L’impossibile immortalità degli innumerevoli DB, morituri
di Mauro Antonio Miglieruolo (*)
Ero in Nuova Zelanda quando tutto cominciò. Vi ero stato portato da uno di quegli extraterrestri – alto sei metri che
doveva pesare, massimo, trenta chili – per aiutarlo a risolvere non so bene quale aspetto del problema che loro avevano con le descrizioni correnti sugli Incontri Ravvicinati di Terzo Tipo. Non va bene, non va affatto bene, sosteneva il tipo. Non c’è poesia, non c’è avventura, niente pathos, dobbiamo fare qualcosa. Eravamo in Nuova Zelanda appunto per esercitarci in tutta tranquillità nella ideazione di canovacci su possibili incontri virtuali, nonché la loro messa a punto pratica per saggiarne l’efficacia massmediale e la descrivibilità.
Avevamo già steso e collaudato una mezza dozzina di possibili scenografie, alcune delle quali un sacco drammatiche, quando un fuoristrada apparve nel primo tornante a fondovalle. La civiltà che tentava di raggiungerci. Una iattura. L’extraterrestre non pose tempo in mezzo, si nascose; io invece non potei evitare di andare incontro alla solennissima, inevitabile, certa, rottura di palle. Nessuna rottura di palle. Il tipo del fuori strada si rivelò essere un Messo Galattico Andromedano appiedato, con la mia medesima voglia di sbrogliarsela senza perdite di tempo. Con lui me la cavai in meno di cinque minuti. Appena il tempo di alcuni convenevoli obbligati su come me la passavo da quelle parti, che quello sperduto angolo di mondo era proprio una meraviglia, lo scambio ineguale tra dieci euro e una busta sigillata e la faccenda si concluse con rapido “hooo” alla pellirossa (lo stesso saluto che nei fumetti appare scritto all’inglese: “augh”). Non appena l’Andromedano se ne fu andato mi affrettai a aprire la busta. Conteneva un biglietto a firma Daniele Barbieri (esatto, quel Daniele Barbieri), con il quale il suddetto mi annunciava la propria morte. Già, proprio così. Daniele Barbieri, dopo essere passato a miglior vita, mi avvisava di essere passato a miglior vita. Ho il piacere di informarti, recitava il biglietto, che sono defunto il giorno 3 ottobre in uno squallido ospedale calabrese dove mi ero recato certo di potervi concludere i miei giorni. Dalla stessa data i tuoi oneri e compiti sono da considerare raddoppiati. Non l’inesistente mercede. Cordialmente, un Daniele Barbieri appagato e felice.
Vi sembrerà strano ma non pensai a uno scherzo (di fatto poi si accertò non lo fosse). Anche perché l’extraterrestre a cui mostrai il biglietto ne certificò l’autenticità, era proprio stato scritto dal Coordinatore Caporale del blog omonimo, di suo pugno.
Il colpo fu forte, tremendo. Abbastanza forte da impedirmi di riflettere sull’incongruità delle circostanze. Me la presi con il destino, colpevole ai miei occhi di indifferenza e dabbenaggine. DB, il Sommo, era più giovane, in buona salute e utile di me! eppure il fato aveva deciso toccasse a lui precedermi nell’Oltretomba. A volte gli eventi dimostrano che la vita sapeva essere proprio carogna.
– Non è possibile, – obiettai contrariato, senza tentare di nascondere il risentimento. Come avrei fatto, io? Come avremmo fatto tutti noi?
– Sono sempre i migliori che se ne vanno, – girò e rigirò il dito nella piaga l’extraterrestre che mi aveva portato sul posto. Dimostrando in questo modo di essere un emerito stronzo. – Così va il mondo.
Figuriamoci… ma che cavolate! Anche tra gli extraterrestri la scemenza tende a traboccare. La manifestazione di palese insufficienza discorsiva mi ricondusse a me stesso. Piantai in asso l’extrasolare, un carciofone utile esclusivamente a stupire coloro che NON leggevano fantascienza e mi precipitai nel più vicino punto internet per tentare di mettermi in contatto con la qualunque del Gruppo Redazionale. Volevo saperne di più sul merito di quell’impossibile, inaspettata (e incongrua) morte.
Mentre cercavo indirizzi e indizi, aggirandomi nel blog, mi imbattei in un paio di articoli recentissimi a firma DB. Articoli posteriori alla morte di DB, che non potevano essere stati scritti prima e programmati: facevano riferimento a fatti di cronaca occorsi dopo il fatidico 3 ottobre. Folgorato sulla via di Damasco, mentre riempivo l’animo di sollievo e meraviglia mescolati in uguale misura, digitai sulla tastiera una email al Coordinatore Caporale (alias Coordinatore Generale, titolo che DB ha in odio e che noi gli appioppiamo lo stesso; anche se, per evitare travasi di bile, in sua presenza a volte riduciamo a Coordinatore Caporale – titolo secondo me ancora più offensivo); il quale Caporale (sono arrabbiato con lui, perdonate: far venire di quei colpi ai collaboratori? Ma non è cosa!), rispose a tamburo battente per lamentare la mia assenza del blog da almeno 3 mercoledì successivi, e senza avvisare. Gesù! Daniele Barbieri era davvero vivo e lottava insieme a noi!
Ma allora?
Tornai di corsa dall’extraterrestre, che investii con tutto il mio sdegno! Ma che autentico e autentico, DB è vivo e vegeto! Ma sei imbriaco, o che?
– Non ho mica detto che fosse morto. Solo che il biglietto è autografo, mica altro. È il biglietto che lo sosteneva, cioè che fosse morto. Perché te la prendi con me?
Non aveva tutti i torti. Ma solo il torto di implicitamente sostenere che ero stato gabbato.
– Stai forse insinuando che il Coordinatore Generale è un pazzoide amante degli scherzi stupidi e crudeli? – obiettai.
– No. Sostengo che nemmeno il Coordinatore Generale, come lo chiami tu, sa bene quel che dice e come stiano effettivamente le cose…
Non si limitò a quello, a formulare un accenno all’enigma che poi saltò fuori. Intorbidì le acque con una ulteriore notizia che, da perfetto perfido Andromedano qual’era, introdusse nella conversazione con nonchalance. Una notizia che produsse l’immediato effetto di sviare la mia attenzione dal mistero del biglietto autografo e inesatto.
– Ne è morto un altro… – buttò là distrattamente, aggiungendo impossibile all’impossibile.
Cosa? Cosa?
– Come sarebbe a dire ne è morto un altro!?
– Che il tuo Daniele Barbieri è precipitato nell’oceano durante un volo verso il Messico insieme a qualche centinaio di passeggeri. Una tragedia immane.
– Ma che dici!? Se con lui ho chattato appena qualche ora fa?
Scrollò le spalle e si allontanò ondeggiando con quell’andatura loro propria e che noi terrestri, sogghignando, definiamo da “canna al vento”. Non del tutto arbitrariamente, comunque. Infatti, proprio una canna pareva quel mio personale extraterrestre (non ne avete uno, voi?). Della canna il tipo possedeva l’aspetto, l’andatura e la biologia. Gli Andromedani, se non lo sapete ve lo comunico, sono decisamente da includere nel regno vegetale (su Andromeda molte specie vegetali erano mobili); e somigliava in tutto e per tutto a un bambù, un bambù ipertrofico che se aveva smesso di crescere non però smesso di frusciare e piegarsi ad ogni più sottile refolo di vento.
Non insistetti a ottenere più ampie e illuminanti spiegazioni. Gli Andromedani se non vogliono non le danno. Neppure sotto tortura. Offeso, dal mio atteggiamento alterato ostile, aveva deciso di non darne. Reagii rifiutando di completare il lavoro, che in verità, a quel punto, avrei condotto malvolentieri e con una certa sciatteria.
– Vaffanculo, Andromé, me ne torno a casa…
Già, tornai alla civiltà. A casa: a ciò che per pigrizia mentale e un residuo di sciovinismo, identifico con la civiltà. Pur sapendo che tutto si può dire dell’Italia fuori che sia sede di una qualche forma di civiltà. Ma era pur sempre la mia amata dimora, nella quale la mia proverbiale pigrizia può affermare i suoi diritti senza dover andare incontro a mute censure o eccessive sollecitazioni a smetterla di starsene sdraiato tutto il santo giorno, gli occhi perennemente fissati al soffitto, e datti da fare. Ci tornai di corsa anche perché era imminente la partenza con la coniuga per quel di Puttaparthi, località dove è stato edificato un mausoleo a Sai Baba, mausoleo che desiderava vedere (o adorare, non so. Le mogli sono imprevedibili. Mia moglie è una moglie. Cioè, volevo dire, le donne sono imprevedibili. Mia moglie è una donna. Ed io suo marito…).
A casa mi accolse l’ennesima sorpresa. DB era stato trovato morto in una stazioncina in disuso della ormai soppressa linea ferroviaria Jonica, soppressione che costituisce il più grande delitto contro le infrastrutture commesso in Italia dai tempi dell’incendio di Roma. Tra i difetti del Nostro c’è l’attitudine a pensare, anomalia gravissima di questi tempi, in cui pensare a quello che succede equivale a soffrire. Occhio che non vede, cuore che non duole, si dice. Occorrerebbe tradurre il detto e dirlo in una forma più corretta (non migliore perché nuova: migliore perché migliore!). Dire cioè che rifiutare l’egemonia del punto di vista dominante è molto pericoloso. Si vede quel che non si dovrebbe vedere, ad esempio che Nerone è diventato sinonimo di scioperataggine e l’autore dell’infamia Jonica di benestantaggine (ci credo! A ottocentomila euri l’anno! Per fare danno! Ci credo si finisca con il diventare ex-comunisti abbienti!); il che espone oltre che alle cure delle Forze del Disordine Capitalistico, anche ai tumulti delle coronarie. Ritengo che il povero DB non abbia saputo/potuto resistere alla vista di tanto strazio e deciso di non accettare gliene venisse inflitto dell’altro.
Accolsi la notizia senza commenti, senza pensiero, senza sentimento. Lasciai fosse il corpo ad agire. Mi abbandonai all’empia abitudine alla fuga e alla smemoratezza. Cancellai le prenotazioni per il viaggio, mi misi a letto, febbricitai alcuni giorni e per gli stessi giorni della questione non volli occuparmi più.
2
Volle la questione occuparsi di me. Per mezzo di una nuova missiva a firma DB Settimo. O meglio di “DB io, ma Settimo”. Immagino volesse dire della serie.
Avevo appena finito di litigare con la febbre, convinto che qualche altro giorno ancora e avrei potuto abbandonare il mio giaciglio di dolore, quando sul davanzale della finestra della camera in cui lamentavo i tanti malanni che lasciavo mio sovrastassero si posò una colomba rossa (d’un rosso acceso) con un biglietto nel becco. Muggii qualcosa di indistinto che voleva essere contemporaneamente una richiesta d’aiuto, un esorcismo contro le allucinazioni e l’invito perentorio alla colomba di andarsene. La colomba (o il colombo) aprì il becco e lasciò cadere all’interno della stanza il biglietto. Poi prese il volo. Non prima però di aver lasciato un ricordino sul davanzale, uno dei tanti che ero (eravamo) costretti a pulire in continuazione dal terrazzo. La necessità e l’abitudine unite insieme mi spinsero a sollevarmi dal mio letto di dolore. Pulii il ricordino e recuperai il biglietto. Dentro c’era l’ormai famosa nota a firma DB Settimo. Recitava il solito (simile?) delle missive, email, notizie precedenti. Sono morto altre tre volte, sosteneva il biglietto. Temo proprio che non si tratterà delle ultime. Non posi tempo in mezzo. Avevo percepito alcunché di disperato nel biglietto. Mi rivolsi direttamente (avrei dovuto pensarci prima) ai contatti che avevo con la Transolare di Luna Nuova, in quel di Phobos (mi costò un occhio della testa). Chiesi loro di effettuare la scannerizzazione meta stocastica del biglietto. Sulla base delle seguenti domande: si trattava di un documento autentico? Il contenuto era veritiero? Le tre morti potevano essere comprovate?
Il responso ai due primi quesiti arrivò immediatamente. Quello al terzo circa un’ora più tardi. Il biglietto era autentico, mi si disse, il contenuto veritiero. In effetti DB era morto tre volte (come la cosa fosse possibile, non veniva spiegato). Le tre morti:
a) pare che il de cuius si fosse recato imprudentemente a un comizio di Renzi, senza valutare con attenzione le possibili conseguenze. Conseguenze ferali. DB era letteralmente scoppiato dalla rabbia ascoltandolo promettere, insultare, bulleggiare, reazionare e narcisare. Una morte orrenda. Come di solito tocca a tutti coloro che avvicinano il Toscano, sorta di italico Voivoda di Valacchia (che in toscano atavico, cioè latino – si firmava Wladislaus Dragwlya, vaivoda partium Transalpinarum); personaggio meglio conosciuto come Vlad III Dracul, detto anche Vlad Tepes (Vlad l’Impalatore). Un coraggio da leone, questo DB, ma che faceva eccessivo affidamento sulle proprie capacità di resistenza. b) DB era stato assassinato da un blogger poco noto, invidioso del suo successo. Pur avendo consultato la Macchina virtuale supersapiente realizzata sul modello NON-A Vanvogtiano, aveva rifiutato di tenersi lontano dal Computer nelle Idi di Ottobre. Era stato quindi possibile pugnarlo elettronicamente. c) DB aveva incontrato in piena notte una proiezione mentale perfetta dell’immagine di Berlusconi. Non di Berlusconi autentico. Di Berlusconi secondo Brunetta, che è una versione peggiorata di Berlusconi (come Renzi è una versione peggiorata del Berlusconi di Brunetta). Era stato troppo. Un troppo moltiplicato dalle circostanze dell’incontro. Il tizio gli era comparso davanti all’improvviso, sghignazzante e barzellettante. Prima che DB potesse razionalizzare, l’orrore di quell’apparizione che aveva ben poco di umano lo aveva stroncato.
Gli eventi si erano tutti realizzati contemporaneamente il 3 ottobre, data che ormai oltre che fatidica stava anche diventando ripetitiva. L’ora, la medesima.
Lo Scanner Transolare confermava inoltre che l’estensore del biglietto era il DB canonico, il nostro DB, quello che Coordina il blog omonimo, al quale ci siamo abituati e per così dire rassegnati. Non spiegava però come tutto quello fosse possibile.
– Ma come può uno morire più volte?
– Può, può… perché non dovrebbe potere, dato che succede?
Non avevo risposte da dare e non ne diedi. Io le volevo da loro e li avevo pagati appunto perché le dessero. Raramente però gli Hegheliani del reale che sarebbe anche razionale (che vuol significate che il capitalismo non è solo il migliore del mondi possibili, ma anche l’UNICO mondo possibile), se interpellati, rispondono delle loro apodittiche pragmatiche oltranziste affermazioni (frutto dell’idealismo a oltranza). Una tantum le diedero, ridendo, un’ora circa più tardi.
– Non comprendiamo… – dissero. Ridevano di se stessi o di me che li avevo pagati?
– Questo l’avevo capito…
– Nessuno dei de cuius defunti sembra essere quello giusto. Eppure al momento della morte lo erano!
– Cioè?
La voce mi era diventata fessa. Era sulla strada per diventare anche afona? Che mi accocchiavano questi della Trans Sole? Non erano forse i miglior fichi del bigoncio?
Eppure cazzeggiavano, per non dire peggio, sostenendo che non risultava alcun defunto con le caratteristiche descritte tra coloro che erano passati a miglior vita nelle ultime settimane. Quantunque fosse accertato, di là dalle affermazioni autografe, che effettivamente alcuni (alcuni! Non uno!) DB avessero guadato l’Acheronte.
– Ci siamo imbattuti, – tentarono di giustifiarsi (a cosa non sa ricorrere l’incompetenza!), – in una contraddizione che sovrappone paradosso, illogicità e flatulenza. Una contraddizione da mal di fegato permanente!
Una enorme bischerata. Quelli della Transolare non mi risultava avessero fegato. Solo cervello e voglia smodata di euri.
– Dai dati in nostro possesso, oltre che dalla verifica degli annunci funebri, risulta chiaramente che non vi è corrispondenza univoca tra defunto e morto. L’identità dei defunti è effettivamente quella del DB canonico del quale ha avuto notizia; i morti invece semplici omonimi del de cuius. Non copie, cloni: omonimi.
– Impossibile…
– Sembra anche a noi. Ma questo è il risultato di una dozzina di scannerizzazioni successive.
Questo cambiava notevolmente le cose. Ciò voleva dire che DB aveva acquisito la facoltà di morire senza morire. O di morire per procura, non so come dirlo. Morendo, non moriva più, il corpo continuava a esistere, il cadavere assumeva ipso facto una diversa, anche se omonima, identità. Restava da comprendere, di là dal mistero delle pseudo Resurrezioni delle quali sembrava beneficiare, la moltiplicazione delle uguali identità di cui era oggetto. In più dell’ossessiva ripetitività delle morti? La faccenda aveva forse qualcosa a che vedere con la morte dell’Io (di alcune caratteristiche dell’Io) auspicata da determinate concezioni filosofiche? Qualunque fosse il paradigma scientifico retrostante, era un fatto che il DB di partenza era ormai diventato settemplice. Settemplice almeno alcuni giorni prima. Nel frattempo, a nostra insaputa, avrebbe potuto continuare a morire e a moltiplicarsi.
– Vi rendete conto delle conseguenze?
Se non erano in grado di fornire una spiegazione, potevano almeno tentare di fornire una previsione.
– La probabile fine del mondo, – risposero. – O forse addirittura, considerata l’andamento esponenziale del fenomeno, nel breve volgere di qualche anno dell’intera Via Lattea, se non del cosmo intero.
Rabbrividii. Loro con me, anche se finsero olimpica indifferenza. Non avendo fegato, non avevano neanche la capacità di scalmanarsi. Brutta faccenda la bile! Quella di preoccuparsi però la mantenevano.
– È prevedibile, – insistettero. – Che a breve giunga la notizia della morte di una decina di DB, che morendo smetteranno di essere DB, a cui farà seguito quella di diverse decine e poi diverse centinaia di altri DB. E poi di nuovo a milioni, milardi, trilioni… Finché la Terra ne sarà tutta piena. Poi strapiena. E sarà il collasso. Prima delle risorse alimentari…
– DB è uno che consumatore atipico, molto frugale…
– …poi di quelle energetiche. La stessa disponibilità di ossigeno verrà a mancare. L’equilibrio gravitazionale compromesso e il pianeta precipiterà sul Sole. Prima però la superficie terrestre verrà trasformata in un immenso carnaio di vivi/morti che morendo, misteriosamente, danno luogo a altri vivi che daranno luogo a altri metamorti, e altri ancora.
– E lo dite così?
– Come lo dovremmo dire? Lo diciamo com’è. Non possiamo altro che constatare.
Quello che non capivo era il meccanismo che faceva sì che il morto morendo cambiasse identità, diventasse altro da se stesso. E come si moltiplicassero i DB viventi.
– Semplice, – risposero a specifica domanda. – Non essendo il morto il DB originale, in virtù di qualche principio quantico ancora non ben conosciuto (sembra che a livello quantico il principio di conservazione dell’energia vada a farsi benedire), l’originale non può neppure essere morto. Il che lo raddoppia. L’originale non è morto perciò vive; essendo però effettivamente morto, il fatto che il morto cambi natura dà origine a un secondo originale che riequilibra lo squilibrio prodotto dalla conversione del morto. Innescando un processo moltiplicatore a loop destinato a non avere fine. Non una prevedibile, almeno. Per quel che ne sappiamo il processo, una volta avviato, non può essere interrotto.
Interruppi io la comunicazione con loro. Non potevano darmi di più, non intendevo dare altri euro per semplici chiacchiere o deduzioni che ero in grado di formulare da solo. Sicuramente DB si era imbattuto in qualche scienziato pazzo (a meno che non fosse lui lo scienziato pazzo) che sosteneva di aver trovato la formula dell’Immortalità. Emulo di Hedrock, l’Immortale, DB aveva accettato di sperimentarla su se stesso con la speranza, se funzionava, di metterla a disposizione dell’Umanità tutta. La faccenda doveva essergli sfuggita di mano. Non discuto le capacità di DB come blogger e giornalista, come militante e come attivista; ho molti dubbi invece sulla sua abilità nel trattare con scienziati pazzi e manipolare innovazioni scientifiche. Soprattutto quando sono di cotale portata (e chi mai può esserne capace?). L’unica sulla quale potessi riporre una qualche speranza è la fattucchiera mia vicina di casa, un tipo terribile, che non ti guarda mai negli occhi per timore tu gli faccia una qualche malia, incazzosa come un barboncino e dalle simpatie a intermittenza. Intermittenti anche le sue facoltà. Di tanto in tanto però ci azzeccava. A caso, per illuminazioni improvvise. In quei rari momenti era in grado di scioglieva misteri che nessun altro Negromante avrebbe osato nemmeno affrontare.
La trovai seduta sulla soglia di casa, gli occhi chiusi, che spippettava allegramente (ma senza sorridere) in attesa di un qualche poveretto da sbalordire.
– La tua è veramente grossa, – annunciò. – Gigantesca.
– Come fai a saperlo?
– Se vuoi che non lo si sappia non lo scrivere a caratteri cubitali sul viso…
Non era una che bluffava. Incazzosa sì, non mistificatrice. Mai preso qualcuno per i fondelli. Preferiva prenderti a calci, se gli fornivi un qualche motivo per farlo.
Gli raccontai in breve della storia di DB, dei tanti DB e degli altrettanti omonimi di DB. Mentre parlavo mi fissava in un certo qual suo modo che provocava motilità intestinale. Spippettava e guardava, spippettava e guardava…
– Ma che stronzo, – bofonchiava di tanto in tanto. – Sei proprio uno stronzo, che ti perdi in simili bicchieri d’acqua.
– Oh, ma insomma!
– Vuoi che ti trasformi in un rospo? È questo che vuoi?
– Il tuo non è un linguaggio da signora…
– A pensarci bene sarebbe meglio un topo. Di’, ti piacerebbe vivere il resto della tua vita da topo?
– Senti, dimmi quanto ti devo per la consulenza e piantamola lì.
– Niente mi devi. Solo sederti anche tu e ascoltare ciò che sarà. Ciò che sarà il 3 Ottobre…
– Ma il 3 ottobre è già passato…
– Non nel mondo magico della follia quantistica…
Sedetti e ascoltai.
– Non appena te ne andrai, anche se ancora non ne sei a conoscenza, provvederai a fissare un appuntamento al bar Trotskony davanti al quale vi siete già incontrati (come faceva a saperlo? Beh, magari ci aveva visti passando nelle vicinanze). Lo convincerai a sedersi a un tavolo e farsi portare un caffè, invece che una camomilla. Caffè che lui si guarderà bene dal consumare. Meglio così. Concentrerà maggiormente l’attenzione su quel che avrai da dirgli. Trasecolerà. A un certo punto interverrà un cameriere empatico occasionale, anche lui un effetto delle variabili quantistiche che nel mondo sono state introdotte. Ci penserà lui a indirizzare correttamente le cose. Cosa è questa Transolare? Si azzarderà a chiedere, della quale non ha mai sentito parlare. Il tuo Daniele Barbieri invece sì. Che tramillenarierà… Poverino…
Poverino sì! Questa Transolare pensava di averla inventata lui, in un racconto che stava scrivendo, un racconto tale e quale a quello verbale che avevo riassunto io. Tale e quale. Incluso morti che non morivano o che morendo diventavano altro e l’imminente pericolo che gravava sulla Terra.
– Hai poteri di divinazione? – chiese non appena sedemmo. – Oppure sei al soldo della CIA e ti avvali dei risultati della loro opera di spionaggio?
– Neppure capisco a cosa vuoi alludere. Non ho poteri divinazione, se mai li ha la mia vicina, e al solo sentir nominare la CIA mi viene l’itterizia…
Aveva una qualche fiducia in me, mi credette. E provvide a estrarre dalla sacca che si porta perennemente dietro un manoscritto. Che posò con una certa enfasi sul tavolino del bar.
Gli diedi un’occhiata. Cominciava più o meno nel seguente modo:
Ero in Nuova Zelanda quando tutto cominciò. Vi ero stato portato da un extraterrestre alto sei metri che doveva pesare, massimo, trenta chili, per aiutarlo a risolvere non so bene quale aspetto del problema che loro avevano con le descrizioni correnti sugli Incontri Ravvicinati di Terzo Tipo…
Non lessi altro. Erano sufficienti quelle poche righe.
– Mamma mia! – eslcamai. Sopraffatto dall’ulteriore infittirsi del mistero. Del mistero, dell’incongruo, del paradossale e del contraddittorio. – Ma cosa cavolo sta succedendo?
– Sta succedendo che sono vicino alla fine e però non riesco a trovare il modo di finirlo. Apparentemente la storia fine non ha. È la struttura stessa del racconto che non consente. Se finisce con la morte del mondo, in realtà non finisce, perché non ci sarà nessuno a constatare sia finito. Sarebbe lo stesso che formularla nella mente, quella fine. Se salvo il mondo introdurrò un elemento che nella logica complessiva che lo informa risulterà totalmente arbitrario. Sul racconto verrà apposta la parola fine, ma non avrà una fine, perché la fine apposta non sarà la sua.
– Cavolo! – commentai. – Deve essere terribile dover recitar il de profundis dell’umanità, perché non si è in grado di salire all’altezza del proprio racconto e guidarlo a un approdo positivo!
Deliravo anche io, è chiaro. Ma arrivati a quel punto, come altrimenti?
Eppure doveva esserci un modo per chiudere la faccenda aggiungendoci un pizzico di razionalità. Un modo giusto, fantascientificamente motivato, narrativamente accettabile.
– Lo sai, – riprese un po’ sul triste DB. – Lo sai le difficoltà che comporta maneggiare lo sfuggente, oleoso, traditore, cortigiano deus-ex-machina. Più di tanto un racconto non si può forzare.
Dico un po’ triste e non Tanto Tanto triste, perché in fondo, DB sapeva, io stesso sapevo che, a nostra insaputa, prima o poi la soluzione sarebbe arrivata. Doveva arrivare. Altrimenti non saremmo stati lì, trascorso il 3 ottobre a discettare su un andamento catastrofico di quella fausta felice giornata. Si fosse verificata la catastrofe non avremmo neppure potuto ragionare sulla impossibilità di evitarla. Dunque l’impossibile era possibile. In ogni caso della imminente rovina la realtà non portava traccia. Non giornali a strillare la notizia, non il governo a cercare di gettare acqua sul fuoco, non scienziati a comparire sugli schermi per, con la solita prosopopea, dire del loro nulla coperto dal nulla delle parole. Solo traffico, concitazione e disperato procedere di passanti. Il solito.
– Deus-ex-machina? – interrogò il cameriere che miracolosamente e provvidenzialmente si era trovato a passare nelle vicinanze. – In quanto cameriere sono esperto in deus-ex-machina. Molti camerieri, per non dire tutti, se sono VERI camerieri, lo sono. Deus-ex-machina. Tutti gli essere umani, in fondo lo sono. Siamo solo e soltanto un’accozzaglia gigantesca di deus-ex-machina con il compito di correggere la storia/romanzo del vicino… deus-ex-machina reciproci, per dire.
Lo fissai perplesso. Poi ricordai la frase della Negromante mia vicina di casa che lo aveva definito Cameriere empatico occasionale… aggiungedo che costituiva un effetto delle variabili quantistiche che nel mondo sono state introdotte, e inziai a capire. Il carattere stocastico del cameriere era una delle tante variabili stocastiche che il consolidarsi narrativo del racconto Barbieriano aveva introdotto nel continuum. Dunque, doveva essere lui, o in lui la soluzione. Ma lui era un cameriere. C’era un limite nell’essere camerieri. Il limite insito nella condizione di lavoratori alle prese quotidianamente con il problema di procurarsi il pane quotidiano. Un limite materiale che lui iniziò a simbolizzare mormorando a più riprese “un deu-ex-machina! Sì, certo, è quello che ci vuole!”
Si certo, nella fantascienza era ammissibile. Anzi si poteva dire la fantascienza fosse essenzialmente non altro che deus ex-machina, sin dall’origine. Sin dal quesito che si pone l’autore all’atto della emersione della volontà narrativa: che succederebbe sé…
Ma non era soltanto per teorizzare l’ammissibilità del deus che il cameriere, materialista a oltranza, continuava a bofonchiare. Era per ben altro. Lo esplicitò iniziando a strofinare tra loro i polpastrelli dell’indice e del pollice, come se avesse una caccola in mezzo. Impossibile equivocare. Un gesto universale, accettato e praticato in ogni parte del mondo.
– Quanto? – mi affrettai a chiedere.
– Due pezzi da cinquecento…
Per salvare il mondo non mi sembrava poi troppo. Anche se, sono sincero, mi importava sì salvare il mondo, ma più di tutto salvare il culo. Probabilmente anche il cameriere aveva fatto la medesima considerazione e perciò aveva moderato la richiesta.
– D’accordo, – dissi. – Salviamo questo mondo…
Lo dissi fiducioso, sebbene un attimo prima non avessi trovato altro nelle tasche che il sufficiente per saldare lo scontrino del caffè e della camomilla. Avevo ragione di esserlo. DB, da buon scrittore, aveva previsto tutto, ma proprio tutto. Previsto anche la necessità che a un certo punto vi trovassi la coppia di cinquecento necessaria. La estrassi di tasca e la diedi al deus improvvisato, eppure previsto (da DB, per tramite della fattucchiera).
I due pezzi uscirono fuori insieme a una mezza paginetta manoscritta, non di mio pugno. Nello stesso tempo che il deus si impadroniva della coppia cinquecentesca, DB si impadronì del foglietto, sul quale non mi permise che di gettare una fuggevole occhiata. Gliene diede una più lunga lui e sospirò di sollievo. Proprio quello che cercava. Il finale. Un finale che si era perso nei meandri delle spazio tempo e che la sua volontà/inventiva di scrittore aveva permesso condensasse nelle mie tasche. Il biglietto lo aveva inserito con destrezza il cameriere o si trattava di una delle tante oscillazioni quantistiche che volgarmente vengono chiamate miracoli?
– Gesù! – esclamò. – Che ideona! Come ho fatto a non pensarci io?
– Perché tu non sei un deus, ecco perché. Il cameriere è un deus, lui può risolvere le situazioni. E lui a denunciarti al titolare dell’esercizio, a trattenerti fino all’arrivo dei carabinieri. E tu non sei un deus, non un cameriere, non un dannato sbrogliatore di matasse, ma uno scrittore di fantascienza che, al massimo, i deus inventa, dei deus si serve, dei deaus ha fatto la ragione di vita!
DB si alzò. Sereno in volto, avrei detto contento, eppure alquanto sadicamente contento. Era riuscito a coinvolgermi nel suo progetto narrativo, ma senza che io ne avessi effettivamente parte attiva e probabilmente merito. Mi aveva fatto correre di qua e di là, consultato extraterrestri, Transolari e fattucchiere, mangiato il fegato per la preoccupazione, ma alla fin fine il racconto lo aveva scritto lui, ed io solo responsabile della trascrittura digitale. Ah! Ah! Ah! che splendido scherzo da prete!
Il peggio è che del contenuto del biglietto, il finale del racconto, non ha mai voluto mettermi al corrente (cosicché non posso a mia volta farlo sapere a voi). Il racconto stesso, mai avuto la possibilità di leggerlo. Quello che state leggendo infatti è il resoconto degli avvenimenti del 3 ottobre come li ricordo e a me sono capitati e dei quali ha fatto materia per il racconto. Trascurabile è la coincidenza delle parole, delle frasi e dei paragrafi. Secondario che i pezzi coincidano: quel che conta è che uno (il mio) è un resoconto e quello di DB un racconto. Peccato. Facile immaginare, dati i rpecedenti, si tratti di un capolavoro. Purtroppo il disvelamento dei contenuti attuato da questa nota temo lo abbia convinto che è bene omettere di farlo conoscere. Potrebbe facilmente essere accusato di plagio. Anche se in realtà, il plagiatore sono io, che mi sono limitato a abitare il suo racconto e trascrive sul blog tutto ciò che mi era capitato. Insomma avevo copiato quel che DB aveva immaginato. Spero che cambi idea e si decida a farci leggere il racconto nella sua stesura originale (alias, stesura reale).
Altro non intendo aggiungere. Se non ché le morti di massa sono cessate, il continuum sembra abbia riassorbito i DB in eccesso e la buona salute del Nostro che formulando continui auspici positivi confidiamo di poter aumentare, lo preservi non solo dalle disavventure di questo racconto, ma anche dai manganelli dei manganellatori, dai Berlusconi, dai Renzi e da chi gli vuol male ed è abituato ad agir male.
Concludo formulando una ipotesi. Che tutta la storia dall’incontro davanti al Trotskony in poi non costituisca altro che un colpo di coda del racconto che, vedendosi tanto mal condotto, dopo essere stato tanto ben condotto, temendo di essere condotto al cospetto di un finale a vanvera, sia intervenuto non solo per salvare se stesso, ma anche l’intera letteratura. E la nostra stessa possibilità di non impazzire.
Essendoci riuscito (diciamo che ci è riuscito) non rimane che chiudere come sogliono chiudere le storie effettivamente, copiosamente, corposamente, fantasticamente serie: larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che io ho detto la mia.
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(*) Il racconto è di DB io il semplice, mero materiale estensore. DB nega con veemenza questa circostanza. Nonostante gli scarni tentativi di privarmi del merito, non sono riuscito a convincerlo a apporre la sua firma. Ma si sa DB non ama gli apocrifi, i plagi e i falsi d’autore. Qui si pone una questione etica. Chi è il titolare di una racconto, chi contribuisce a far precipitare gli eventi che porteranno al racconto (incluso la necessità di qualcuno che ne faccia il resoconto) oppure il mero amanuense del resoconto?
Io ho la mia opinione in proposito (specialmente quando un racconto mi soddisfa poco). Libero ognuno di formularne una diversa…
Mauro Antonio Miglieruolo
grazie Mau, grazzissime
ho appena letto, sono commosso e quasi «muoio» (di nuooooooooovo?) per la sorpresa. Noi vecchietti di 66 anni – più 55 anni sul groppone o meno 52 a seconda dello stato d’animo – abbiamo la lacrima facile.
Chi lesse o magari leggerà, pur se di db glienefottepocoonulla, avrà goduto o godrà di una scrittura all’altezza del miglior Fredric Brown, del miglior Miglieruolo o der mejo Robert Sheckley. Scuuuuuusate se è poco.
Come nasce ‘ sto casino? C’era stata una proposta – un’incauta amica che da anni di me si cura, non a caso è veterinaria – di festeggiare in blog i miei 66 anni (ma scusate perché non la banale e classica cifra tonda? Intendo i 100 o almeno i 70 per Zia Scaraman). L’avevo sconsigliato… mi sembravano necrologi prematuri … ma riconfermando che al mio funerale voglio jazz, bandiere rosse e allegria. Però questo di Mau è un racconto, non un Necro Elogio; e poi non ne sapevo un cecio sino a pochi minuti fa. Non avrei potuto impedirlo neppure se davvero fossi un “coordinatore capoccio-caporale”.
Premonizioni? Boh. Qualche ora fa (quando avevo 66 anni e 6 ore dunque 666, “capito mi avete?”) e mi stavo riaddormentando – o forse ri/morendo – sul computer ho sentito una voce cavernosa urlarmi (neanche fossi uno Sket Tino qualsiasi): «Barbieri, torni sull’astronave, CAZZO”.
Così son qui sulla 66 route – in nuova Ze Landa – e non so bene come concludere. Un deja vu. Così rivago (ma deve essere un refuso per divago). Ieri sera mi hanno regalato, con lieve ritardo, un ormai introvabile libro per ragazzi scritto nel 1959 da Teresa Noce (se non sapete chi è Teresa Noce ve lo spiego un’altra volta) ovvero «Le avventure di Layka, cagnetta spaziale» (se non sapete chi è Layka idem). Stamattina la sorpresa Miglieruolo. Le mie coronarie vacillano. Siate pazienti, non fate «bu» se non strettamente necessario.
Ripensandoci “morire dal ridere” non è una brutta fine. Con una lieve variazione rispetto a quel famoso manifesto dell’anarcosindacalista arrestato che sghignazza…. “sarà una risata che mi seppellirà”?
Mi firmo il vostro “settemplice” db
PS: di ciò che Miglieruolo scrisse sotto invasamento da cdem (cameriere deus ex machina) smentisco quasi tutto: in sostanza sono menzognere due righe sì e una no, come nel famoso indovinello. Un punto sostanziale però corrisponde alla verità con la v minuscola e forse con la V maiuscola: la mia capacità di trattare con scienziati pazzi è assai bassa.
auguri di tutto cuore capo 😀 che te possino rapì gli alieni renzoidi spacciandosi per alieni leghisti o grilli senzienti e carognoni 😀
1000 di questi giorni 😀
bellissimo il racconto mi hai fatto morire…
qui c’è la fila per morire. Ah, questo “Moio” Antonio che ecatombe ha scatenato.
Per alcuni nascere equivale a morire. La vera vita sarebbe altrove, riservata ai morti…
dopo aver letto il godurioso racconto di Mauro Antonio mi vergogno a dire Buon Compleanno… però ci avevo azzeccato chiamandoti Supercapo… Augurììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììì sono le candeline smack
qui mi si vuole fare arrossire
Cara Santa, sei una santa, una di quelle che vedono nelle cose ciò che c’è nelle cose… calorosi ringraziamenti per il tuo implicito avallo.
“quel Daniele Barbieri” è perfetto.
e meno male che “quel Daniele Barbieri” compie solo 66 anni, e non 666, in quel caso ne leggeremmo di cose strane.
e bravo al mero materiale estensore.
semplicemente diabolico (Groucho, la pistolaaaaaaaaaaa)
Non ci scherziamo troppo sopra su questo 666. Per l’attuale accozzaglia di promettitori senza limiti e distruttori di stato sociale, chiunque osi sollevare dubbi, chiedere conto, obiettare sul loro operato appartiene al demoniaco, se non al demonio. Meglio non attirare l’attenzione…
Vi spiace se oppongo almeno un “mi piace” al racconto. Nessuno l’ha ancora fatto… (attiro l’attenzione su quell'”ancora”)
DB dixit: ma riconfermando che al mio funerale voglio jazz, bandiere rosse e allegria.
Hai colto con diabolica precisione (66 + 6) il senso del racconto. Non un necrologio, ma un tentativo malriuscito di apoteosi.
Cavolo, temo di essere sul punto di smerdarmi da solo…
Ultimo: che sono un invasato lo sanno tutti. Che ho mentito due righe sì e una no, è tutto da vedere. Invito tutti a tentare di vederlo…
Avendo avuto poco tempo e lucidità per leggere con la dovuta attenzione il controcapolavoro di Daniele Miglieruolo (o Miglieruolo Barbieri, boh), non posso che inchinarmi a cotal patafisicazzuola oltremodo oltremondo. E tornare indietro nel tempo per esibirmi in auguri ritardatari eppur anticipati, forse perfettamente in tempo, forse no, al nostro anticaliffo dei blog.