Scandalose sanzioni contro Cpi e Francesca Albanese

di Domenico Gallo (*)

Dopo l’ultimo Rapporto della Relatrice Onu, datato giugno 2025, il Segretario di Stato Marco Rubio aveva annunciato immediate sanzioni con l’accusa di aderire a una campagna politica ed economica in sfavore di Stati Uniti e Israele.
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori occupati, il 4 settembre ha spiegato in una conferenza stampa al Senato gli effetti delle sanzioni decretate contro di lei dall’amministrazione Trump.

Le sanzioni comportano il blocco di tutti i suoi beni negli Stati Uniti, immobili e conti correnti, ed il divieto di ricevere donazioni, retribuzioni ed ogni trasferimento di denaro per qualsiasi causa.
In questo caso le sanzioni USA hanno effetti extraterritoriali paradossali per cui l’Albanese non può aprire un conto corrente presso una banca italiana, né europea, né possedere o usare carte di credito. Essere inseriti nella lista nera dell’OFAC, (l’ufficio del Tesoro che controlla gli assetti finanziari stranieri) comporta una sorta di morte civile perché viene impedito l’esercizio di diritti fondamentali per gestire la propria vita.
Il problema però non riguarda solo la persona di Francesca Albanese o il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, l’obiettivo delle sanzioni USA è impedire il funzionamento della Corte penale internazionale, agendo per conto di Israele.
La fonte giuridica su cui si basano le sanzioni è l’Ordine Esecutivo n.14203 emesso da Donald Trump il 6 febbraio 2025. Con questo provvedimento (che negli USA ha valore di legge) Trump si duole dei procedimenti intrapresi dalla CPI nei confronti di Stati Uniti ed Israele, affermando – senza punta di vergogna – che : “entrambi sono democrazie fiorenti con forze armate che rispettano rigorosamente le leggi di guerra”.
Proseguendo Trump stabilisce che: “qualsiasi tentativo da parte della CPI di indagare, arrestare, detenere o perseguire persone protette (in sostanza i governanti ed i militari israeliani) costituisca una minaccia insolita e straordinaria alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti, e con la presente dichiaro uno stato di emergenza nazionale per affrontare tale minaccia”.

Di conseguenza: “Gli Stati Uniti imporranno sanzioni concrete e significative a coloro che sono responsabili delle violazioni della CPI, che potranno includere il blocco di beni e proprietà, nonché la sospensione dell’ingresso negli Stati Uniti per funzionari, dipendenti e agenti della CPI, insieme ai loro familiari stretti

L’ordine esecutivo sanziona direttamente Karim Khan, il Procuratore capo della CPI, però Trump delega il Segretario di Stato, Marco Rubio, a designare gli ulteriori soggetti da sanzionare fra tutti coloro che partecipano o contribuiscono all’attività della CPI.
Dopo il Capo della Procura della CPI, a cascata sono stati sanzionati altri 8 magistrati. Quattro giudici della CPI, sono stati sanzionati il 5 giugno 2025: Solomy Balungi Bossa (Uganda), Luz del Carmen Ibáñez Carranza (Perù), Reine Adelaide Sophie Alapini-Gansou (Benin), Beti Hohler (Slovenia).
Due ulteriori giudici e due vice-procuratori, sono stati sanzionati il 20 agosto 2025: Giudice Nicolas Guillou (Francia), Giudice Kimberly Prost (Canada), Vice-Procuratori: Nazhat Shameem Khan (Figi) e Mame Mandiaye Niang (Senegal).

A Francesca Albanese sono state applicate le sanzioni previste per la CPI perché, nella sua qualità di Relatrice speciale dell’ONU, ”Albanese si è impegnato direttamente con la Corte penale internazionale (CPI) negli sforzi per indagare, arrestare, detenere o perseguire cittadini degli Stati Uniti o di Israele”.
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la denuncia della complicità con Israele delle maggiori aziende americane. Scrive Marco Rubio nel suo provvedimento: “Di recente (l’Albanese) ha intensificato questo sforzo scrivendo lettere minatorie a decine di entità in tutto il mondo, tra cui importanti aziende americane nei settori della finanza, della tecnologia, della difesa, dell’energia e dell’ospitalità, avanzando accuse estreme e infondate e raccomandando alla CPI di proseguire le indagini e le azioni penali nei confronti di queste aziende e dei loro dirigenti”.

Le sanzioni alla Relatrice speciale dell’ONU rientra a pieno titolo nell’aggressione alla Corte penale internazionale che gli USA vogliono paralizzare.
Le sanzioni alla CPI hanno suscitato un’ondata di dissenso a livello globale.
In particolare, 79 Stati parti dello Statuto di Roma hanno rilasciato una dichiarazione congiunta riaffermando il loro “sostegno continuo e incrollabile all’indipendenza, all’imparzialità e all’integrità della CPI”, evidenziando come le sanzioni siano in grado di paralizzare l’attività della Corte, aumentando il rischio di impunità per crimini gravi, minando lo stato di diritto e compromettendo la sicurezza globale.
A livello europeo – guarda caso – la Dichiarazione non è stata sottoscritta dall’Italia (assieme alla Repubblica Ceca e all’Ungheria), sebbene proprio a Roma sia stato fondato l’Atto costitutivo della CPI (la Statuto di Roma) nel 1998.

Per i loro effetti extraterritoriali le sanzioni statunitensi hanno la capacità di compromettere gravemente il funzionamento della Corte. Infatti le istituzioni finanziarie (come succede per l’Albanese) potrebbero rifiutarsi di collaborare con la CPI per timore di ritorsioni da parte degli Stati Uniti, impedendone così l’accesso ai servizi bancari essenziali. Analogamente, le aziende che forniscono servizi informatici e tecnologici fondamentali per la raccolta e la gestione delle prove potrebbero decidere di interrompere ogni rapporto con la Corte, privandola di strumenti essenziali per il suo operato.

L’Unione europea da tempo si è posta il problema di reagire agli effetti extraterritoriali delle sanzioni americane che incidono negativamente sull’attività commerciale e finanziaria di aziende e cittadini dell’Unione. La reazione si è concretizzata nel c.d. Regolamento di blocco.  Il Regolamento n. 2271/96 fu adottato in risposta alle disposizioni statunitensi che nel 1996 avevano imposto sanzioni nei confronti di Cuba, Iran e Libia, impedendo di effettuare transazioni commerciali da e verso quei Paesi.

Il regolamento “blocca” gli effetti extraterritoriali delle sanzioni USA imponendo alle persone fisiche e giuridiche stabilite nell’Unione di non dare seguito agli atti normativi extraterritoriali statunitensi elencati nell’Allegato, così come a decisioni, sentenze o lodi arbitrali su questi fondati (artt. 5, comma 1 e 11). L’Allegato elenca gli atti legislativi e i regolamenti statunitensi nei confronti dei quali trova applicazione il regolamento di blocco. Alla Commissione spetta il potere di modificare l’Allegato (art. 11 bis) per aggiornarlo alla luce dei fatti successivi. Infatti con il successivo regolamento delegato (UE) 2018/1100 la Commissione, ha aggiornato l’Allegato, al fine di tenere conto delle sanzioni adottate dagli USA contro l’Iran nel 2012.
A questo punto sorge il problema di fondo, la Commissione, al di là delle chiacchiere di Von der Layen e di Kaja Kallas, ha intenzione di reagire agli effetti extraterritoriali delle sanzioni di Trump che travolgono la Corte penale internazionale?

La pretesa di bloccare la Corte penale internazionale, proprio nel momento in cui sarebbe massimo il bisogno di reagire con misure di giustizia ad un genocidio in corso sotto i nostri occhi, è uno scandalo, un golpe contro il diritto internazionale e le regole che faticosamente la Comunità internazionale si è data per cercare di rafforzare ila debole trama del diritto internazionale dei diritti umani. Si può discutere dell’efficacia reale del Regolamento di blocco, ma è l’unico strumento di cui l’Unione Europea dispone per reagire all’arroganza USA. È scandaloso che la Commissione UE non abbia inserito l’illegale ordine esecutivo di Trump nell’elenco dei provvedimenti oggetto del Regolamento di blocco, consentendo in questo modo agli USA di bloccare il funzionamento della Corte penale Internazionale.

Leggi qui il Rapporto di giugno 2025 della Relatrice ONU.

(*) Tratto da Libertà e Giustizia.
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Saluti iniziali:
• Sen. PEPPE DE CRISTOFARO
Intervengono:
• FRANCESCA ALBANESE, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967
• NAZZARENO GABRIELLI, direttore generale di Banca Etica
• DUCCIO FACCHINI, direttore di Altreconomia
• DOMENICO GALLO, ex magistrato della Corte di Cassazione

Tratto dal canale youtube di Altreconomia.
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Francesca Albanese e le sanzioni degli Stati Uniti: «Non posso neppure aprire un conto corrente»

Le sanzioni statunitensi colpiscono Francesca Albanese: avrebbe voluto aprire un conto corrente presso Banca Etica, ma è impossibile.

di Andrea Barolini (*)

Perfino la finanza etica ha le mani legate quando si tratta di aiutare una persona finita – senza prove, senza processi, senza possibilità di difendersi – nel mirino degli Stati Uniti di Donald Trump. La vicenda riguarda Francesca Albanese, giurista, ricercatrice e ormai da anni nell’occhio del ciclone per il ruolo di Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.
La sua colpa è nota: aver denunciato la situazione atroce della popolazione della Striscia di Gaza, da quasi due anni bombardata incessantemente, giorno e notte, dall’esercito di Israele. Una guerra che ha provocato più di 62mila morti, almeno 150mila feriti, oltre ad aver raso al suolo l’intera enclave palestinese.

Nel corso di una conferenza stampa tenuta a Roma, Albanese ha spiegato che le sanzioni che le sono state imposte per il suo impegno professionale, civile e umanitario le impediscono ormai perfino di godere dei diritti più elementari: «Io non ricevo donazioni, ma ho uno stipendio per il mio lavoro. Ho delle entrate e in questo momento non ho neppure la possibilità di aprire un conto bancario. Non posso avere neppure una carta di credito. E di conseguenza non posso fare neppure cose banali come affittare un’auto».

Francesca Albanese: «Per via delle sanzioni non posso aprire un conto corrente, avere una carta di credito o affittare un’auto»

L’impatto delle sanzioni imposte da Washington alla dirigente delle Nazioni Unite è stato toccato con mano anche da Banca Etica. Nelle scorse settimane, infatti, Francesca Albanese ha provato ad aprire un conto presso l’istituto di credito italiano.

Nazzareno Gabrielli, direttore generale di Banca Etica, ha raccontato la situazione vissuta, non nascondendo il «rammarico» e la «tristezza» per l’esito sfavorevole alla Relatrice speciale dell’Onu: «Nei mesi scorsi abbiamo ricevuto la richiesta di aprire un conto corrente e abbiamo accolto la domanda con il desiderio di offrire i nostri servizi a una persona che stimiamo e che svolge un incarico delicato e prezioso a difesa dei diritti umani».

«Meccanismi nati contro i criminali sono sfruttati per colpire una rappresentante delle Nazioni Unite»

Tuttavia, le regole imposte agli istituti finanziari hanno di fatto impedito l’apertura del rapporto bancario: «Nel corso delle verifiche necessarie previste dalla normativa italiana ed europea in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo, è emerso che la dottoressa Albanese risulta inserita nelle liste sanzionatorie statunitensi (la Sdn List dell’Ofac). La legge nazionale impone alle banche di effettuare questi controlli e, in caso di persone sanzionate, scatta un alert che espone la banca al rischio di gravi sanzioni in caso di apertura di un conto corrente».

Concretamente, «le liste Ofac, pur essendo emanate da un organismo  statunitense, condizionano l’intero sistema finanziario globale. Alle banche che non si adeguano possono essere comminate infatti “sanzioni secondarie” che comportano l’impossibilità di operare in dollari, l’esclusione dai circuiti internazionali di pagamento e persino sanzioni di importi insostenibili. Per cui, semplicemente, non abbiamo avuto margini di scelta».

Una giustizia parallela, con la finanza che diventa strumento esecutorio e passivo di decisioni politiche

«Queste normative antiriciclaggio e antiterrorismo – aggiunge Gabrielli a Valori.it – sono fondamentali, e sono nate dietro l’impulso decisivo proprio della finanza etica. Il meccanismo è sano. Servono però per colpire attività criminali, non una rappresentante delle Nazioni Unite alla quale si vogliono negare i diritti elementari. È una distorsione che lede la giustizia e di cui non possiamo che essere amareggiati».

La vicenda, in sintesi, spiega chiaramente come esista di fatto una giustizia parallela nel mondo. Una persona può essere sanzionata (ovvero condannata a una pena) in modo arbitrario e senza che il mondo intero possa, di fatto, opporsi. Il sistema finanziario mondiale diventa così uno strumento esecutorio e passivo di decisioni politiche assunte da un singolo governo. E, quando quel singolo governo è guidato da un estremista, i risultati sono questi.

(*) Tratto da Valori.

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alexik

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