“Ogni contrada è patria del ribelle” – di Mark Adin

“Ogni bella a lui dona un sospir.”, così suonano i versi di una vecchia canzone. Cose di una settantina di anni fa. Mitologia? Forse, anche. A un autorevole commensale di una cena recente, la Resistenza veniva dal cuore, mi pare, prima ancora che dalla mente. Raccontava di fatti dove uomini, giganteschi rispetto a oggi per il coraggio che esprimevano, gente di naturale vocazione politica e semplicità di vita, marcavano con il loro eroismo la storia del secolo breve. Piccole cose, se vogliamo, rispetto alle vicende terribili della seconda guerra mondiale che provocarono milioni di morti e che riguardarono un intero continente, anzi, di più, con conseguenze che arrivarono alla soglia del nuovo secolo. Il teatro delle vicende di cui narrava il testimone ottantenne, sorprendente per vitalità e acutezza, era ristretto a due valli alpine, un mondo minimo, un puntino del vasto scenario della guerra.

M.M. sostiene che la Resistenza sia stata soprattutto un fatto politico, piuttosto che militare, e che esiste, se non ho capito male, anche una modalità retorica nel darne conto, che ha contribuito, aggiungo io, a separare il mito dalla realtà.

M.M., ordinario di filosofia in una importante Università italiana, è uomo di fronte al quale non posso non provare rispetto per la indiscussa statura intellettuale, e gratitudine e affetto per essere intatto, per essere uomo in grado di dare calore a prima vista, senza sottrarsi al dialogo con chiunque, senza trincerarsi dietro l’austerità di una vita di studi.

Tra i suoi ricordi affioravano vari episodi di lotta partigiana, alcuni dei quali riguardavano un altro grande uomo, scampato a una condanna a morte in modo fortunoso, padre di altro commensale.

Difficile misurarsi con simili personalità. Semplicemente ascoltavo, con vivo interesse.

Non ricordo il percorso, forse non è importante, attraverso il quale si sia arrivati a parlare di lotta armata, di Curcio, delle Brigate, di come il terrorismo di sinistra abbia nuociuto allo sviluppo del movimento operaio, di come ne abbia decretato lo stop, di quanto abbiamo pagato.

Probabilmente è stato davvero così, ma fin dove sarebbe arrivato il movimento sindacale? Dove si sarebbe diretto? Quali mutamenti avrebbe prodotto nel tessuto sociale? Difficile dirlo.

Azzardo una modesta osservazione: esistono traiettorie, nella storia, che vengono a determinarsi per ben più di una causa. La sinistra è finita dove è finita per carenza di soggetti capaci di visione politica o poveri di carisma? Davvero è stata ed è una questione di persone? Oppure organizzativa? Può darsi anche per questo, ma certamente non solo. Ci sono fasi di “maturità” della storia, che esprimono movimenti collettivi e soggetti individuali destinati a interpretarla. Quando mancano le condizioni storiche, manca anche l’interprete, inteso come singolo o come organizzazione.

Arduo partire con successo da una idea, se la realtà che ci circonda in qualche modo non la richieda. La rivoluzione russa ci fu per l’applicazione di una teoria politica, o la teoria fu anche figlia di uno stato di cose che andava a maturazione?

La rivolta, la ribellione, se non sono già, più che nell’aria, nella carne e nel sangue “del popolo”, è ben difficile che si verifichino in modo duraturo. La marcia delle idee, per quanto giuste e progressiste, si interrompe drammaticamente quando non si tiene conto della “maturità” del momento, anzi possono determinare danni incalcolabili quando non coincidano.

I partiti, le organizzazioni politiche, possono accelerare gli eventi, guidarli, ma non crearli dal nulla.

Ecco il vero punto di debolezza del terrorismo: non tenere conto di questa sfasatura, di questa mancanza di sincronia richiesta  dalla storia.

La fretta, il bisogno di protagonismo, un malinteso senso di giustizia sociale, un insopprimibile ribellismo, una esasperata fede politica, una certa retorica rivoluzionaria, possono causare serissimi problemi, minando la crescita di un movimento organizzato che, per essere tale, ha necessità di tempo per costruirsi e soprattutto deve prepararsi a intervenire al momento giusto, ovvero quando ne sussistono le condizioni, senza fallire questo appuntamento.

Una parte del “movimento” di questi ultimi anni, diviso su molti temi, disorganizzato, eterogeneo però reattivo, vuole bruciare le tappe, pretende giustizia subito, non aspetta e sembra partire a testa bassa per un’altra avventura di sangue. In effetti ci vuole davvero tanta, tanta saldezza di nervi per non reagire all’insulto che proviene da più parti, allo schiaffo quotidiano dei più forti sulla moltitudine dei deboli. L’impressione è che, se rinasceranno sparuti movimenti antagonisti armati, ci si andrà a schiantare inutilmente, con sprechi già visti di vite e intelligenze, ancora, nonostante la terribile esperienza, in parte di vera follia, degli anni di piombo.

E’ vero: lo Stato non cambia, non si emenda da sé stesso; questa indecente classe dirigente non lascerà il suo posto se non sarà costretta. L’ingranaggio della Storia, purtroppo, ha bisogno del sangue delle piazze come lubrificante, lo ha dimostrato troppe volte. Chi oggi tuona contro la violenza dagli scranni più alti, la produce e la propaga proprio non accogliendo le istanze che vengono dal basso, che nonostante ogni mistificazione dell’informazione, solo un cieco può non vedere. “Lor Signori” non cambiano, sempre quelli sono. Temo non sarà  una gambizzazione a farli cambiare, un’auto data alle fiamme o un omicidio. E’ un film già visto, che non ha portato fortuna e che non ha suscitato alcun cambiamento, perlomeno in meglio, ma soltanto dolore.

Divergo, però, dal mio interlocutore che si spinge a dire: “Noi, gente così la mettevamo al muro”. Non mi scandalizza la durezza di questa posizione, piuttosto non sono d’accordo; non tanto per l’inidoneità della misura, che è militare e non politica, quanto perché allora, sulle nostre montagne, esistevano le condizioni di maturità storica ed esisteva l’organizzazione: oggi manca sia l’una che l’altra.

E’ in tali assenze che nasce il ribellismo destinato a spargere inutilmente sangue. Ma i veri responsabili sono i licenziamenti, sono l’impoverimento delle classi subalterne, è l’insopportabile ingiustizia sociale e, spiace dirlo, l’inettitudine, l’insipienza, e anche la presunzione di certa Sinistra.

 

Mark Adin

 

Redazione
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2 commenti

  • Marco Pacifici

    Consiglio di leggere “Maelstrom, scene di rivolta ed autorganizzazione di classe in Italia 1960- 1980” di Salvatore Ricciardi ed. Derive Approdi :vi è spiegato accuratamente con prove, dichiarazioni, scritti et caetera dei “capi sindacalisti” l’organizzazione della triplice cgil will e cisl d’accordo con la confindustria del tradimento infame e vergognoso verso il Movimento Operaio e la Resistenza Antifascista. Come sempre Mark Adin sei un Grande Coraggioso Umano. Tuo Fratello Marco.

  • pucci veronica

    Siccome ho un computer di merda, il mio commento è finito sul post di Daniela Pia (bello, l’ho letto dopo). Lo ripeto qui.
    il nodo sta, come dici, nella situazione oggettiva: vengono momenti in cui lo stato di cose presente è storicamente superato e sopravvive solo per inerzia, qui deve inserirsi la capacità soggettiva di sovvertire.
    Certamente il volontarismo, che pretende di anticipare la storia, non può funzionare: l’azione diventa una resa dei conti personale o, peggio, un agire dal punto di vista di dio, in entrambi i casi una scelta votata alla sconfitta.
    Naturalmente le situazioni cambiano, negli anni ’70 la classe politica non era ancora del tutto screditata e il capitalismo sembrava compatibile con un welfare decente, inoltre una certa mobilità sociale garantiva ancora, a chi nasceva povero, di giocarsi onestamente la partita esistenziale.
    Molte cose sono cambiate e bisognerà tenerne conto.
    Quanto al carisma, lo lasciamo volentieri ai quaquaraqua che sanno solo credere e non pensare.

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