di San Miguel Uspantán (dipartamento del Quiché). Conosciuto per le sue qualità di curandero, l’uomo è stato trovato morto con segni di tortura sul suo corpo, proprio nello stesso modo in cui era stato ucciso suo padre dall’esercito all’epoca del conflicto armado.

L’associazione Uk´ux B´E, il cui fine è quello di difendere e rafforzare i diritti dei maya, ha chiesto allo Stato di adoperarsi per mettere un freno al razzismo e tutelare la vita delle comunità indigene senza finora ottenere risposta.

Quello stesso stato guatemalteco che sostiene di saper mediare i conflitti sociali, non ha mosso un dito nemmeno per esigere verità e giustizia per Delia Leal, attivista per i diritti umani recentemente uscita di prigione dopo essere stata arrestata, lo scorso 29 dicembre, con le accuse di presunto traffico di essere umani e riciclaggio di denaro sporco.

Linita, come è soprannominata la donna, è vittima di una macchinazione ai suoi danni contro la quale si sono pronunciate le organizzazioni sociali a suo sostegno e il Centro Evangélico de Estudios Pastorales en Centroamérica, di cui la donna è pastora.

Delia Leal in realtà si è sempre adoperata sia per ottenere le borse di studio per bambini sia per difendere i diritti delle donne Q’eqchi’ y Poqomchi’, ma ha dovuto far fronte ad un vero e proprio processo di diffamazione e a minacce di morte. Anche in questo caso, il silenzio dello Stato, che non si è adoperato in alcun modo per sostenerla, è stato assordante.

Molto preoccupante anche la situazione relativa al giornalismo e alla libertà di espressione in un paese dove l’informazione è perennemente sotto attacco tramite persecuzioni, minacce e omicidi i cui mandanti sono spesso funzionari dello Stato insieme all’oligarchia e agli uomini di potere delle transnazionali. Secondo i dati del progetto “Libertad de expresión de la Agencia de Noticias km 169” sono 132 le aggressioni avvenute contro i giornalisti sotto le presidenze di Alejandro Giammattei e dei suoi predecessori Jimmy Morales e Otto Pérez Molina, tutti coinvolti a vario titolo in episodi di corruzione.

Lo stesso Giammattei, al pari degli ex presidenti, era giunto al potere promettendo che si sarebbe adoperato per sconfiggere il clientelismo, giurando addirittura che avrebbe abolito la Secretaría de Asuntos Administrativos y de Seguridad e utilizzando il denaro risparmiato per costruire un nuovo ospedale, ma in realtà questa struttura non solo non è stata smantellata, ma mantiene, a carico dei guatemaltechi, un numeroso personale ai suoi ordini.

E il dilagare di corruzione e pratiche clientelari prosegue.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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