Il cammino verso l’elettricità solare
di Giorgio Nebbia (*)
L’unica applicazione “commerciale” dell’energia solare – capace, cioè di far soldi (che è l’unica cosa che molti chiedono al Sole) – consiste nei pannelli fotovoltaici, dispositivi capaci di trasformare, senza parti in movimento, la radiazione solare in elettricità. Sono quelle distese di pannelli che si vedono nella campagne, sui tetti di molte case e edifici, capaci di produrre circa 100-120 chilowattore di elettricità per ogni metro quadrato di superficie esposta al Sole, in un anno. «In un anno» ma in quantità molto diverse a seconda delle ore del giorno e delle stagioni, a seconda che il cielo sia limpido o nuvoloso.
La possibilità di ottenere elettricità dal Sole dipende da una catena di rapporti commerciali che comincia con i produttori delle celle fotovoltaiche vere e proprie e dei pannelli, poi passa attraverso chi importa i pannelli, chi va a convincere i governanti ad assicurare incentivi finanziari, chi vende pannelli solari porta a porta promettendo sicuri guadagni, chi assicura il montaggio e la manutenzioni dei pannelli, chi vende i dispositivi capaci di trasformare l’elettricità a basso voltaggio, prodotta dai pannelli, nell’elettricità a 220 volts come vogliono i frigoriferi, i televisori, le cucine e gli scaldabagno elettrici. Infine la catena continua con chi predispone la “vendita” dell’elettricità solare alle società elettriche che in cambio cedono, quando il Sole è assente, l’elettricità ai venditori solari.
Il principale inconveniente dell’elettricità solare sta proprio nel fatto che essa viene prodotta di più nelle ore centrali della giornata e d’estate, quando è bassa la richiesta, ed è scarsa o assente nella notte e nei mesi invernali quando invece è elevata la richiesta da parte delle famiglie, degli uffici, delle fabbriche. La soluzione può essere cercata soltanto in un sistema capace di accumulare l’elettricità, a mano a mano che è prodotta, in modo da renderla disponibile quando è richiesta. Le batterie di accumulatori sono dispositivi ben noti da oltre un secolo; ogni automobile ne ha una che viene ricaricata durante il viaggio e assicura l’elettricità per l’avviamento del motore fermo.
Le batterie finora più comuni sono quelle a piombo e acido solforico. Con la diffusione della microelettronica è aumentata la domanda di batterie ricaricabili di piccole dimensioni e ciò ha stimolato la ricerca scientifica che ha portato all’invenzione, negli anni novanta del Novecento, delle batterie a ioni di litio ricaricabili. Con diverse soluzioni sono così diventate disponibili batterie capaci di immagazzinare fino a 0,200 chilowattore di elettricità in un chilo di peso; dopo che è stata prelevata l’elettricità che essa contiene, la batteria può essere ricaricata, per esempio con l’elettricità prodotta di giorno dai pannelli fotovoltaici, ed è pronta a restituirne una parte in un momento successivo. Con le migliori batterie è possibile ripetere questi cicli di scarica-e-ricarica alcune migliaia di volte, poi la batteria va buttata via.
Proprio nei mesi scorsi è stata annunciata la produzione di batterie a ioni di litio, della dimensione di un frigorifero, capaci di immagazzinare fino a 7 chilowattore, più o meno l’elettricità consumata da una famiglia in un giorno. Una società americana ha annunciato la costruzione, nel deserto del Nevada, di una fabbrica capace di produrre queste batterie su larga scala. Sarebbe la soluzione rivoluzionaria: i pannelli solati darebbero liberati dal dover dipendere dalle grandi società elettriche per gli scambi di elettricità, dai capricci della politica che decide gli incentivi; la famiglie potrebbero godere di una autonomia elettrica, grazie all’energia solare.
Non solo: le nuove batterie consentirebbero il lancio delle automobili elettriche; con pochi minuti di ricarica, allacciata a una presa di elettricità, una automobile elettrica potrebbe percorrere decine o centinaia di chilometri, senza inquinamento, silenziosamente; vedremmo sorgere nelle strade “distributori” di elettricità simili a quelli odierni di benzina o gasolio, o si potrebbe ricaricare le batterie dell’automobile di notte nel garage di casa, magari con l’elettricità prodotta di giorno dai propri pannelli solari. Insomma, nuove automobili, nuove fabbriche, nuovo lavoro, minore inquinamento, minore consumo di petrolio.
Come in ogni grande innovazione ci sono però alcuni inconvenienti; per la fabbricazione delle nuove batterie occorrerebbero grandi quantità di litio, di cui esistono grandi riserve in Argentina, Bolivia, Cile; occorrerebbe cobalto, di cui il Congo Kinshasa, in Africa, contiene metà delle riserve mondiali; occorrerebbe grafite naturale e sintetica. Da una trappola all’altra ?
La natura non dà niente gratis; solo l’ingegno è gratis ed ecco che altri laboratori e imprese stanno sviluppando batterie ricaricabili che utilizzano alluminio, al posto del litio, sfruttando la formazione di una differenza di potenziale fra un anodo (polo negativo) di alluminio e un catodo di grafite, a contatto attraverso soluzioni di cloruro di alluminio; i proponenti promettono che tali batterie potrebbero sopportare 7000 cicli di scarica-e-ricarica con una rapida ricarica in pochi minuti.
Con nuove batterie forse l’elettricità solare potrebbe liberarci dalle fonti energetiche fossili, aiutarci a eliminare parte dell’inquinamento e delle cause del riscaldamento globale, contribuire insomma a realizzare quella società solare in cui tanti hanno (abbiamo) sperato. Il cammino è appena iniziato, aspetta altre scoperte e innovazioni e promette nuovo lavoro.
(*) Articolo ripreso da «Comune info» (e pubblicato anche su «La gazzetta del Mezzogiorno»)