(visto da Francesco Masala) al cinema l’ultimo film di Paul Schrader, su Netflix una serie sui poveri poliziotti che assediano e manganellano gli abitanti dellla Val di Susa, e infine Federico Greco che racconta un piccolo, ma grande, capolavoro del cinema.
tratto da un romanzo di Russell Banks (I tradimenti), il film è una confessione di Leonard Fife (Richard Gere), alla presenza della moglie (Uma Thurman), davanti alla macchina da presa, in un documentario di due ex allievi.
Fife, stimato e acclamato regista, sente il bisogno, in punto di morte, di fare i conti con se stesso e di dare l’interpretazione autentica della sua vita, delle sue fughe, della sua vigliaccheria, della sua ansia di lebertà e di sopravvivenza, in Canada, per evitare di farsi distruggere dalla guera del Vietnam.
lo vediamo da giovane (interpretato da Jacob Elordi) indeciso, insicuro, in fuga dalle proprie responsabilità, abbandonare la moglie e il figlio, che trent’anni dopo dirà, con una faccia tosta degna di migliori cause, di non conoscere.
la sua storia va avanti e indietro, e, come nel film di Pedro Almodovar (qui), la Morte è una protagonista, silenziosa e implacabile.
non c’è molto da ridere, nella storia di un moribondo, malato e confuso, che cerca di raccontare, come può, le sue verità.
inquietante, alla fine, la mini telecamera per spioni.
Pontypool (Pontypool zitto o muori) – Bruce McDonald
un film che all’inizio ricorda la magnifica invasione dei marziani (di quel genio di Orson Welles) e poi, senza nessun mostro, la tensione resta altissima per tutto il film.
attori splendidi ti coinvolgono senza che tu possa resistere, insomma un piccolo capolavoro da non perdere (e magari rivedere), stando attenti alle parole.
A.C.A.B.: la Val Susa secondo Netflix vs la realtà che viviamo
In Val Susa abbiamo avuto modo di vedere A.C.A.B., la serie prodotta dalla multinazionale americana Netflix e uscita ieri. Eravamo curiosi di osservare come una fiction di tale portata avrebbe trattato la nostra terra e la nostra lotta. Quello che abbiamo visto non ci ha colpiti: la Val Susa, in questo caso, è solo un pretesto narrativo per introdurre la storia dei reparti celere protagonisti.
È significativo, tuttavia, che la lotta No Tav venga mostrata in modo macchiettistico e violento, in linea oltretutto con la retorica giornalistica che abbiamo visto in questi anni. La rappresentazione equilibra forzatamente le violenze, suggerendo una simmetria tra le parti, con un ferito per parte, come se il peso reale della repressione fosse bilanciato. In realtà, il divario è ben più marcato e lo dimostrano le inchieste giudiziarie che ci hanno colpito in questi anni, gli anni di carcere elargiti come se fossero noccioline, i nostri feriti e il territorio militarizzato come se fossimo in guerra.
Quello che la serie mette in scena non è uno scontro realistico, ma una sorta di battaglia epica, che ricorda le lotte tra antichi romani e popolazioni barbariche, in cui solo l’inganno consente ai “barbari” di colpire un valoroso centurione.
La narrazione non appare squilibrata solo nella rappresentazione della violenza, ma anche nell’attribuzione delle sue origini. Si tenta di far credere al vasto pubblico globale di Netflix che le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine in Val Susa – e altrove – siano una reazione inevitabile, giustificata dalla tensione generata dai manifestanti. Questi vengono rappresentati attraverso la solita retorica manichea, che li divide in “pensionati buoni” e “zecche pericolose”, oppure riducendo ogni abuso a episodi isolati causati dal singolo elemento irruento: la stanca e falsa narrazione della “mela marcia” che nega, di fatto, la verità incontrovertibile per cui è il sistema ad essere violento, imponendo con la forza ciò che viene rifiutato da più di 30 anni in questa valle. E quindi nessun riferimento, ovviamente, alle ragioni della protesta, alle origini di una contrarietà ragionata e diffusa nella nostra valle, alla devastazione che quotidianamente osserviamo, ai nostri boschi distrutti, alle colate di cemento, all’inquinamento, ai rischi per la nostra salute.
Poiché noi la realtà la viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, sappiamo che quello che accade in Valsusa non è un film e infatti conosciamo il prezzo per difendere il nostro territorio dalla devastazione. Siamo di fronte ad un crimine ambientale che all’oggi non vede punire i colpevoli, anche se sappiamo bene chi sono. Cosa che invece sta accadendo è che alcuni di noi sono accusati del reato di associazione a delinquere e dai vari ministeri e da Telt ci viene richiesto un rimborso pluri-milionario per difendere quei cantieri che la nostra valle non ha mai richiesto. La realtà è qui, tra le persone che vivono queste montagne. In questo documentario di cui vi alleghiamo il link , Archiviato (regia di Carlo Amblino, con voce narrante di Elio Germano) sono elencati una piccola parte degli abusi che abbiamo subito in questi anni. La nostra Resistenza ci porterà alla vittoria e questo è quanto basta.
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