Il soggetto imprevisto

recensione di Giuliano Spagnul al libro di Federico Chicchi e Anna Simone: Il soggetto imprevisto. Neoliberalizzazione, pandemia e società della prestazione (Meltemi 2022)

“Anche se stava ormai facendo buio, le ambulanze continuavano ad arrivare… dopo aver messo a letto i malati, dovevo misurare loro la temperatura e prendere il polso. Passando da una tenda all’altra con una lanterna, ho compilato le cartelle cliniche dei nuovi ricoverati – tutti molto gravi. Quando è arrivato il dottore, ho dovuto aiutarlo a reggere la lanterna e segnarmi le terapie prescritte. Poi ho fatto il giro di ventiquattro tende, per preparare i pazienti per la notte e dar loro le medicine – ho lavorato tutto il giorno a ritmo frenetico… ma ero felice, perché mi sentivo viva.” Così racconta Christiana Morgan, in una lettera al suo fidanzato Bill al fronte, della sua giornata da infermiera a Boston nella prima delle tre ondate sempre più virulente dell’influenza spagnola. (1) “L’ospedale che riuscirono ad allestire divenne il modello per una serie di presidi sanitari di emergenza che vennero aperti in tutto il paese. Durante i primi frenetici giorni, le quattro infermiere erano di turno per diciotto ore, ridotte in seguito a dodici. In poche settimane, trattarono più di cinquecento malati di influenza, perdendone soltanto quattro, un autentico record per l’epoca.” (2) Christiana, descrivendo a Bill la sua dura giornata di lavoro, raccontando di come tutte loro dormissero “in un’unica camerata – su brande militari senza materasso, né lenzuola” poteva infine dirgli che “quando riusciremo a vederci, Bill, io saprò già tutto della vita militare e tu non potrai raccontarmi più niente di nuovo.” (3)

Nella realtà le due esperienze rimarranno irriducibili l’una all’altra. L’esperienza che resiste alla morte con la cura, l’amore di chi si sente vivo perché lotta per la vita non può trovare alcun corrispettivo con il vivere per la morte, con chi è obbligato a togliere l’altrui vita per conservare la propria.

Un secolo dopo, i Christiana e i Bill di oggi si trovano di nuovo ad affrontare il “soggetto imprevisto”, come chiamano la nuova pandemia Federico Chicchi e Anna Simone nel loro ultimo libro Il soggetto imprevisto. Neoliberalizzazione, pandemia e società della prestazione (Meltemi 2022). Questa volta però senza che ci sia come contraltare la più spaventosa delle guerre globali, quella che trasformò nell’intimo milioni di giovani e giovanissimi, rendendo capaci poi molti di loro, da uomini maturi, di estreme nefandezze, fino a quelle dei campi di sterminio. Eppure, nel leggere questo libro, nel suo stile un po’ pacato, accademico quel tanto che basta per rendere le proprie analisi meno cruente, meno strillate, è inevitabile renderci conto che ancora un’altra guerra globale è in atto. I morti, le stimmate dei feriti, nei corpi e nella psiche, sono in egual misura impressionanti. La posta in gioco è la stessa, un nuovo assoggettamento dell’individuo per renderlo docile materia di sfruttamento, per nuove forme di cattura ai fini dell’onnivora macchina celibe del capitale. La differenza da rilevare, sta nell’enorme capacità dei nuovi dispositivi di assoggettamento che l’evoluzione tecno-scientifica è stata in grado di apportare. Una differenza che ha permesso che “l’avvento dell’evento pandemico [contribuisse] a far sì che il rischio stesso, dal contagio alle modalità attraverso cui ci è stato comunicato, nonché gestito, divenisse talmente sistemico da trasformarsi in ‘principio di prestazione’. Anch’esso, cioè, ha smesso di essere un monito utile per ripensare il limite nei processi di neoliberalizzazione divenendo completamente funzionale ad essi: endemico, potremmo dire.”

Abbiamo così l’avverarsi di quel grande “sogno politico della peste” che Foucault stigmatizzava come “l’utopia della città perfettamente governata.” (4) Se dietro i dispositivi disciplinari si poteva leggere “l’ossessione dei ‘contagi’, della peste, delle rivolte, dei crimini, del vagabondaggio, delle diserzioni, delle persone che appaiono e scompaiono, vivono e muoiono nel disordine” (5) e il loro potere era soprattutto nella capacità di analisi e conseguente ripartizione differenziale tra sano-malato, normale-anormale, pericoloso-inoffensivo, ecc., oggi il salto di qualità inaugurato con la nuova peste si presenta come un gioco di prestigio che sparigliando i giochi fin lì fatti riporta a uno stato di confusione in cui i dispositivi disciplinari vengono, se non annullati, comunque depotenziati, a tutto vantaggio di un nuovo potere molto più pervasivo ed efficace nell’adattarsi alle mutate esigenze di una società sottoposta a un’accelerazione esponenziale del proprio sviluppo tecno-scientifico. La tanto temuta confusione da parte dei precedenti sistemi di potere disciplinari è oggi la caratteristica preminente di quelle “aree di indistinzione” che “sono l’esito di una progressiva confusione e sovrapposizione tra quelle attività che nel moderno si caratterizzano per la presenza di precisi confini di indiscernibilità e loro specifiche proprietà funzionali, seppur tra esse fortemente interdipendenti. Tale confusione si manifesta sempre di più sia in termini sostanziali (esperienziali e culturali) che formali (giuridici) e ha come effetto principale quello di determinare una nuova condizione di sfruttamento (più ampia della precedente, dove era possibile ancora rintracciare delle aree di non mercificazione).”

Ubbidendo all’indicazione lacaniana, che apre il volume, di seguire “l’unica scienza, vera, seria [che] è la fantascienza” gli autori ci portano in un mondo nuovo in cui il dominio dell’algoritmo fa sì che ogni nostra emozione, ogni gesto, ogni ambito di espressione sociale possa essere catturato e messo “direttamente a valore.” Negli anni ’80, molto prima dell’avvento delle piattaforme digitali, Felix Guattari in una sceneggiatura per un film, appunto di fantascienza, mai realizzato e che doveva chiamarsi Un amore di UIQ, (6) descrive un essere proveniente dall’infra-quark che prefigura “un appuntamento di cattura illimitato che, attraverso interfacce corporative, monopolizza tutta la nostra attenzione e la nostra energia e al contempo estrae il maggior plusvalore possibile dal lavoro creativo, dal comportamento e dalle relazioni sociali.” (7)

E ancor prima di Guattari, e prima ancora di internet, Philip K. Dick legge nel suo presente il formarsi di quel nuovo “soggetto capitalistico neoliberalizzato” che permetterà il costituirsi di quel nuovo mondo e di quella nuova era con i nuovi e cangianti strumenti di cattura che stiamo iniziando a sperimentare sulla nostra pelle. “Dio promette la vita eterna. Io posso fare di meglio: recapitarla a domicilio.” (8)

Nell’auspicio di riuscire a “dotarsi di una sintomatologia del presente al fine di sviluppare un’analisi critica che sia all’altezza delle sfide che ci aspettano” in questo processo di riconfigurazione del lavoro tramite la nostra risoggettivazione, i due autori ci avvertono però di non lasciarci intrappolare in “uno schema interpretativo interno e comunque per lo più schiacciato sulla questione tecnologica. La piattaforma, infatti, non è solamente un dispositivo tecnico, ma una macchina sociale che orienta in profondità il funzionamento delle soggettività, dei modi di lavorare, financo della dimensione estetica del mondo.”

Per dirla con Dick, quindi, non tanto quanto le macchine, le tecnologie nella loro competizione con l’umano potranno arrivare a sopravanzarci e perfino sostituirci, (9) ma soprattutto quanto noi possiamo diventare simili a loro. Abbiamo quindi a che fare, al di là di tutte le fantasmagoriche minacce del sopravvento del non-umano, con quelle assai più reali della “piena mutazione del capitale in forza di produzione di desideri.” (10)

È ciò che stiamo subendo che deve essere oggetto della nostra massima attenzione; è ciò in cui ci stiamo trasformando che deve essere da noi indagato senza reticenza alcuna. Nessuno di noi può dirsi incontaminato da questo processo di cambiamento. Non c’è più il vecchio capitalismo là fuori a cui contrapporci da una posizione di estraneità. Quello nuovo ci si presenta d’innanzi con le stimmate di quel Palmer Eldritch, perturbante dickiano, che ci abita e da cui sarà impossibile, d’ora in poi, separarci.

Questo libro, però, ci da alcune importanti indicazioni per una resistenza e anche, perché no, la possibilità di ribaltare il vantaggio che il nuovo potere del capitale ha su di noi. Nessuna fuga all’indietro in un arcaico e felice mondo pre-tecnologico: “l’immaginazione e la sensibilità umana sono costantemente – e da sempre – dipendenti dal loro rapporto con la tecnica e di questo occorre tener conto” ma possiamo ancora “interrompere il processo di disapprendimento dell’amore cui siamo costantemente sottoposti nella società della prestazione e del funzionamento algoritmico”. Ed è questo forse il punto di forza su cui far leva per ripensare un nostro possibile riscatto contro il macchinico che non sta là fuori a minacciarci ma che alberga in noi dagli inizi della nostra alba di esseri umani. Fino a che punto riusciamo a resistere, non all’artificiale, ma all’artificialità dei rapporti sperimentando “nuovi modi di vivere e desiderare”?

Nota 1: Claire Douglas, Interpretare l’ignoto. La vita di Christiana Morgan, un talento rimasto in ombra. Edizioni Scientifiche MA.GI., Roma, 2006, p. 67.

Nota 2: Ivi, p. 69.

Nota 3: Ibidem.

Nota 4: Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976, p. 216.

Nota 5: Ibidem.

Nota 6: Félix Guattari, UIQ, Luiss University Press, Roma, 2022. https://www.pulplibri.it/naufraghi-di-una-nuova-catastrofe-cosmica/

Nota 7: Silvia Maglioni e Graeme Thomson, Introduzione F. Guattari, op. cit. p. 48.

Nota 8: Philip K. Dick, Le tre stigmate di Palmer Eldritch, Mondadori, Milano, 2022, p. 91.

Nota 9: Vecchio tema dell’angoscia che accompagna tutto lo sviluppo della modernità. “…c’è motivo di credere che le macchine ci tratteranno con bontà, perché la loro esistenza dipenderà in larga misura dalla nostra. Ci governeranno con severità, ma non ci mangeranno.” Samuel Butler, Erewhon, Adelphi, Milano, 1979, p.196.

Nota 10: Un interessantissimo punto di vista su questa mutazione nell’analisi della serie televisiva WestWorld qui:

https://www.carmillaonline.com/2023/03/29/westworld-la-valle-della-disrupzione-1/

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