Il bolscevismo di fronte ai Soviet

Di Mauro Antonio Miglieruolo
***
Si è fatto un gran parlare negli ultimi decenni delle responsabilità soggettive dei bolscevichi negli esiti disastrosi della Rivoluzione d’Ottobre. I discorsi incentrati su tali responsabilità in genere le ingigantivano al punto da arrivare a teorizzare che la chiave per comprendere quegli ormai lontani (e gloriosi) avvenimenti era da reperire nelle posizioni di Lenin sul partito, nella soggettività dei dirigenti comunisti, nella ferocia di Stalin. Meno soggettivista (e più ideologica) la posizione dei nemici dei lavoratori. A fronte dello stalinismo, che con l’innovazione tecnica (cioè lo sviluppo delle forze produttive) apriva la strada a una concezione volontaristica della ricerca e tecnicistica della lotta di classe (la modernizzazione quale motore della storia); gli avversari del comunismo, che usavano Stalin come figura di comodo per poterlo diffamare (operazione squisitamente stalinista), individuavamo nei suoi atti, finalizzati (paradossalmente) alla restaurazione del dominio di classe in URSS, l’attuazione di una caratteristica immanente (costitutiva) del comunismo. Secondo costoro il comunismo promuoveva la distruzione di se stesso per potersi meglio manifestare!


Ritengo allora sia legittimo affermare che le critiche ai bolscevichi e le critiche a Stalin, formulate in questo e modo e con tali finalità, costituiscono l’indice del permanere dell’egemonia ideologica della borghesia anche dopo la rottura rivoluzionaria (da cui la necessità, scoperta tardivamente, di andare oltre la stessa Rivoluzione Permanente di matrice trotskista: di arrivare al “bombardate il quartier generale” di maoista memoria, parola d’ordine che segnò l’inizio della Rivoluzione Culturale). Di più: bisogna avere il coraggio di affermarlo. Che per tutto un periodo, un lungo momento sopravvissuto alla vita politica di Stalin, fummo, ognuno in un proprio specifico grado, stalinisti. Fummo tutti cioé, in piccola o grande parte, aldiquà della rottura teorica operata da Marx.
Dal cui dettato per altro occorre ricominciare; non per restare a Marx ma, come è stato detto, per andare oltre Marx. Per arrivare a completare quella Scienza della Storia di cui Marx ha posto le basi.
2
Ammetto che mi contenterei qui di molto meno: di riuscire ad andare oltre i commentatori che, a volte involontariamente, a volte volutamente, hanno diminuito la Rivoluzione d’Ottobre e i suoi protagonisti. Il presente breve pezzo rappresenta la condensazione di questo desiderio. Iniziamo perciò a vedere alcuni di questi tentativi di dannare la memoria bolscevica.
Per Bethlheim (altrove quasi sempre più lucido lucido) i bolscevichi, con il loro intervento nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1917 (24 ottobre), avrebbero, soffocato la marea montante dell’iniziativa rivoluzionaria delle masse impedendo sin dall’inizio si instaurasse una dittatura proletaria (sostituita da una dittatura di partito). Secondo altri è il principio del centralismo democratico all’origine di quel verticismo (diventato col tempo sostitutismo) che burocratizzando il Partito Comunista ha reso possibile lo stalinismo. Per altri ancora è stata la riorganizzazione dell’esercito basata sulle vecchie gerarchie militari messa in atto da Trotsky (l’esercito tradizionale più i Commissari del Popolo) ad avere esercitato un peso decisivo nella restaurazione degli appariti repressivi dello stato, quindi di quella sorta di colpo di stato reazionario che, mascherato da Congresso di Partito, nel 1927 ha abolito di fatto l’Opposizione interna (servendosi delle leve del potere, Stalin avrebbe manovrato per far eleggere delegati a lui fedeli. La stessa operazione, che ha fatto storcere la bocca a Trotsky, tentata da Zinovev e Kamenev nelle zone sottoposte al loro controllo. Essendo la loro influenza molto meno vasta di quella del Segretario generale, burocrazia contro burocrazia, inevitabile finissero con il soccombere).
Come appare evidente tutti questi commenti sono inerenti alla coscienza e alle capacità individuali dei protagonisti. Alla inclinazione di Trotsky a trovare soluzioni tecniche là dove occorre siano politiche; alle illusioni bolsceviche sul ruolo delle avanguardie in quanto espressione della coscienza delle masse; alla scarsa fiducia nelle masse di Zinovev e Kamenev. Non sono sicuro che all’origine di questo modo di impostare la critica politica, sia da ascrivere all’influenza più o meno sotterranea del modo borghese di concepire la storia, una storia fatta di “capi”, di geni o generici uomini e superuomini di valore. Né sono sicuro che, a parte le ultimissime generazioni, essendo il volontarismo stalinista una delle tante forme con cui si manifesta l’egemonia borghese*; ed essendo tutti noi malati di questo volontarismo, che prendeva spesso le forme dello spontaneismo (se non del fideismo), siano molti i vecchi comunisti che potrebbero alzarsi per puntare un dito accusatore. Sono sicuro per altro che può esistere un modo migliore di valutare quegli ormai lontani avvenimenti.
Il problema non è difendere i bolscevichi, o fornire giudizi più equilibrati sulla loro opera; il problema è inquadrare i loro errori, che pure ci sono stati, nella giusta prospettiva: cioè nel quadro delle lotte di classe teoriche alle quali ha dato avvio la rottura epistemologica di Marx, tenendo conto della congiuntura storica all’interno del quale i bolscevichi sono stati costretti a operare.
Dunque, occorre operare un piccolo spostamento di prospettiva per ricordare la verità elementare che non sono gli uomini (intesi come singoli esseri umani) a fare la storia, ma le masse sotto la direzione delle classi che si contendono il potere. Così come non sono i soldati a fare le guerre (si limitano a combatterle: anzi sono limitati, cioè costretti, a combatterle). Per ricordare anche che l’arte della politica è l’arte dell’intervento nella congiuntura, là dove le più svariate difficoltà mutano in possibilità. Ma appunto gli uomini non determinano la congiuntura, ma fanno parte della massa di condizioni e contraddizioni che incrociandosi, sovrapponendosi e sovradeterminandosi offrono quel punto nodale fatto di equilibrio squilibrio che apre immense possibilità agli individui che lo sappiano utilizzare (far leva su una contraddizione per ottenere una nuova e diversa congiuntura, più favorevole e poi ancora più favorevole, sulla quale intervenire).
3
A questo proposito lo stesso Betlheim, al quale possiamo perdonare almeno la leggerezza pronunciate sulla famosa notte in cui i bolscevichi presero il potere**, rimette al centro della discussione la rivoluzione nei rapporti di produzione quando ricorda quanto abbia pesato nello sviluppo dell’involuzione politica l’adozione acritica dei metodi di lavoro ispirati al fordismo.
Non è il caso qui di riprendere la discussione che si è sviluppata per tutti gli anni settanta e ottanta e oggi sembra aver perso molto del suo vigore. I tempi della celebrazione (e questa che state leggendo lo è) sono tali da impedire che ci si possa dilungare su questione teoriche che palesemente sono molti più grandi dei pur grandi anni settanta che ne hanno visto la classe operaia perennemente all’attacco.
Resta la questione di metodo: del nostro metodo. Di affrontare la complessività della situazione partendo sempre da un punto di vista di classe, o meglio dal punto di vista della realtà permanente della lotta di classe. Della lotta che ininterrottamente il capitale conduce contro il lavoro; e della lotta difensiva posta in atto dal lavoro per non lasciarsi schiacciare dal capitale. Solo a patto di restituire ai bolscevichi ciò che la storia scritta dall’avversario di classe ha loro sottratto è uno degli aspetti (fondamentali) di questa azione difensiva; l’altra, ancora più importante è servirsene (servirsi delle stesse iniziative ideologiche della borghesia) per trarre insegnamenti sul “che fare” dei impegnativi e pesanti tempi brevi che ci aspettano; nonché per dare avvio a quella riflessione che può portarci all’oltre Marx necessario e imprescindibile per poter mettere a punto quegli strumenti di analisi della realtà che l’attuale scarsa capacità di incidere su di essa rende urgente trovare.

__________________
* Alcune delle caratteristiche proprie allo stalinismo sono presenti anche nelle ideologie programmaticamente antistaliniste borghesi che ostentano di combatterlo. Tali ideologie si dicono antistaliniste pur essendo solidali con lo stalinismo. Pure praticandone i metodi (oggi Renzi, ieri i segretari del Partito Comunista, che ne tolleravano o promuovevano la pratica all’interno dell’organizzazione), trovano comodo emendarsene accusando Stalin, per poter accusare il comunismo. Detto altrimenti additano al ludibrio pubblico gli stessi vizi che praticano. Che vedono negli altri per poterli nascondere a se stessi. In realtà ciò che aborrono dello stalinismo è la dichiarata eredità marxista, un pensiero da esorcizzare, al quale occorre negare ogni legittimità filosofica e scientifica; nonostante sia chiaro a tutti che questa eredità consiste nell’assunzione del linguaggio marxista, dal quale p stato per altro cancellato ogni traccia di pensiero critico.
Tra le caratteristiche che pensiero borghese e pensiero stalinista hanno in comune, una delle più singolari è il concetto di culto della personalità, concetto universale ma paradossalmente assegnato allo stalinismo come suo aspetto saliente ed esclusivo (l’Occidente è sempre stato pieno ed è pieno di culto della personalità); segue poi la concezione del socialismo come uniformità e costrizione delle coscienze e delle stesse condizioni materiali di vita, concezione praticata in URSS, ma tendenziale anche nel resto del mondo e apertamente in contraddizione con il programma del comunismo compiuto (da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni); e la più grande di tutti (somma mistificazione), il comunismo come strumento per l’emancipazione del lavoro, convinzione che capovolge le finalità storiche del socialismo, che essenzialmente è emancipazione dell’Umanità, emancipazione che passa attraverso quella dei lavoratori; i quali per liberare se stessi dovranno farsi carico della libertà di tutti gli esseri umani.

** Prima di formularla avrebbe dovuto chiedersi il perché le masse, che si trovavano in uno stato di effervescenza straordinaria, abbiano non solo accettato di lasciarsi prendere in contropiede, senza reagire, dai bolscevichi; e perché ne abbiamo seguito le direttive per oltre quattro anni accettando un carico di sacrifici enormi, senza mettere in campo alcun tentativo, neppure embrionale, di uscita a “sinistra”. Il primo e per altro unico infatti è del 1921 (fatti di Kronstadt).

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

  • Caro Mauro, apprezzo il coraggio di celebrare la Rivoluzione e il Comunismo, perchè oggi ormai è quasi un tabù passabile di galera, anche a sinistra (o presunta tale). Apprezzo il tuo sottolineare che ancora oggi, in epoca presunta post-modernista, la dicotomia centrale è Capitale vs Lavoro.
    Non condivido, forse però non capisco il senso esatto delle tue parole per la inevitabile sinteticità, la necessità di andare “oltre-Marx”. Sono d’accordo che i linguaggi vanno aggiornati, contestualizzati, un po’ come le concezioni metafisiche e le liturgie si adeguano nel corso dei secoli, ma il nocciolo, il sancta sanctorum del marxismo – e del leninismo -, secondo me rimane attuale.
    Il punto è come ri-diffondere questi contenuti e come far capire alle persone che la militanza ha senso solo se si cede consapevolmente e volontariamente un po’ della propria (presunta) libertà in favore di un’organizzazione partitica pesante – contrapposta alla leggerezza veltroniana – che guidi le masse.

  • Carissimo Luca, apprezzo tono e contenuti del tuo commento. Comprendo anche le riserve su quell’andare “oltre-Marx” usato di frequente per diminuire Marx. D’accordo anche sulla necessità di re-instaurare valori, pratiche e contenuti dell’azione politica ereditata da un non troppo lontano (e particolarmente glorioso) passato. L’oltre-Marx di cui parlo non è in contraddizione con tutto questo. L’oltre Marx è relativo al carattere scientifico e apertamente critico del marxismo. Il carattere scientifico: la scienza è sempre in movimento, sempre alla ricerca di mete nuove, punti di vista migliori per l’approccio alla realtà. La scienza evolve, come evolve ogni realtà del mondo materiale. Non si tratta di cambiare abito a ogni stagione (questo è spesso l’implicito di molte critiche rivolte a Marx), ma di vedere:

    1) ciò che nel marxismo è ancorato a quelle filosofie e a quelle ideologie con cui il marxismo ha tentato di operare una rottura definitiva, riuscendoci solo in parte. Esempio: rottura con lo storicismo. Ma in alcuni passi Marx sembra tornare indietro rispetto alle rotture operate. Contraddizione sua sì, certo; ma si tratta di una contraddizione che condivide con ogni innovatore. Strani personaggi che, senza che nesuno glielo chieda, si azzardano a inoltrarsi al buio in territori inesplorati che faticosamente illuminano con la luce della loro intelligenza e ai quali rubano quanto più segreti gli riesce. Tra costoro Marx è uno di quelli che ha visto più e meglio, ma non è riuscito a vedere tutto (un impossibile da chiedere a un uomo). Né ha potuto evitare di inciampare in questo o quel particolare. Bisogna inoltre tenere presente che è stato oggetto di una lotta classe teorica asperrima dalla quale è uscito vincitore solo con gran fatica e con qualche perdita. Lo storicismo (oggi lo possiamo vedere) è uno di questi punti di perdita. L’altro è l’economicismo, che ha reso possibile l’affermazione del tecnicismo staliniano.

    2) che il marxismo nella sua essenza è un pensiero critico, un pensiero critico totale, che inizia la critica proprio criticando se stesso. Individuando i propri limiti, gli elementi da rivedere, ma non per puro esercizio di correttezza, ma proprio per mettersi in condizione sia di crescere che di individuare all’interno del nucleo di conoscenze prodotte ciò che è possibile preservare e che sicuramente servirà anche per l’indomani. Per dirla alla Bachelard, la scienza nel suo ininterrotto procedere e rivoluzionare sanziona qualcosa per sempre (sanziona: dichiara valido); e qualcosa nega per sempre.

    3) che non tutto il dicibile è stato detto da Marx, che molto resta ancora da fare e che è nostro dovereo impegnarci per disputare alla borghesia i territori nei quali ancora non siamo riusciti a penetrare. Dobbiamo farlo senza timore di ammettere la nostra nudità e incompletezza. Ma farlo partendo da Marx, dalla sua rottura con le concezioni del mondo borghesi, con il prezioso nucleo di concetti che ci ha lasciato e che resistono tutt’oggi non alla critica dei critici, ma a quella ben più solida dei fatti. Come non vedere ad esempio, dopo la sbornia sull’integrazione della classe operaia, sulla perfettibilità del sistema capitalistico, la realtà della spietata lotta di classe condotta dai capitalisti contro i lavoratori? Come non vedere confermato quanto ha detto sulla formazione dei salari, sullo sfruttamento e sull’oppressione? Nel contempo però sappiamo che c’è ancora molto da dire sul lavoro immateriale, sulla proletarizzazione dei ceti medi, sulle traformazioni interna alla classe borghese, sull’internazionale del capitale ecc.

    Possiamo farlo, andare oltre Marx, senza tradire (o rinnegare, che è lo stesso) Marx? Non so se possiamo. So che dobbiamo farlo. Ma che non sarà mai contro Marx, ma per lui. Per onorarlo come ogni vero pensatore desidera essere onorato. Sviluppando le sue acquisizioni, rendendole vive, ancorandole alla realtà.

    Non ho la presunzione di poter dire qualcosa di nuovo su tutto questo, ma difendere (e diffondere) il dovere di proclamarne la necessità (che qualcuno faccia e dica) questi sì posso. E faccio.

    Tu perdono in fine di avere evocato l’innominabile cavalletta (vale un’intero sciame) che risponde al nome di Veltroni. Mi viene l’orticaria quando lo sento pronunciare. Ma tu questo non lo sapevi, quindi ti spetta ogni forma di indulgenza.

  • Concedimi una piccola aggiunta. Non contro di te, ma ringraziarti del commento. Ignoro se la spiegazione che precede ti abbia convinto e fino a che punto. Importante è che tu abbia provocato un chiarimento e un dialogo tra di noi. Ancora più importante è mostrare a chiunque che non tutti dormono. Che c’è ancora chi tiene le orecchie “appizzate”, che la guardia non è abbassata e che c’è ancora chi sa delle mene dei revisionisti e dei nemici di classe. I quali dissimulano i loro intenti sotto ogni tipo di travestimenti. Anche travestimenti da “marxisti”. Ma noi non siamo qui per dare loro la caccia. Li incalziamo soltanto. Costringendoli a chiarirsi e chiarire: dove intendono andare a parare?
    Cosicché niente sconti per nessuno, nessuno è al riparo dall’influenza del pensiero borghese. Ma pure niente scomuniche. Solo e sempre dialogo aperto, dibattito e approfondimento. Alla lunga si vedrà chi è da una parte e chi dall’altra. Apparirà già nei confronti verbali, ma sarà inesorabilmente sanzionato dai fatti e dalle prese di posizione sui fatti: sui fatti relativi alla lotta di classe.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *