Intervista a Sunila Abeysekera

di Pamela Philipose per «Women’s Feature Service» (http://www.wfsnews.org/) – traduzione di Maria G. Di Rienzo.

Sunila Abeysekera, dello Sri Lanka, ha 60 anni e da oltre 25 è un’attivista per i diritti umani e l’eguaglianza di genere.

In parte intellettuale, in parte attivista: tu come definiresti te stessa?

Mi vedo principalmente come un’attivista per i diritti umani. Dal 1990 faccio parte di Informa, che è un centro di documentazione sui diritti umani. Monitoriamo le diverse situazioni e registriamo e documentiamo gli abusi. Nel corso degli anni abbiamo creato una rete di difensori dei diritti umani a livello locale e comunitario. A questi gruppi forniamo addestramento e li sosteniamo nelle loro azioni. Al terzo livello, lavoriamo con le donne nelle arene locali, nazionali e internazionali. Abbiamo lavorato con le sex worker, con le donne omosessuali e transgender, con le sieropositive, e abbiamo lavorato sulla questione dei diritti sulla terra con le comunità contadine e di pescatori. Lavoriamo anche con gli studenti svantaggiati in diverse aree.

Lo Sri Lanka sembra aver vissuto una massiccia erosione dei diritti democratici negli ultimi anni.

C’è sicuramente un clima di impunità nel Paese. Si sono date numerose violazioni dei diritti umani, rapimenti e omicidi, ma niente di tutto questo è stato soggetto ad indagini o perseguito per legge. La nostra Costituzione garantisce eguaglianza alle donne e alle minoranze, incluso il popolo tamil, ma tale garanzia non si traduce in pratica e nessuno può negare che ciò è dovuto alle strutture antidemocratiche che sono state create.

Quali sono le esperienze specifiche delle donne al proposito?

Ci sono due cose che è necessario dire su come le donne fanno esperienza delle conseguenze del conflitto nello Sri Lanka. Una è relativa all’intero Paese, ed è la crescita della violenza nei loro confronti. Donne (e membri delle loro famiglie) sono assassinate a causa di conflitti personali dai loro compagni, fidanzati e mariti. Gli assassini sono invariabilmente uomini che sono stati nell’esercito o hanno disertato dall’esercito. Qui, come ovunque, c’è un chiaro nesso fra l’aumentare di questi casi e la militarizzazione, la disponibilità di fucili e pistole, la violenza come mezzo di risoluzione di faide tra le comunità e la cultura generale di impunità. Questi ex combattenti dell’esercito e delle forze di sicurezza sono abituati a poter fare praticamente tutto quel che vogliono senza doverne rispondere. La maggior parte delle donne uccise erano singalesi del sud, perché i soldati sono del sud. La situazione nel nord e nell’est è diversa. Essendo in maggioranza tamil e musulmane, le donne stanno sopravvivendo in una situazione dove il conflitto ha distrutto in modo intensivo infrastrutture e istituzioni, inclusi gli ospedali. Quelli che sono stati messi in piedi dopo la fine del conflitto nel 2009 mancano di personale e attrezzature. In queste aree non c’è un’amministrazione civile, sono completamente controllate dall’esercito. Per cui le donne, che hanno sperimentato anni di insicurezza a causa della militarizzazione, non hanno scelta diversa e devono servirsi di strutture controllate da uomini in uniforme – e non è una cosa facile. Anche per questo motivo stiamo chiedendo il ritorno delle amministrazioni civili in queste zone.

L’altra conseguenza diretta della guerra in Sri Lanka è l’alto numero di nuclei familiari in cui il principale provveditore di reddito è una donna. Solo nel distretto di Jafna ci sono 20.000 di queste famiglie. Al momento non abbiamo dati precisi, ma nel 2009 si stimava che circa 300.000 persone vivessero in campi profughi. Il governo continuava a negare che ci fossero così tanti rifugiati interni e non ha mai intrapreso i passi necessari a occuparsi di loro. Nel 2010, a causa dello scandalo internazionale relativo a tali campi profughi, che alcuni cominciarono a chiamare “campi di concentramento”, il governo disperse i rifugiati. Il problema è che queste persone sono tornate dove risiedevano in precedenza o si sono sistemate in altri luoghi senza alcun sostegno: e ancora oggi vivono in baracche che hanno costruito da soli, senza un soldo, senza i mezzi per ricominciare un’esistenza decente. Per le donne che provvedono a queste famiglie non avere neppure una stanza che abbia una porta da chiudere è un enorme problema. Chiunque può entrare. E la violenza sessuale è in aumento.

La questione ha due livelli: primo, le donne non hanno abbastanza risorse e non abbastanza risorse sono dirette a loro. Il governo aveva promesso 50.000 case tre anni fa e di quest’intervento si sta ancora dibattendo. Nessuna casa è stata costruita sino a ora, in gran parte a causa degli ostacoli burocratici che il governo dello Sri Lanka sta mettendo ai suoi stessi proponimenti. Secondo, il sistema patriarcale opera contro le donne. Se le donne vanno negli uffici provinciali per cercare di ottenere gli aiuti che sono stati loro promessi sono soggette ad aggressioni sessuali e fisiche. A volte devono garantire favori sessuali perché un funzionario firmi un documento, o devono vendersi agli uomini mandati ad arare le loro terre.

Tu sei d’accordo sul fatto che le donne portano qualcosa di differente alla risoluzione dei conflitti?

Sin dagli anni ’80, specialmente dopo le terribili sommosse anti-Tamil del 1983, le donne dello Sri Lanka hanno tentato di creare spazi e organizzazioni che sostenessero l’interazione e l’impegno fra donne singalesi, musulmane e tamil. A mio avviso questo è un aspetto significativo dello Sri Lanka che non si trova in altri Paesi. Attraverso tutti i lunghi anni del conflitto i gruppi di donne hanno mantenuto una forte relazione. E’ per questo, credo, che c’è un senso molto profondo di solidarietà, sorellanza e amicizia fra le donne dello Sri Lanka, e questo permette loro di continuare a dialogare.

Le donne hanno un’idea diversa di chi è il nemico e di come interagire con il nemico. Quando parliamo con loro di riconciliazione – una conversazione che il governo non sta tenendo con nessuno, al momento – le donne mi dicono sempre che se le condizioni materiali della loro esistenza fossero migliori ciò comporterebbe una gran differenza. Inerente a tali dichiarazioni è la sensazione che sia tempo di muoversi in avanti. Ma la tragedia è che, sebbene sarebbe facilissimo per il governo migliorare le condizioni del popolo tamil, esso non lo sta facendo. Continua a trattare i Tamil come ostili e nemici, specialmente nel nord. Continua ad arrestarli, a tenerli prigionieri, a torturarli. I Tamil continuano a essere rapiti e a sparire. Le Tigri (l’esercito tamil, ndt) possono non esistere più nella forma in cui sono esistite, ma questo non significa che la guerra sia davvero finita: in effetti, per troppe persone, non è finita affatto.


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