Juan Gelman: un poeta immenso…
… ma anche un combattente coraggioso, un eroe antifascista
Un breve ricordo di Francesco Cecchini che traduce anche Elena Poniatowska e la “polemica con la morte” di Eduardo Galeano
Juan Gelman è morto a Città del Messico il 14 gennaio. La presidentessa dell’Argentina Cristhina Fernandez ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale affermando che «Gelman nella sua opera ha ritratto fedelmente la realtà del nostro paese e le ingiustizie dell’ America Latina».
Moltissime notizie su Juan Gelman, sulle sue poesie e i suoi scritti si possono trovare sul sito: www.juangelman.net
Ho tradotto quello che ha scritto Elena Poniatowska sul giornale messicano «La Jornada», il 17 gennaio in memoria di Juan Gelman. Un semplice episodio, ma significativo del valore umano di quest’uomo.
http://www.jornada.unam.mx/2014/01/17/cultura/a04a1cul
Juan Gelman, militante
di Elena Poniatowska
Il 15 agosto 1994, invitati dal subcomandante Marcos, partecipammo al primo congresso zapatista, a La Realidad, vicino a San Cristobal, nei monti del sud-est messicano, per il quale gli zapatisti avevano costruito, in mezzo al bosco con tronchi d’ alberi e grandi teli, una nave come quella di Fitzcarraldo, il personaggio di Werner Herzog, assolutamente straordinaria.
D’ un tratto dopo che gli invitati d’ onore, Carlos Payán, Alberto Gironella (che donò un magnifico dipinto, «Zapata que sparì con il temporal»), Pablo González Casanova, Luis Villoro, Rosario Ibarra de Piedra, Eraclio Zepeda, Antonio García de León, Manuel Tello, il fotografo Heriberto Rodríguez e altri, salutarono da un palco improvvisato, si scatenò un violento temporale che spazzò via le vele, cioè il tetto della grande tenda da campagna, dove si sarebbe celebrato il primo congresso zapatista. Proprio prima che cadesse il primo acquazzone, il Subcomandante ci aveva detto: «Non diano importanza alla televisione e alla radio, non si meraviglino, non si vendano, non si abbandonino, non abbiano paura, non stiano zitti, non si siedano a riposare».
Tutti ci bagnammo, ci infangammo e, completamente zuppi, ci rifugiammo in un’altra tenda, più o meno improvvisata nella quale più male che bene ci sistemammo per passare la notte, allineati sulla terra bagnata. Eravamo più di 70. Altri non ebbero la stessa fortuna di un tetto e passarono la notte sotto la pioggia fra Durito, lo scarabeo e il vecchio Antonio che si ripeteva (*), Ocosingo, Oventic, Altamirano, Las Margatitas La Indipendencia, Trinitaria.
«Non puoi dormire così, vai ad ammalarti» mi disse Eugenia León, che mi prestò pantaloni tanto lunghi che mi impedivano di camminare. Mariana Yampolosky, le avevano preso la macchina fotografica, non stava bene. «Non posso vivere senza la mia macchina fotografica». Graciela Ititurbbe fotografava con una piccola che nascose nel taschino. […] Margarita Gonzáles de León, si preoccupava per la fossa settica e per la carta del cesso. Qualcuno disse che il Subcomandante Marcos, con la sua pipa in bocca, si era affacciato per vedere come stavamo e questo dette coraggio a tutti. Al fisico Manuel Fernández Guati venne in mente di prendere una piccola chitarra e intonare con allegria jaranas (**) che ci ricordavano Veracruz. Altri sfiniti come Enrique Gonzáls Rojpo, chiesero che stesse zitto e li lasciasse dormire.
La maggior parte di noi si lamentava per la sventura e si piangeva addosso, quando improvvisamente udimmo Juan Gelman: «Smettete di lamentarvi, è una vergogna ascoltarvi». In piedi, arrabbiato, una coperta sulle spalle, continuò: «Se siamo venuti qui è per aiutare, non per complicare di più le cose» . Non mi ricordo se disse altro, ma ricordo bene il tono della sua voce e la sua figura alta la metà della tenda di campagna. Tutti restammo in silenzio vergognosi. Jesusa mi ricordò: «La dittatura militare argentina eliminò 30 mila persone e lui è un combattente». La mattina dopo andai ad abbracciarlo e mi disse con la bontà che sempre vidi nei suoi occhi: «Corri, vedi se puoi avere del caffè caldo, laggiù sotto gli alberi Moisés lo sta distribuendo».
Non so se gli zapatisti sapessero bene chi fosse qull’illustre visitatore, il grande poeta che scrisse: «Lì sta la poesia in pedi contro la morte». Era solo uno in più fra quelli che ammiravano il zapatismo. Quello che, sì, ricordo è la sua rettitudine e lealtà che lo fece andare fino al Chiapas adaccompagnare “i più piccoli” per dar loro, lo sapessero o no, la protezione della sua opera classica, calorosa, semplice e, pertanto, indistruttibile.
(*) Elena Poniatowska si riferisce ad una storia messicana, Don Durito, lo scarabeo, ripresa dal Subcomandante Marcos. Notizie a riguardo si trovano in rete.
(**) Jarana, musica e danza di origine spagnola che ha trovato in America Latina varie interpretazioni. Elena Poniatowska parla di quella di Veracruz.
Molto belle sono anche le parole di Eduardo Galeano: «Pochi giorni fa, parlando di Osvaldo Soriano e di Roberto Fontanarrosa, ho detto: A volte, la morte mente. Ora lo ripeto: la morte mente quando dice che Juan Gelman non c’è più. Juan continua a vivere in tutti quelli che gli abbiamo voluto bene, in tutti coloro che lo abbiamo letto, in tutti quelli che nella sua voce abbiamo ascoltato il nostro essere più profondo. Mai troveremo parole che esprimano la nostra gratitudine all’uomo che fu molti, a colui che fu noi e seguirà a essere noi nelle parole che ci ha lasciato».
Juan Gelman non si è dovuto vergognare, non ce ne sono stati tanti, così.
El facto y los poetas
Los poetas se mueren de vergüenza,
ningún decreto los prohibe,
ninguna radio los calumnia,
los poetas se mueren de vergüenza.
Alguna vez, de noche,
se ve pasar a un poeta con camello,
ubro de péstalos con crama espaminostas,
lástima, lástima, dicen las vecinas,
porque era un buen muchacho.
Muchos de ellos se encuentran sin cojones
en el momento culminante del cariño:
no es problema, se escriben un versito
pa’ la posteridá.
De Gotán (1962)