Il fascismo di Erdogan e le complicità della Ue

Un appello sul Pkk, un articolo di Chiara Cruciati e 10 link

Campagna dell’Iniziativa Internazionale: Giustizia per i Curdi

APPELLO URGENTE PER LA CANCELLAZIONE DEL PKK DALL’ELENCO DELLE ORGANIZZAZIONI TERRORISTICHE DELL’UE

Nell’interesse della pace, della democrazia e dei diritti umani, chiediamo al Consiglio dell’Unione europea di rimuovere il PKK dall’elenco delle organizzazioni terroristiche vietate.

Una soluzione pacifica alla questione curda è un prerequisito per una sana democrazia e per la stabilità in Turchia e nel più ampio Medio Oriente. La Turchia e la sua vasta comunità curda potranno raggiungere quella soluzione pacifica solo attraverso i negoziati. Tali negoziati devono coinvolgere tutte le parti, compreso il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La designazione del PKK come organizzazione terroristica, tuttavia, è un ostacolo sulla via della pace.

Ci sono motivi pratici schiaccianti per cancellare il PKK dalla lista, e ci sono anche motivi legali. Il PKK è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche nel 2002 su richiesta della Turchia, membro della NATO. La Corte suprema dell’UE, la Corte di giustizia del Lussemburgo, ha stabilito nel 2018 che il PKK è stato ingiustamente incluso nella lista dei terroristi dell’UE tra il 2014 e il 2017. Oltre a errori procedurali, la sentenza fa riferimento anche all’appello alla pace di Abdullah Öcalan nel 2013. Quando la validità della designazione di terrorismo è stata testata nei tribunali belgi, nel 2020 è stato accertato che il PKK non dovrebbe essere considerato legalmente un’organizzazione terroristica perché è parte di un conflitto armato non internazionale, il che lo rende soggetto alle leggi della guerra e non penale.

Inoltre, la nuova situazione del PKK in Medio Oriente non è stata presa in considerazione nell’elenco: né il temporaneo processo di pace e negoziato tra il PKK/curdi e il governo turco nel 2013-2015 né il nuovo ruolo dei curdi in del Medio Oriente, ad esempio nella lotta contro il cosiddetto Stato Islamico (ISIS). Dopo che lo Stato Islamico (ISIS) ha proclamato il suo “califfato” nell’estate del 2014 e ha iniziato a invadere vaste aree di territorio in Iraq e Siria, lo Stato turco gli ha fornito assistenza, soprattutto nell’attacco alle aree curde, mentre il PKK ha svolto un ruolo decisivo nella sconfitta dell’ISIS e di altri mercenari. L’ascesa dello Stato Islamico e di altri mercenari ha cambiato le priorità in Medio Oriente. La lotta del PKK con l’ISIS ha giovato agli sforzi antiterrorismo in Iraq e Siria. Il PKK ha contribuito a difendere e liberare aree come Makhmour, Sinjar e Kirkuk in Iraq, nonché Kobani e altre aree nel nord della Siria. Nell’agosto 2014, il PKK è stato determinante nella creazione di un corridoio umanitario per salvare decine di migliaia di yazidi intrappolati dall’ISIS sul monte Sinjar.

Nella storia dei curdi, nessun movimento è riuscito a mobilitare milioni di curdi per il loro diritto all’autodeterminazione come ha fatto il PKK. Si può affermare con certezza che il PKK è il movimento di massa più forte tra i curdi in Medio Oriente e nella diaspora. È anche il PKK che promuove e sostiene la libertà delle donne come dinamica strategica della democrazia sociale in Medio Oriente.

Durante la guerra globale al terrorismo, gli stati hanno usato la designazione “terrorista” come arma politica per delegittimare l’opposizione e reprimere gli sforzi per i diritti umani e la libertà, come ha fatto lo stato turco nel caso del popolo curdo. La designazione del PKK è stata usata per giustificare attacchi ai curdi ovunque, dalle pratiche discriminatorie agli scontri militari. Ha consentito di limitare la libertà di parola e rimuovere le libertà civili; ha portato alla soppressione di partiti politici di opposizione, giornali, canali televisivi ecc. Leader politici, rappresentanti parlamentari, sindaci eletti, giornalisti critici sono stati imprigionati con il pretesto di associazione con il terrorismo; ha permesso disuguaglianze endemiche e ha impedito di affrontare i problemi sociali; ed è stato impiegato come motivo di guerra. L’Unione europea viene quindi effettivamente utilizzata per mascherare gli attacchi dei regimi autoritari.

Per la causa della pace, della libertà, della democrazia, della stabilità e dei diritti umani, chiediamo la cancellazione immediata del PKK.
https://justiceforkurds.info/IT/


PRIMI FIRMATARI

Paolo Ferrero – Ex Ministro, Vicepresidente della Sinistra Europea, Italia

Roberto Rampi – Membro del Senato italiano, Membro dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa

Gorka Elejabarrieta Díaz, senatore spagnolo e direttore di politica e relazioni internazionali per EH Bildu

Prof. Norman Peach – Esperto in Diritto Internazionale

Prof. Kariane Westrheim – Presidente della Commissione Civica UE Turchia (EUTCC)ö Norwaz

Nils Andersson – Scrittore ed editore, Francia

Pia Maria Roll – Director & Theater Artist, Norway

Håkan Svenneling – The Left Party’s Foreign Policy Spokesperson, –  Sweden 

Slavoj Žižek – Philosopher/Slovenia

Janet Biehl – Author, Copy Editor, and Graphic Artist/USA

Selay Ghaffar – Women’s Right Activist and Spokesperson for Solidarity Party of Afghanistan

Joel Dutto – Membro del Kurdistan Solidarietà Coordinazioni, Francia

Nora Cortinas – Co-fondatrice di Madri di Plaza de Mayo, Argentina

Prof. Achin Vanaik – Professore in pensione di “Relazioni internazionali e politica globale”, Università di Delhi, India

Prof. Michael M. Gunter, Segretario Generale, Commissione Civica UE Turchia (EUTCC), USA

Berthold Fresenius – Avvocato, Germania

Prof. Raúl Prada Alcoreza – Università San Andrés, Bolivia

Roland Denis, ex ministro della Pianificazione, Venezuela

Villo Sigurdsson – Ex sindaco di Copenhagen per il Partito Socialista Popolare, Danimarca

Pernille Frahm – Ex membro del Parlamento europeo per il Partito popolare socialista, Danimarca

Benny Gustavsson – Presidente del Comitato di sostegno del Kurdistan, Svezia

Erling Folkvord – Ex membro del Parlamento, scrittore, Norvegia

Zerocalcare, Fumettista

Luisa Morgantini, former Vice President Eu parliament

Nicola Fratoianni, parlamentare e portavoce Sinistra Italia

Roberto Serra – fotografo e fotoreporter

Federico Venturini, Università degli studi di Udine

Arturo Salerni, Avvocato Roma

PRC Partito della Rifondazione comunista-Sinistra Europea

Sinistra Italiana

Cobas Confederazione dei Comitati di Base

CISDA (coordinamento italiano sostegno donne afghane)

Nicoletta Gandus (già magistrata),

Claudio Calia, Autore-disegnatore

Ivan Grozny Compasso, giornalista

Luigi Vinci (già parlamentare europeo)

Prof. Ricardo Antunes (Università di San Paolo, Brasile)

Prof. Armando Boito (Università di San Paolo, Brasile)

Prof. Marco Vanzulli (Università Bicocca di Milano)

Silvana Barbieri (Fonti di Pace Onlus)

Roberto Mapelli (Presidente Associazione Culturale Punto Rosso)

Marco Bersani (Portavoce Attac-Italia)

Vittorio Agnoletto (medico, già parlamentare europeo)

Mario Agostinelli (già Segretario CGIL Lombardia)

Onorio Rosati (già Segretario Camera del Lavoro di Milano)

Massimo Carlotto, Scritore

Davide Grasso, Professor of Philosophy, IUC – Turin

Giuliana Sgrena, giornalista

Andrea Pennacchi, attore

Laura Shrader, scrittore

Chiara Fabbiani, atleta e istruttrice di equitazione

Vincenzo Miliucci, Esecutivo Nazionale COBAS

José Luiz del Roio (storico brasiliano, già Senatore della Repubblica)

la “bottega” aderisce

Barricate della polizia contro il corteo delle donne a Istanbul – © Bianet

Cortei in tutta la Turchia contro il patriarcato di Stato. La polizia attacca

Donne in piazza in moltissime città. Per le attiviste sono 345 le uccise dall’inizio dell’anno, per il governo 251. Dopo l’uscita di Ankara dalla Convenzione di Istanbul le cose sono cambiate. In peggio

di CHIARA CRUCIATI (*)

Il 25 novembre non c’è stata città turca che non sia stata teatro delle manifestazioni delle donne, nella giornata mondiale contro la violenza di genere. Qui le donne, dopotutto, sono in piazza da anni, a frapporre i loro corpi a un governo che ha fatto del patriarcato strutturale un suo marchio di fabbrica.

Lo scorso marzo ha pensato bene di uscire dalla Convenzione di Istanbul, la prima a introdurre strumenti legalmente vincolanti per combattere la violenza sulle donne. Violenze che in Turchia non sono affatto venute meno, nonostante la propaganda governativa abbia descritto la Convenzione come una minaccia alla famiglia tradizionale e un inno all’omosessualità.

Ieri i numeri li hanno dati la ministra della Famiglia, Derya Yanık, e quello dell’Interno, Süleyman Soylu: «Al 15 novembre, sono stati commessi 251 femminicidi quest’anno». E non è ancora finito. Altri numeri li dà Bianet, agenzia stampa indipendente: 285. Per la piattaforma «We will stop feminicide» ne sono stati commessi già 345.

Nel 2020 erano stati 300 (più 170 casi sospetti, etichettati dalla polizia come suicidi), 477 nel 2019, 440 nel 2018. Bilancio doppio rispetto a dieci anni fa. Una realtà a cui si aggiungono violenze domestiche, matrimoni precoci, stupri. Anche in custodia: ieri un rapporto del Legal Aid Bureau against Sexual Harassment and Rape in Custody ha dato conto di almeno 793 casi di violenza sessuale contro detenute dal 1997 a oggi. Di queste 571 erano curde.

Contro una realtà cristallizzata dalla politica, ieri le donne hanno manifestato in tutto il paese, da piazza Taksim a Istanbul a piazza Sakarya ad Ankara. E ancora, a Smirne, Antalya, Bursa, Mersin, Edirne. «La nostra rivolta contro la violenza dello Stato maschile non è finita, ma cresce», «Jin, jiyan, azadi» (donne, vita e libertà, in curdo), «Gli omosessuali esistono», alcuni degli slogan urlati.

Ad attendere i cortei un ampio dispiegamento di polizia, che in passato non ha avuto problemi a manganellare le manifestanti. A Istanbul gli agenti hanno lanciato gas lacrimogeni e proiettili di gomma, ma migliaia di donne hanno continuato ad avanzare oltre le barricate. In piazza è stata ricordata anche la 28enne Basak Cengiz, architetta uccisa una settimana fa da un uomo con una spada da samurai. Ed è stata ricordata Deniz Poyraz, membra dell’Hdp uccisa a giugno nella sede di Smirne da un paramilitare.

«Subito dopo l’uscita (dalla Convenzione di Istanbul, ndr) un aggressore in prigione ha chiesto al suo avvocato se sarebbe stato rilasciato», racconta Berrin Sonmez della Women’s Platform for Equality: è il messaggio che è passato, senza Convenzione regna l’impunità.

Non è pura teoria: nelle stazioni di polizia non c’è più un dipartimento dedicato alle violenze di genere come prima e per gli ordini restrittivi contro uomini violenti ora ci vogliono due giorni di attesa, non più 24 ore. La donna che denuncia, poi, deve portare un certificato medico che attesti la violenza per poter avviare la pratica.

LINK UTILI

http://alkemianews.it/index.php/2021/11/18/kurdistan-la-guerra-continua/

https://www.youtube.com/watch?v=IGzFhBwiZXQ

 

https://www.avvenire.it/agora/pagine/ece-temelkuran-scrittrice-turca-il-presente-si-salva-solo-insieme: intervista alla scrittrice turca a proposito del suo saggio “La fiducia e la dignità” appena pubblicato da Bollati Boringhieri

https://left.it/2021/11/26/ai-turchi-non-e-consentito-dire-no-al-nucleare/: nell’articolo di Francesco Boscarol si racconta che Erdogan vuole inaugurare nel 2023 la prima centrale nucleare ad Akkuyu, in partnership con la compagnia russa Rosatom,

Turchia: Arrestati sei membri di Hdp 

Il 17 novembre un ufficio di HDP nel distretto di Çerkezköy è stato assalito e perquisito dalla polizia. Contemporaneamente sei membri del partito venivano arrestati presso la loro abitazione a Tekirdag. 

Un difensore dei Suryoye e di Grup Yorum alla sbarra in Germania 

Sami Grigo Baydar a processo in Germania con l’accusa di di aver pubblicato, un anno fa, su Facebook un messaggio in cui denunciava di aver ricevuto la visita di alcuni poliziotti “di origine turca” e azzardava un possibile legame tra questi e i servizi segreti della gendarmeria turca. 

Giornalisti curdi sotto tiro 

Vita dura per giornalisti e fotografi – soprattutto se indipendenti – in certe aree del globo. Quelli curdi poi sembrano essere particolarmente sotto tiro. 

Tre link  da “Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo”

Turchia

Le autorità giudiziarie turche hanno imprigionato l’oppositore, Metin Gurcan per le sue critiche al riavvicinamento diplomatico tra Ankara ed Abu Dhabi. Gurcan è uno dei fondatori del Partito per la Democrazia e il Progresso (DEVA). L’accusa a lui rivota è gravissima: “spionaggio politico e militare”, per un suo incontro pubblico con degli ambasciatori occidentali. Il leader del DEVA, l’ex primo ministro Alì Babacan ha respinto le assurde accuse: “Gurcan non possiede nessuna informazione di carattere militare, perché semplicemente lui non è un funzionario dello Stato. È stato arrestato per le sue idee politiche di contrasto con la linea fallimentare del governo”.

(1 dicembre)

Turchia

Il tribunale d’appello di Istanbul ha deciso di lasciare in carcere l’imprenditore e politico Osman Kavala, perché, “non ci sono sufficienti elementi per presupporre la sua innocenza”. Kavala è in carcere dal 2017, senza processo e con l’accusa di aver fomentato la protesta giovanile di piazza Taqsim. Il Parlamento Europeo aveva fatto appello per la sua liberazione e 10 ambasciatori occidentali avevano chiesto il suo rilascio, suscitando una reazione scomposta di Erdogan. Davanti alla sede del tribunale di Istambul si è radunata ieri una folla di amici e sostenitori di Kavala, per esprimere solidarietà e vicinanza.  

(27 novembre)

Turchia

La Corte Europea per i Diritti Umani ha condannato la Turchia per l’arresto illegale e coercitivo di 427 giudici e pubblici ministeri, avvenuto nel 2016 in seguito al fallito colpo di Stato. La Corte ha ordinato ad Ankara il pagamento di un risarcimento morale di 5 mila €, “perché quegli arresti rappresentano una violazione della Convenzione Europea per i Diritti Umani”. Dopo il fallito golpe del 16 luglio 2016, in Turchia è stata operata una repressione di massa che ha coinvolto 40 mila dipendenti pubblici licenziati e decine di migliaia di militari incarcerati, molti dei quali sulla base di sospetti di legami con l’associazione del predicatore Golen, ex amico dello stesso Erdogan, accusato dell’organizzazione del colpo di Stato ed attualmente rifugiato negli Stati Uniti.

(24 novembre)

 

 

Redazione
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