Mini dossier fantascienza – 2

Giuseppe Lippi sulla Fs/prima parte

La eccessiva lunghezza del file mi ha indotto a dividerlo in quattro parti, nonché a inserirlo nel blog in due mercoledì successivi. Pertanto, contrariamente a quanto annunciato, alle ore 19 non darò inizio alla panoramica sulle immagini fantastiche-fantascientifiche, ma pubblicherò la seconda parte dell’articolo.

La terza e quarta parte al prossimo mercoledì, 27 giugno

Mauro Antonio Miglieruolo

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La musa festeggiata: Urania 1952-2012

Parte Prima

 

Questo collage di parole è ottenuto rimontando tre pezzi scritti in diverse occasioni.

La data è in fondo a ciascun pezzo, seguita (se è il caso) da quella di revisione o aggiornamento. Il primo capitolo, su Urania rivista, è stato scritto nel 2011 per un libro di prossima uscita dalle Edizioni Profondo Rosso, Il futuro alla gola (una mia storia di Urania): naturalmente, nel volume il testo sarà più corposo e dettagliato. Il secondo, Urania dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, fu scritto nel 1992 per festeggiare i quarant’anni della collana ed è stato lievemente aggiornato. Il terzo ed ultimo, 1952 & 2012, si intitolava originariamente 1952 & 2002 e fu pubblicato nel volume speciale del cinquantennale. Anche in questo caso, solo piccoli ritocchi. Quando si fa un montaggio, a volte ci sono delle ripetizioni: ho deciso di non eliminarle perché, se è vero che si tratta degli stessi fatti, sono visti però da tempi o angolazioni diverse. Concludo questa breve nota promettendo un nuovo aggiornamento a ottobre, nel volume del sessantesimo anniversario. Ci rivediamo tutti là.

 

1. La prima della classe: “Urania” rivista 1952-1953

Molto spazio è stato dedicato alle figure dei fondatori, in primo luogo Giorgio Monicelli (1910-1968) che ha curato[1] la rivista “Urania” e i suoi “Romanzi” fin dal 1952, partendo da un progetto che gli stava a cuore dall’anteguerra. Ma benché la figura di Monicelli sia diventata giustamente leggendaria, come quella di un Jules Verne o almeno uno Hugo Gernsback dei nostri lidi, non bisogna dimenticare che ben difficilmente un giornalista solitario ― per quanto nipote di Arnoldo Mondadori ― avrebbe potuto varare una nuova linea editoriale di successo. E’ per questo che va dato il giusto credito ad Alberto Mondadori (1914-1976), secondo figlio di Arnoldo e cugino di Monicelli, che fiancheggiava il padre nella direzione della casa editrice al tempo della rinascita.

Ancora una volta il vecchio delle fortezze volanti viene a soccorso del nuovo. Per mettere in guardia dalle guerre del presente con quelle del futuro.
Per gentile concessione di Stefania Guglielman

Alberto, uomo di cultura e più tardi fondatore del “Saggiatore”, uno dei più influenti marchi editoriali degli anni Sessanta, comprese il potenziale insito nell’idea di “Urania”: importare in Italia i “thriller del futuro”, quella combinazione di avventura, mistero scientifico e anticipazione che già da decenni aveva conquistato il mercato americano, e che dall’Inghilterra, sua terra d’origine ai tempi di H.G. Wells, si era diffusa un po’ dovunque. Ma anche in Francia, patria di Jules Verne e dell’immaginazione tecnologica, la savanture riprendeva quota a livello librario e non solo nei periodici da edicola.

In America, Inghilterra e Germania i due formati coesistevano: riviste da una parte, in formato pulp o più spesso digest, e libri dall’altra, prevalentemente tascabili.

Nell’Italia di Giorgio Monicelli e Alberto Mondadori, si decise di mantenere quel doppio binario: “Urania” sarebbe stata una rivista di racconti e rubriche affiancata da una collana parallela di romanzi, entrambe distribuite esclusivamente in edicola. “I romanzi di Urania”, verso i quali l’editore nutriva maggiore fiducia commerciale, apparvero per primi il 10 ottobre 1952, al prezzo di 150 lire per 160 pagine. La periodicità prevedeva un nuovo fascicolo ogni dieci giorni. La rivista “Urania” uscì il primo novembre, sempre con 160 pagine a 150 lire e periodicità mensile. Il direttore responsabile delle due testate era Gino Marchiori, il curatore Giorgio Monicelli. L’editor o meglio il publisher ― se volessimo usare in anticipo questi termini aziendali molto più recenti ― era Alberto Mondadori (che, in qualità di editore, non figurava nel tamburino redazionale). Per il momento “Urania” non aveva una redazione vera e propria: oltre ad esserne curatore, Giorgio Monicelli ne era anche redattore letterario e a volte traduttore. In seguito i compiti più tipicamente redazionali vennero affidati ad Andreina Negretti, a sua volta abile traduttrice, che sarebbe rimasta l’unica responsabile del lavoro quotidiano dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, quando l’avrebbero affiancata Lea Grevi e poi Marzio Tosello.

Fantascienza al cubo.
Insieme a “Il Segreto degli Slan”, dello stesso autore, forma una coppia che rappresenta l’essenza stessa di un certo modo di concepire la fantascienza.
Il più fantasmagorico.
Per gentile concessione di Stefania Guglielman

Ma per tornare ai tempi eroici di Monicelli, diremo subito che “Urania” rivista non fece presa come si era sperato e cessò le pubblicazioni nel dicembre 1953, dopo appena quattordici numeri. E’ un peccato, perché la formula della rivista di racconti avrebbe permesso di far giungere ancor prima dei romanzi l’impatto della science fiction moderna, che negli anni Cinquanta aveva la sua punta di diamante nel racconto breve. Storie mature sul piano stilistico, ingegnose e spesso paradossali venivano pubblicate ogni mese nella moltitudine di riviste anglo-americane: in Italia se ne sarebbe avuta la prova definitiva qualche anno più tardi, nell’antologia di Sergio Solmi e Carlo Fruttero Le meraviglie del possibile (Einaudi, 1959). Purtroppo, il pubblico di un genere che ancora non esisteva come tale – perlomeno sul mercato nazionale – non era disposto a spendere il doppio per acquistare due collezioni apparentemente gemelle, di cui quella destinata ai racconti brevi doveva apparire più misteriosa e frammentaria. (Tutto ciò, senza contare la leggendaria avversione dei lettori di narrativa amena nei confronti della short story, l’esatto contrario del feuilleton.)

E’ un peccato, perché nei quattordici numeri di “Urania” rivista sono raccolti numerosi capolavori della fantascienza, anche se non sempre in versioni accurate o fedeli: tanto per fare alcuni esempi ricordiamo “La casa del passato” e “Le maschere” di Fritz Leiber (il primo dei quali modificato addirittura nel finale!), “Terrore” di Richard Matheson, “Esodo nero” di Ray Bradbury (un episodio delle Cronache marziane), la versione a puntate di Fahrenheit 451 con il titolo Gli anni del rogo, “L’ultimo marziano” di Fredric Brown, “I mangiatori di loto” di Stanley G. Weinbaum (un classico degli anni Trenta sempre fresco e attuale, o rara avis).

Inoltre, la rivista mondadoriana avrebbe tradotto la produzione corrente di scrittori come John Wyndham, Katherine MacLean, John D. Macdonald, Damon Knight, Frank G. Robinson, Murray Leinster, Clifford Simak e Isaac Asimov, tolta dai mensili americani “Astounding”, “Amazing”, “The Magazine of Fantasy and Science Fiction” e soprattutto “Galaxy”. Su “Urania” non ci sono state concessioni alla nostalgia, al passato remoto, a velleitarismi di alcun genere. Il vezzo principale è consistito nel pubblicare, talora a puntate, romanzi per ragazzi o di second’ordine come I  vampiri di Venere apparso nel primo numero: romanzo che, per quanto scritto da un noto astronomo come Philip Latham, venne brutalmente condensato nella versione italiana ed era del resto, fin dall’origine, un prodotto per giovanissimi.  

Gli anelli di Saturno (copertina di Urania Rivista n. 7) rielaborati per adattarli alle raffigurazioni avventurose degli anni Cinquanta.
Poi però è arrivata la effettiva esplorazione dello Spazio e quello che veniva piegato alle necessità del racconto ha finito con lo spezzare quello che alla nuova realtà non si è saputo adattare. E’ sopravvissuto solo chi ha potuto fare a meno degli anelli si Saturno o chi ha saputo costruire su come questi anelli effettivamente sono.

A parte queste pecche, si è trattato di una splendida e precoce rivista soffocata dalla sorella maggiore, la collana di romanzi che avrebbe finito per fagocitarla. Il che consente di fare anche un’altra riflessione: la formula del racconto di fantascienza moderno – quello degli anni Cinquanta, diciamo – non è necessariamente simile alla ricetta del racconto popolare, anzi il più delle volte è in contrasto con tutti i crismi della serialità e della narrativa a sensazione. Tranne eccezioni, non ci sono protagonisti fissi o eroi; non si sparacchia a vanvera e non si seducono belle donne tanto per accontentare il lettore; non si decantano le virtù dei pionieri contro quelle degli indiani, né del mondo libero contro i rossi. Non ci sono scappatelle, sentimentalismi, scene pruriginose e delitti sensazionali. L’ingrediente base di quei racconti è quasi sempre il paradosso, l’ingegno che rivolta la realtà come un guanto, in molti casi l’ironia. Uno humour nero sottile e pervasivo, un uso disinibito dei manuali di scienze, un amore per il plot ben costruito e il finale a sorpresa: questa è nella sua essenza la sf del dopoguerra. Da tale punto di vista, la rivista “Urania” – che ne è stata la casa – si può definire come la vera prima edizione delle Meraviglie del possibile, opera celebrata mille volte più della creatura monicelliana ma che, di fatto, ne ha ripreso autori, idee e trovate a piene mani. Per quattordici mesi, anche in Italia si è potuto sognare il sogno nella sua forma più evoluta, ciò che avremmo avuto se si fosse insistito su quella via, come in Francia si insisté con l’esperienza di “Fiction”: un periodico moderno, popolare nella veste e nel prezzo ma all’avanguardia nel contenuto (specialmente se integro). Invece, poco più di un anno dopo sarebbe calata la tela.

 Al contrario, “I romanzi di Urania” attecchirono perché si diedero alla robusta forma dell’intrattenimento generale, del romanzo d’azione oltre che di idee. E si può dire che continuino tuttora, benché con il n. 153 del giugno 1957 la testata sia diventata “Urania” tout-court e ogni tanto vi appaiano antologie di racconti invece che soli romanzi.

 

[2011]

 

Giuseppe Lippi


 

[1] E non “diretto”, perché, a differenza dei “Gialli”, “Urania” ha sempre avuto un direttore responsabile che era necessario ai fini della legge sulla stampa ma non coincideva con chi dirigeva la collana editorialmente. Quest’ultimo, essendo il più delle volte un consulente invece che un funzionario interno, è stato definito piuttosto “curatore”. Ora, il curatore di una collana libraria italiana non è sempre equiparabile alla figura anglosassone dell’editor o a quella francese del rédacteur en chef, ma è piuttosto un responsabile letterario e artistico cui non compete la parte amministrativa o gestionale. Negli anni Ottanta, poi, è emersa anche da noi la figura istituzionale dell’editor, che è il funzionario preposto non tanto a una singola collana ma al gruppo cui appartiene (come la narrativa straniera, i classici, la narrativa italiana, gli economici, la saggistica e i nostri romanzi da edicola). Su questi ruoli diversi torneremo più avanti.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

  • Non ho avuto tempo né modo di sottolineare prima. Lo faccio ora in commento.
    Poche volte ho incontrato una sintesi sull’essere della fantascienza altrettanto significativa e condivisibile. Riporto il passo saliente:

    A parte queste pecche, si è trattato di una splendida e precoce rivista soffocata dalla sorella maggiore, la collana di romanzi che avrebbe finito per fagocitarla. Il che consente di fare anche un’altra riflessione: la formula del racconto di fantascienza moderno – quello degli anni Cinquanta, diciamo – non è necessariamente simile alla ricetta del racconto popolare, anzi il più delle volte è in contrasto con tutti i crismi della serialità e della narrativa a sensazione. Tranne eccezioni, non ci sono protagonisti fissi o eroi; non si sparacchia a vanvera e non si seducono belle donne tanto per accontentare il lettore; non si decantano le virtù dei pionieri contro quelle degli indiani, né del mondo libero contro i rossi. Non ci sono scappatelle, sentimentalismi, scene pruriginose e delitti sensazionali. L’ingrediente base di quei racconti è quasi sempre il paradosso, l’ingegno che rivolta la realtà come un guanto, in molti casi l’ironia. Uno humour nero sottile e pervasivo, un uso disinibito dei manuali di scienze, un amore per il plot ben costruito e il finale a sorpresa: questa è nella sua essenza la sf del dopoguerra.

    Aggiungo di mio che, senza pur averne l’intenzione, nei fatti la fantascienza imbastisce un discorso sulla nuova letteratura, nel mentre stesso che la pratica. E’ così che si scrive, questi gli argomenti che chi prende un mano un libro ha passione di leggere. Non quegli altri che molta parte della letteratura maggiore, che appare vecchia anche quando inclina al rinnovamento, ritiene debbano essere trattati.

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