Nicaragua: l’incallita sovversiva Mónica Baltodano

La storia di una delle figura di spicco della lotta antisomozista a cui l’orteguismo e il chayismo hanno dichiarato guerra facendola passare come controrivoluzionaria.

di Bái Qiú’ēn

Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare. (Dante Alighieri)

Tout ce que je sais, c’est que je ne suis pas marxiste. (attribuita a Karl Marx o a Groucho)

Nel suo terzo volume di Memorias del fuego (1986), Eduardo Galeano ha narrato in poche righe un importante episodio della Rivoluzione Popolare Sandinista che si svolse a Granada il 17 luglio 1979, dopo la fuga precipitosa di Tachito Somoza. Sventolando uno straccio bianco, il tenente colonnello Francisco Ruiz della Guardia Nacional uscì dal portone della caserma-carcere La Pólvora, dove si trovavano trecento militari: «Voglio parlare con il comandante!». Abbassando il fazzoletto rossonero che le copriva parte del volto Isabel 104, all’anagrafe Mónica Baltodano Marcenaro (nata a León il 14 agosto 1954), gli rispose «Sono io la comandante». Con il classico machismo che ancora oggi pervade la mentalità e l’atteggiamento dei nicaraguensi: «Non mi arrendo a una donna!»

Volente o nolente, il colonnello si dovette arrendere (ed. it., p. 332).

Nel 1986 Mónica è stata decorata con l’Ordine Carlos Fonseca, all’epoca massima onorificenza concessa dal FSLN e destinata a coloro che si erano distinti nella lotta rivoluzionaria. Quattro anni prima, era stata concessa a Hugo Torres, il quale aveva partecipato all’azione del gruppo guerrigliero che la vigilia di Natale del 1974 ottenne la scarcerazione di numerosi sandinisti (tra i quali Daniel) e all’assalto al Palacio Nacional nell’agosto del 1978.

Negli anni Ottanta furono pochissimi a ricevere questa onorificenza di partito, tra loro anche Álvaro, fratello di Mónica e comandante di una colonna guerrigliera durante l’insurrezione di Managua (giugno 1979). Oggi sono entrambi esuli in Costa Rica con le rispettive famiglie, privati della nazionalità e addirittura cancellati dall’anagrafe. Qualcuno ricorderà che Hugo Torres è morto in un letto dell’ospedale della polizia, praticamente in stato di arresto, nel febbraio del 2022.

La storia non si ripete, ma: «Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per almeno vent’anni» dichiarò il Pubblico Ministero fascista Michele Ingrò nell’arringa conclusiva contro Antonio Gramsci durante il cosiddetto “Processone” del maggio 1928.

Eletta nella Direzione Nazionale del FSLN nel 1994 e deputata dal 1997 al 2002, Mónica fu espulsa dal partito per aver criticato la direzione verticistica e personalistica di Daniel. Iniziò pertanto un’attività politica per la creazione di un movimento sociale di base, un social forum che si ponesse “senza se e senza ma” contro le privatizzazioni e il neoliberismo praticati dall’allora governo in carica. Erano gli anni della lotta zapatista in Chiapas.

Molti speravano che con il ritorno di Daniel alla presidenza della Repubblica, le scelte politico-economiche invertissero la direzione neoliberista (pure noi tra i tanti), ma oggi Mónica afferma che «L’orteguismo è l’antitesi del vero sandinismo: è il risultato di un lungo processo iniziato con il controllo assoluto raggiunto da Daniel Ortega, prima privatizzando il Frente Sandinista, poi trasformandolo in un apparato elettorale al suo servizio, la cui missione è la difesa del potere della coppia [presidenziale]. L’orteguismo, sebbene sia sorto dal sandinismo, è l’antitesi dei suoi valori e dei suoi princìpi storici».

Nel corso delle proteste popolari Mónica fu brutalmente arrestata dalla polizia che l’aveva sollevata di peso afferrandola per le braccia e le gambe: «il mio primo arresto fu nel 1971 [restando un anno in carcere]. Avevamo acceso un falò nell’atrio di una chiesa per chiedere la libertà dei prigionieri politici. Uno di loro era Daniel Ortega! Mi sembra incredibile che ci troviamo ancora una volta di fronte a una Polizia e a un Esercito al servizio di un progetto personalistico». Pochi mesi prima del quarantesimo anniversario del trionfo della Rivoluzione Popolare Sandinista, assieme a lei il 16 marzo 2019 fu arrestata pure sua figlia Sofana, il cui padre è il comandante Bayardo Arce Castaño (l’unico dei nove componenti della Direzione Nazionale che ancora sostiene Daniel e ricopre l’incarico di consigliere presidenziale per le questioni economiche): proveniente dalla tendenza «Proletaria» del FSLN è oggi un imprenditore al quale si attribuiscono numerose proprietà e alcune malelingue “traducono” la sigla BAC (Banco de América Central) come le iniziali di Bayardo Arce Castaño.

Nel corso di un giro in alcuni Paesi del subcontinente (Brasile, Uruguay e Argentina), alcuni mesi fa Mónica ha incontrato vari esponenti politici e ha rilasciato dichiarazioni a vari mezzi di informazione latinoamericani. In una di queste ha affermato: «È difficile formare un’opposizione di sinistra. Nella rivolta del 2018 v’era un’altissima partecipazione di persone che provenivano dal sandinismo e persino dall’orteguismo: molte persone che vi avevano partecipato e si opponevano a Ortega nel 2018, il giorno prima lo sostenevano. Non accettavano la repressione né i morti. Questa era la distanza. Ma vi erano anche persone del centro, molte arrivate dal sandinismo e che se ne erano allontanate in momenti diversi. Daniel Ortega cercava e cerca di presentarsi come un uomo della sinistra antimperialista, quando tutte le sue politiche non sono state antimperialiste né di sinistra. Usa questo discorso perché ha bisogno di attrarre quella che può essere definita “la sinistra” in questa nuova fase della “guerra fredda”. È un maneggione e se c’è qualcosa che Ortega sa fare, è proprio manipolare. Ciò che riesce a fare è convincere un gran numero di nicaraguensi che non hanno vissuto il periodo della rivoluzione e ritengono che questo comportamento sia quello della sinistra, per cui se ne allontanano». Per la cronaca, stando ai dati demografici ufficiali, l’età media è oggi di 27 anni e il 70% dell’attuale popolazione del Nicaragua ha meno di 30 anni, non ha vissuto il decennio della rivoluzione e ancor meno la precedente lotta antisomozista. L’unica realtà che conoscono è quella dell’orteguismo, al potere dal 2007.

«Per quanto riguarda i discorsi antimperialisti di Daniel Ortega, in favore dei poveri o per gli interessi dell’umanità, non ci credo assolutamente e neppure posso avere fiducia negli ipocriti personaggi che lo accompagnano: stanno con lui solo per avere un ossicino da spolpare e, per vivere bene, hanno rinunciato in modo assoluto ai princìpi per i quali un tempo hanno lottato». Del resto, l’utilità dei suoi discorsi è più che altro diretta a quella sinistra che, con una fede cieca, all’estero crede ancora che le parole valgano più dei fatti. E se la realtà fattuale contraddice le parole, tanto peggio per la realtà.

Nel luglio del 2019 Mónica ha affermato: «Come se fosse poco, negli Stati Uniti i vecchi falchi che ora hanno assunto posizioni importanti nell’amministrazione Trump si sono resi responsabili di creare ulteriore confusione inserendo il regime nell’ambito dei paesi comunisti, della “triade del male”. E alcuni ci credono, per ingenuità o per opportunismo. Ortega non è mai stato ideologicamente comunista e la sua gestione da quando è tornato al governo nel gennaio 2007 è stata quella di un paladino del capitalismo e del libero mercato, delle strutture transnazionali, dell’estrattivismo brutale, dello sfruttamento delle risorse naturali e della privatizzazione di tutta la ricchezza pubblica».

In poche parole, «sebbene si siano promossi programmi sociali che hanno migliorato le condizioni di vita di ampi settori, il sistema economico e sociale, la struttura di classe, non sono stati sostanzialmente modificati».

Sia negli anni Ottanta sia in seguito, in numerose occasioni abbiamo avuto l’occasione di incontrare e dialogare con Mónica, che mai ha abbandonato il suo essere sandinista, come sostiene qualche rivoluzionario immaginario di casa nostra che la definisce «ex comandante guerrigliera passata armi, bagagli, case e famiglia all’antisandinismo» («Ricostruendo Nicaragua», 25 aprile 2019).

Questa rivoluzionaria incallita chiede con insistenza ai vari oppositori di non considerare i militanti sandinisti come nemici del popolo. Parole che hanno un peso sia tra i vecchi combattenti sia tra i giovani di quello che all’inizio del nuovo millennio era il locale Social Forum (del quale Mónica era la coordinatrice politica). Quei ragazzi e ragazze ogni giovedì pomeriggio protestavano al km 4,5 della Carretera Sur, di fronte all’ambasciata gringa nei giorni della seconda guerra del Golfo. Spesso Mónica era lì, lo possiamo testimoniare poiché pure noi c’eravamo, quando passavano le auto blindate con a bordo i vari Colin Powell o Condoleezza Rice o Jeb Bush (che parla perfettamente lo spagnolo senza alcun accento gringo). Di Daniel o di Rosario nemmeno l’ombra, tanto che la stessa Mónica all’epoca ripeteva che «Ci sono leader nel FSLN che lasciano molto a desiderare».

In quel 2003 Daniel era in tutt’altre faccende affaccendato: stava iniziando a porre le basi per le nuove e strette alleanze con gli imprenditori («el gran capital»), gli ex contras, la gerarchia della Chiesa cattolica e per ottenere la non belligeranza con Washington, che lo portarono alla vittoria elettorale del 5 novembre 2006 (con il 38,7% dei voti). Nello stesso 2003, neppure un dirigente sandinista era presente davanti all’ambasciata messicana la sera dell’anniversario della strage di Acteal, probabilmente tutti impegnati a preparare la gallina rellena per il cenone di Natale.

Forse anche per questo atteggiamento del “leader”, Mónica considera che Daniel «è un ipocrita, un bugiardo, il re della menzogna. È sempre stato bene con gli Stati Uniti e se urla contro le ingerenze e usa le storielle ripetute costantemente è per non perdere la poca base sociale che ancora crede in lui. Alcuni sandinisti pensano che continui a essere antimperialista, che continui ad essere come Sandino, ma del sandinismo a Ortega non resta assolutamente nulla, se non menzogne e ipocrisia». Se qualcuno tra coloro che ritengono che Daniel sia ancora un rivoluzionario e avesse voglia di leggere i suoi discorsi pubblici dal 2018 a oggi (in El 19 Digital), non farebbe fatica a notare che ripete costantemente le stesse cose, gli stessi argomenti, facendo un costante riferimento al passato e quasi mai affrontando le tematiche dell’attualità se non con alcuni accenni, né ai problemi che vive quotidianamente quel popolo tanto mitizzato e altrettanto trascurato. Persino i ridondanti riferimenti alla storia nazionale sono funzionali al mantenimento del suo potere, ma al tempo stesso questa costante ripetizione stanca e annoia la stessa base dei militanti. Già nel 1984 Umberto Eco affrontò il tema della ripetizione pur con una serie infinita di variazioni sul “testo base”, definendo questo meccanismo come «riprodurre una replica dello stesso tipo astratto» (L’immagine al plurale, Marsilio 1984, p. 20).

Con la scusa della pandemia, minimizzata se non negata fino al giorno precedente, dal 2020 la celebrazione del 19 luglio ha smesso di essere di massa, riducendosi a un migliaio di persone scelte accuratamente soprattutto tra gli acefali della Juventud Sandinista, comodamente seduti in cerchio (magico?) nella Plaza de la Revolución. Pronti ad applaudire a comando, senza rendersi conto che sono solo tante rane che trasportano un paio di scorpioni sulla schiena. Le migliaia di militanti che fino all’anno precedente brulicavano nella Plaza la Fé, neppure sono convocati (nel 2022 Rosario li invitò a celebrare il 19 luglio nelle loro abitazioni): oggi come oggi, individuare alle celebrazioni un militante di età superiore ai trent’anni è assai arduo. segnale innegabile della lontananza siderale tra la base storica e il vertice del partito-Stato. Per “riempire” la celebrazione dell’anniversario si fa perciò ricorso a gruppi musicali che ricevono finanziamenti statali per la loro attività partitica. Per il 19 luglio di questo 2023 Rosario ha organizzato alcune marce in varie località del Paese, affermando il 30 giugno «Recibimos julio victorioso, celebrando a los héroes, a las heroínas del repliegue táctico a Masaya en todo el país, caminando las rutas de Sandino en todo el país…». Sono marce scollegate l’una dall’altra, in ogni singola località, assai più controllabili rispetto a un raduno con centinaia di migliaia di persone, ben sapendo che la maggior parte dei protestatari del 2018 erano sandinisti. Per evitare qualsiasi problema di ordine pubblico, sempre Rosario il 12 luglio 2023 ha affermato che «In tutti i Municipi ci riuniremo nelle Case, come Famiglie, come Comunità, per festeggiare in grande stile, riunendoci nelle Piazze e nei Parchi nel pomeriggio, insieme al nostro Comandante Daniel, Essenza della nostra Invincibile Forza e Sapienza, Valente Essenza della nostra Cultura della Liberazione». Ciascuno nella propria abitazione, assieme alla propria famiglia e con un Daniel (DOS-Dios) presente in ogni luogo in quanto dotato di ubiquità.

Dopo la rottura nel 2018 di quel patto scellerato e antipopolare siglato con gli imprenditori, la ex-controrivoluzione e la Chiesa cattolica, nei cinque anni che sono seguiti la monarchia ereditaria e la casta al seguito non solo hanno fatto di tutto per impedire qualunque attività dell’antica destra oligarchica, ma, come lo scorpione della favola morale attribuita a Esopo ha iniziato a pungere la schiena della rana: «Oggi il regime si accanisce contro chi proviene dalle file del sandinismo: ha iniziato a colpire i nemici “interni” e questa è la caratteristica dei regimi autocratici e di polizia che vedono fantasmi in chiunque non agisca esattamente come vogliono loro», rincara Mónica. Se ciò non avviene, sono pronti a pungere mortalmente la base militante, del tutto inconsapevoli che ciò causerà la rovina di loro stessi. Non solo: l’8 luglio 2022 una folta delegazione di parlamentari e attivisti dei vari partiti della sinistra latinoamericana (Messico, Argentina, Brasile, Panamá, Repubblica Dominicana, ecc.) non riuscì neppure ad arrivare alla dogana tra il Costa Rica e il Nicaragua per presentare i passaporti, fermata dall’esercito schierato in tenuta di guerra e coadiuvato dalla polizia in tenuta antimotines. Isolandosi da una sinistra critica che non accetta il neo-stalinismo.

Per promuovere un cambiamento all’interno del FSLN, assieme ai comandanti Henry Ruiz (Modesto), Víctor Tirado López (El Viejo), Luis Carrión e ad altri come l’ex viceministro degli Esteri Victor Hugo Tinoco, all’inizio del 2005 dà vita al Movimiento por el Rescate del Sandinismo che, a causa della sigla MRS è spesso (volutamente e opportunisticamente) confuso con il Movimiento Renovador Sandinista, a sua volta fondato nel precedente maggio del 1995.

Concordiamo con Mónica nell’idea che «L’unica via d’uscita continua ad essere quella della popolazione organizzata», partendo dal coordinamento dei settori popolari che sono sempre più scontenti di una realtà che non li soddisfa né può soddisfarli. «L’unica strada è organizzare la resistenza, la lotta civica, creare una crisi nel Paese che costringa a ripensare tutto ciò che si sta realizzando e possa generare condizioni o situazioni simili a quelle che si sono create in Argentina, in Bolivia e in Ecuador».

È senza dubbio un percorso assai arduo e complicato da percorrere e lei stessa ne è perfettamente cosciente: «Tutta la società civile è stata polverizzata, ridotta ai minimi termini. Migliaia di persone sono dovute andare in esilio, vivendo in condizioni difficilissime. L’azione politica in Nicaragua è completamente impedita. Se esci in strada e sventoli una bandiera bianca e blu, ti catturano o ti fanno perseguitare e ti obbligano a lasciare il Paese, perché la bandiera del Nicaragua è diventata un simbolo di ribellione.

«In Nicaragua si sta vivendo una sospensione de facto di tutte le libertà e garanzie costituzionali. Non esiste libertà di movimento, di riunione, di informazione, di stampa, di associazione. Solo i sostenitori del regime hanno il diritto di incontrarsi e di manifestare. Tutti gli altri cittadini non possono farlo.

«In queste condizioni, non possiamo chiamare le persone a manifestare pubblicamente, a ribellarsi… tanto meno lo possiamo fare dall’esilio. Perciò puntiamo sull’organizzazione, che deve avere le caratteristiche di clandestinità cellulare, nello stile di ciò che abbiamo fatto contro la dittatura di Somoza, però questa volta con modalità di lotta pacifica e non violenta. Non stiamo chiamando le persone ad armarsi, non vogliamo un’altra guerra [civile] in Nicaragua».

Ci pare evidente che la dissidenza interna sandinista incuta paura alla casta, anche perché ha una lunga e profonda esperienza storica di attività clandestina (Mónica entrò in clandestinità nel 1974). Per cui, per il sistema è meglio che questi “sovversivi” non siano in Nicaragua. Anzi, che neppure siano mai esistiti e non si trovino tracce di loro nell’anagrafe: sebbene in Nicaragua non sia in vigore la pena capitale, ciò significa a tutti gli effetti la perpetua morte civile.

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Uno dei segnali che mostrano con evidenza la sovrapposizione attuale tra il partito e lo Stato (come fu nei vecchi Paesi dell’Est), pur non essendo istituzionalizzato il partito unico (essendo più conveniente la parvenza del plualismo), è la legge n. 1008 approvata dall’Asamblea Nacional il 27 novembre 2019 che ha trasformato l’Orden Carlos Fonseca da onorificenza di partito a onorificenza di Stato. Naturalmente, la “proposta” era arrivata direttamente da Daniel e, altrettanto naturalmente, non è più conferita ai combattenti storici bensì a tutti coloro «Che di fronte ai lacchè infidi e codardi, di fronte alla viltà di chi si vende e per lignaggio svende la propria patria, ci sono milioni di onesti nicaraguensi disposti a vivere in pace e dignità, lavorando con semplicità e umiltà per le nostre terre sacre, guidando con nobiltà i nostri sogni, le nostre legittime aspirazioni e tutti i nostri diritti».

Avendoli cancellati dai registri anagrafici, non essendo mai nati oggi tanti combattenti storici non esistono più e a Granada il 19 luglio 1979 il tenente colonnello Ruiz della Guardia Nacional si era arreso al nulla e l’unica realtà storica è quella ripetuta fino allo sfinimento dalla coppia regnante: così si riscrive la storia!

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Per conoscere meglio Mónica Baltodano e la storica lotta antisomozista narrata dai diretti protagonisti suggeriamo al lettore la consultazione dei quattro volumi della monumentale Memorias de la lucha sandinista, pubblicati nel 2010 dopo dodici anni di ricerche e consultabili integralmente in rete (con aggiunte posteriori e video).

Mónica ha raccolto queste decine di testimonianze come «un passo in più nel nostro impegno di diffondere l’eroica storia del popolo nicaraguense e del FSLN di Carlos Fonseca nella fase antidittatoriale della lotta».

«Esta obra tiene un declarado propósito subversivo».

Redazione
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