Nasci povero? E povero probabilmente morirai
di Danilo Tosarelli
Tempo di vacanza. Si rimembra.Tempo di riflessioni. In vacanza questo tempo trova la sua giusta dimensione.
Ve ne propongo 3 tra le tante che vi potrei offrire. Sono autentiche descrizioni della nostra realtà quotidiana.
LA POVERTA’ CHE NON APPARE
Nel 2024 il 31,4% di chi risiede in Italia, non ha potuto permettersi neppure una settimana di vacanza fuori casa.
Davvero qualcuno pensa che il 2025 ci offrirà un quadro migliore? Credo proprio di no. Guardiamo la situazione.
I prezzi sono aumentati. Il carrello della spesa nel mese di luglio, registra un 3,4% in più per i generi alimentari.
La Federconsumatori segnala una riduzione del consumo di carne e pesce (-16,9%). Dato indicativo di restrizione.
Rispetto al 2021 i salari reali sono scesi del 9%. Ciò significa che il potere d’acquisto dei salari è diminuito ancora.
Ne pagano le conseguenze i lavoratori meno tutelati e fra questi in particolare i lavoratori del commercio e dei servizi.
Secondo l’ultimo rapporto ISTAT sono 5,7 milioni di lavoratori ad attendere il rinnovo del contratto. Il 43,7% del totale.
Quasi un terzo della popolazione italiana non può permettersi una vacanza. E non sto parlando di vacanza estiva.. Mai.
Si parla, di chi ha un bilancio familiare che non consente scelta. Solo quella di restare a casa anche nel periodo delle ferie.
Secondo dati EUROSTAT, si tratta di lavoratori che hanno un reddito familiare non inferiore al 60% di quello mediano. Cioè?
Dati ISTAT 2023. Il reddito netto medio familiare italiano è stato di 37.511 euro all’anno. Il 50% di esse arriva a 30.039 euro.
E’ evidente, che sono le persone con figli quelle più a “rischio vacanze”. Spesso sono i nonni o i parenti a metterci una pezza.
Ciononostante, il 14,7% di bambini ed adolescenti italiani non trascorrono neppure una settimana di vacanza lontano da casa.
Il 9,3% di essi non ha neppure la possibilità, di svolgere regolarmente un’attività di svago a pagamento fuori casa. Incredibile.
Queste evidenti e profonde disuguaglianze sono presenti tutto l’anno, ma si accentuano nel periodo estivo. Non le percepisci.
Tutto ciò fa crescere sentimenti di esclusione, che si accentuano nel momento in cui anche la grande città non offre alternative.
Nel 2016 a Milano vi erano 4 centri balneari e diverse piscine scoperte, accessibili a prezzi popolari. Oggi ce ne sono aperte tre.
Quella di via Cardellino in zona Lorenteggio, in via Sant’Abbondio zona Missaglia e la piscina Ponzio in via Zanoia Città Studi.
La piscina Scarioni è chiusa dal 2018. Il Lido è chiuso dal 2019. La piscina Argelati è chiusa dal 2022. La Saini chiusa dal 2023.
Posso affermare con rabbia, senza timore di smentite, che la grande Milano si sta sempre più trasformando in una città cinica?
Posso affermare che l’Amministrazione Sala dimostra poca attenzione nei confronti delle fasce più deboli e più bisognose?
Stiamo parlando di servizi essenziali o non è forse vero? Per essi i soldi non si trovano mai e c’è sempre una scusa pronta..
Purtroppo è un problema che non riguarda solo la mia Milano. Ma va da sé, che ogni sindaco deve dare la sua impronta. Sala?
NASCI POVERO? PROBABILMENTE MORIRAI POVERO.
Chi nasce povero in Italia ha altissime probabilità di restare povero sempre. Appare come un destino. Interessante la ricerca.
Arriva dall’Università di Oxford ed è stato pubblicato su ” Research in social stratification and mobility”. Gli inglesi ci studiano.
Nel 2019 in Italia il 21% della popolazione era a rischio povertà o esclusione sociale. Nel 2024 è il 23,1%. 13 milioni di italiani.
Secondo i ricercatori, in Italia esistono scarse possibilità di uscita dalla povertà. Esiste una conclamata rigidità della povertà.
L’Italia si colloca tra i Paesi che hanno la maggior persistenza intergenerazionale della povertà. Peggio di noi solo in pochi.
Romania, Bulgaria, Serbia e Lituania. Invece in Svezia, Danimarca e Svizzera la povertà non si trasmette. Incide pochissimo.
In Italia, chi proviene da una famiglia povera ha probabilità 15 punti percentuali in più degli altri, di diventare povero da adulto.
Ma senza alcuni parametri di riferimento, è difficile poter individuare il rapporto tra il prima e il dopo, quando si diventa adulti.
Utilizziamo le categorie usate dagli studiosi dell’Università di Oxford.
Nell’INFANZIA sono la deprivazione materiale (mancanza di libri scolastici, pasti adeguati, vacanze). Sono elementi essenziali.
La percezione delle difficoltà economiche della famiglia. Il titolo di studio dei genitori. Il tipo di occupazione o disoccupazione.
In ETA’ ADULTA il reddito che deve essere inferiore al 60% di quello mediano. Bassa intensità lavorativa. Esclusione sociale.
La povertà si trasmette per meccanismi culturali, educativi, strutturali. Chi nasce povero ha reti sociali più fragili. Ma non solo.
Cresce in contesti scolastici più deboli ed ha meno strumenti per orientarsi nel mondo del lavoro. Questo gap non lo recuperi.
Il principale canale di trasmissione della povertà è l’istruzione. I dati che ci fornisce ISTAT ci sono di grande aiuto per capire.
Almeno un genitore laureato? Il 67% dei figli tra i 25 e 34 anni raggiungeranno almeno l’obiettivo di diplomarsi o anche più.
Almeno un genitore diplomato? Solo il 40% dei figli in età sopracitata raggiungerà il diploma.
Anche entrambi i genitori, con solo il titolo di terza media? Solo il 13% dei loro figli raggiungerà l’obiettivo del diploma.
Anche l’abbandono scolastico segue la stessa logica. Se un genitore è laureato, solo il 2% dei figli lascerà la scuola.
Se i livelli di istruzione si abbassano fra i genitori, ecco che il tasso di abbandono sale proporzionalmente sino al 24%.
Spesso però, nemmeno la scuola può bastare per far funzionare l’ascensore sociale. Non sempre chi studia riesce a salire.
Spesso da noi, la povertà è una trappola ereditaria che incombe sin dalla nascita e dalla cui morsa è difficile liberarsi. E’ triste.
Vi ricordate, quel signor Berlusconi che ha sempre sostenuto che le vie del successo sono aperte a chiunque? Basta volerlo.
E’ uno degli abbagli e delle illusioni che continua a seminare questo liberismo, che se ne strafotte di chi fa fatica a sopravvivere.
Chi ha redatto la ricerca, afferma che molto spesso non basta studiare. Non basta lavorare. Occorre impostare in modo diverso.
Una strategia di lungo periodo centrata sull’istruzione, sul rafforzamento del welfare e sulla redistribuzione delle opportunità.
Sono consapevole che sono ricette non facilmente traducibili in fatti e proposte, ma contrastare la povertà è già oggi possibile.
MAI SCORDARE IL PROBLEMA DELLE MORTI SUL LAVORO.
Il 2025 è l’anno più tragico, da quando esiste “Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul lavoro” curato da Carlo Soricelli.
L’Osservatorio è nato nel gennaio 2008, subito dopo la strage della Thyssenkrupp di Torino che provocò la morte di 7 operai.
Una delle più grandi tragedie nel mondo del lavoro. Un sistema industriale poco attento alla sicurezza, ma avido di profitti.
E’ l’unico Osservatorio italiano credibile, perchè è in grado di monitorare tutti i caduti sul lavoro. Anche quelli che sono in nero.
Mentre vi do questi dati, certamente sono già cambiate le cifre, perchè un lavoratore perde la vita ogni 6 ore e qualche minuto.
Dall’inizio dell’anno sono morti 873 lavoratori, dei quali 621 sui luoghi di lavoro. Sono esclusi fra questi gli incidenti in itinere.
I dati INAIL ci dicono che al 30 maggio sono 389. E’ una sottostima. Meglio non far sapere, quanti sono morti lavorando in nero.
Oltre il 30% dei morti sui luoghi di lavoro ha più di 60 anni. Fra questi il 17% ha più di 70 anni. Il 32% delle vittime è straniero.
Molti lavoratori del sud muoiono in trasferta al nord. Le donne muoiono meno sui luoghi di lavoro, ma molto spesso in itinere.
Le donne sono spesso vittime della fretta e della stanchezza, nel conciliare l’onere del lavoro con quelli riguardanti la famiglia.
Non sono considerazioni banali, perchè le regole del mondo del lavoro non dovrebbero confliggere con i valori alti di una civiltà.
Con il Job Act che ha abolito l’articolo 18, vi è stato un incremento delle vittime sul lavoro del 43%. Facile comprendere perché.
Ma anche la legge di Salvini del giugno 2023 sugli appalti a cascata, ha provocato un più 15% di decessi. Soprattutto in edilizia.
I dati riportati, sono frutto del costante lavoro di Carlo Soricelli, intrapreso dal 2008 con il fu giornalista RAI Santo Della Volpe.
Ormai, ogni giorno i TG si trovano costretti ad informare sui tanti morti sul lavoro, ma il rischio vero è l’assuefazione. E’ così.
Non succede anche per Gaza, dove i numeri e le immagini delle vittime innocenti sono dolorosissime? Eppure, ci si abitua..
Troppo spesso prevale un senso di impotenza che tortura le coscienze sane. In altri casi prevale ahimè, pura indifferenza.
Continuo a pensare che le morti sul lavoro possano essere ridimensionate. Lunga è la strada, ma più sicurezza è possibile.
La ricerca bieca del maggior profitto ad ogni costo, va contrastata con ogni mezzo. E non si può morire in cantiere a 70 anni..