Lgbt-fobia in Brasile

La pandemia, i periodi di lockdown e quarantena hanno accentuato gli episodi di discriminazione e violenza contro la comunità lgbtiq+, ma una buona notizia arriva da Cuba, dove il governo ha promosso l’inclusione lgbti come politica di stato.

di David Lifodi

                                         Foto: https://www.brasildefato.com.br/

«Lgbtfobia: il Brasile è l’epicentro anche di un’altra pandemia»: così titolava poco più di un mese fa Brasil de Fato riportando i dati della ong Transgender Europe e dell’Asociación Nacional de Travestis y Transexuales de Brasil.

Nel 2020, in Brasile, sono state assassinate 175 persone trans, con una crescita del 43,55% rispetto al 2019. Inoltre, da due anni, il più grande paese dell’America latina è lo stato dove avviene il maggior numero di omicidi di trans e non accennano a diminuire nemmeno i tentativi di omicidio nei loro confronti.

In Brasile si verifica il 44% delle uccisioni di trans dell’intero Sudamerica, in particolare negli stati di San Paolo, Ceará, Bahía e Río de Janeiro. La pandemia ha accresciuto i rischi per le persone trans a causa del persistente stato di lockdown.

Se prima dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19 le persone trans erano maggiormente tollerate dalle famiglie di provenienza con le quali convivevano, anche grazie al fatto che non erano costretti a trascorrere con loro gran parte della giornata, a seguito del lockdown e delle chiusure generalizzate l’ostilità nei loro confronti è cresciuta, tanto che in molti hanno preferito abbandonare le proprie case per non parlare di tutti coloro che sono stati allontanati deliberatamente.

L’organizzazione #VOTELGBT ha ricordato infatti che le strutture di sostegno o appoggio alle persone trans, come del resto le zone universitarie o di socialità, non rappresentavano per loro soltanto un luogo di studio, lavoro o svago, ma soprattutto spazi di socialità dove potevano sentirsi accettati, benvoluti e liberi, a differenza del contesto familiare. Quando l’obbligo di quarantena o, più semplicemente la necessità di rimanere in casa ha prevalso, per loro e, più in generale, per tutta la comunità lgbtiq+, la situazione è notevolmente peggiorata.

Intervistato da Brasil de Fato, il ricercatore Dennis Pacheco, del Foro Brasileño de Seguridad Pública, ha aggiunto che, in assenza di dati certi su fenomeno della violenza contro la comunità lgbtiq+, non è semplice né promuovere politiche di sicurezza pubblica in grado di tutelarli né tracciare un profilo dettagliato delle tipologie di delitto, degli aggressori e delle vittime.

A iniziative di questo tipo, peraltro, dovrebbero contribuire le istituzioni, oltre che la società civile, ma come è facile immaginare, di certo questa non è una priorità del governo Bolsonaro che, fin dalla campagna elettorale per la presidenza del paese, aveva giurato che avrebbe combattuto l’”ideologia di genere”, non a caso, già nell’aprile 2019, il presidente aveva dato l’ordine di smantellare il

Consejo Nacional para Combatir la Discriminación y Promover los Derechos de Lesbianas, Gays, Bisexuales, Travestis y transexuales, in modo tale da non dover più essere impegnato a combattere contro le discriminazioni e a promuovere l’integrazione nei confronti della popolazione lgbtiq+.

Nonostante tutto, in occasione delle elezioni municipali del 2020, i candidati lgbtiq+ hanno riscosso un successo mai riscontrato prima: circa 90 loro rappresentanti sono stati eletti in tutto il paese come consiglieri comunali, il quadruplo rispetto al 2016, ma tutto ciò ha sollevato un’ondata di odio ancora più violenta nei loro confronti, tanto da costringere Benny Briolly (Psol), prima parlamentare trans eletta a Niterói, (stato di Río de Janeiro), ad abbandonare il paese a causa delle numerose minacce subite, prima di optare per il ritorno in patria a seguito dell’ inclusione nel Programa de Proteção aos Defensores de Direitos Humanos, che però non le garantisce una tutela reale.

Se questa è la preoccupante situazione che vive la comunità lgbtiq+ in Brasile, si respira un’aria assai diversa a Cuba, che ha promosso l’inclusione lgbti come politica di stato. Nel 2013 il Codice del lavoro aveva eliminato la discriminazione per l’orientamento sessuale e nel Plan de Desarrollo Económico y Social 2017-2030 è stato inserito il principio della non discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere.

In occasione delle recenti Jornadas Cubanas contra la Homofobia y la Transfobia dello scorso maggio, sulla facciata del Ministero della Sanità a L’Avana, insieme alla bandiera di Cuba sventolava quella dell’arcobaleno per rimarcare la difesa dei diritti sessuali come diritti umani.

Lo stesso presidente Miguel Díaz-Canel, lo scorso mese di maggio, aveva scritto su twitter “Cuba está comprometida con la garantía de #TodosLosDerechosParaTodasLasPersonas” e “Donde exista amor hay una familia” per far passare il messaggio di un paese inclusivo.

Un passo incoraggiante per tutta l’America latina, in particolare per il Brasile, una volta che il bolsonarismo non sarà più al Planalto.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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