«Pieno di stravaganze ma non di frottole»

Una recensione alla ristampa di «Guida ai piaceri e misteri di Palermo», scritto da Pietro Zullino nel 1973 e per decenni introvabile ma non dimenticato (*)

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Palermo è «una cortigiana che soggioga i conquistatori» come scrisse Paul de Musset o al contrario è una «miserabile Vandea dove l’aria è ammorbata dal puzzo di un costume fuorilegge» («Il Giornale di Sicilia»)? Queste due citazioni, in compèagnia di un noto proverbio siciliano – «Cumannari è megghiu ca futtiri» – aprono «Guida ai piaceri e misteri di Palermo» di Pietro Zullino che nel 1973 uscì da Sugarco, fece scalpore, andò esaurito eppure non venne più ripubblicato. Lo ripubblica ora Dario Flaccovio editore: 416 pagine per 18 euri (ma è disponibile anche in eBook) integralmente e con solo qualche nota «per dare un minimo di chiarimento laddove ritenuto indispensabile».

Pietro Zullino (1936-2012) fu un giornalista coraggioso: «troncò molti rapporti di lavoro per la rettitudine morale che gli impediva di accettare ingerenze politiche o di potenti». A suo gran merito aver sostenuto, anche dal punto di vista pratico, Franca Viola la ragazza che dopo il rapimento – nel 1965 – rifiutò «il matrimonio riparatore» (allora previsto dall’articolo 544 del Codice penale) e alla fine fece condannare il suo stupratore di una potente famiglia mafiosa.

Come spiega Maria Antonietta Spadaro nella prefazione a questa ristampa, pur non essendo uno storico Zullino è capace di scavare nella «cronaca anche lontana» cercando «un peccato originale» (che lui battezza «sindrome panormita») che sia un modello nei secoli «adattandosi ai vari contesti storici». Potere e comando. Attento e quasi profetico: chi osava, 40 anni fa, indagare a fondo negli intrecci fra banche e criminalità? Zullino dedica grande spazio alla strage di Portella della Ginestra, che lui definisce «l’intrigo fondamentale», e alla scomparsa di Mauro De Mauro che si intreccia con la morte di Enrico Mattei.

Bisogna tener conto che quando esce «Guida ai misteri e piaceri di Palermo» la tesi dominante è che la mafia non esiste: un’invenzione letteraria o una calunnia… Mentre il libro di Zullino con grande anticipo intuisce (rubo le parole a Maria Antonietta Spadaro) «l’interconnessione tra mafia, politica e poteri economici sovranazionali neocapitalistici». Non un fenomeno antico dunque ma purtroppo modernissimo. Ma attenti perché Zullino lancia uno slogan inquietante: «tutta l’Italia è Sicilia».

Ci sono scoperte giudiziarie che aggiungono qualcosa su singoli episodi criminali (o su depistaggi di Stato) narrati da Zullino ma – come sintetizza Amedeo Lanucara – «l’impianto del libro, 40 anni fa rivoluzionario, resta attuale».

Grazie all’editore Flaccovio dunque (e per quel che mi riguarda grazie a Luca che me lo ha fatto conoscere).

La struttura del libro prevede una lunga «Iniziazione» seguita da vagabondaggi nella «Palermo spagnola», nel «Settecento assediato», poi dal tentativo di definire «Chi comanda in Italia», dall’«Intrigo fondamentale» (dunque Salvatore Giuliano e i suoi mandanti), da «Liggio Happening» ovvero Luciano Liggio, capomafia di Corleone, da «La famiglia della Regione» (intesa come Regione Siciliana che nasce addirittura prima della Repubblica italiana godendo di uno statuto speciale siciliano, emanato da il 15 maggio 1946 da un “re di maggio” ovvero Umberto II di Savoia) e nei due capitoli finali: «Il franco rapitore (sinfonia sul caso De Mauro)» e «L’avvento del panormismo» che parte appunto dalla constatazione – nel ’72 c’è un primo scandalo di intercettazioni telefoniche – che «tutta l’Italia diventa Sicilia». Le ultime righe sono dedicate agli Usa. Ed ecco il finale: «Lavorate in America – è il nuovo motto – e diventerete ricchi in Europa. Un’Europa ovviamente sempre più americana. E Dio vide che il Comando era buono».

All’inizio – anzi nella «Iniziazione» – del libro Zullino scrive: «Nordisti e panormisti dovrebbero smetterla di scambiare per pregi quelli che sono i loro difetti e per difetti quelli che sono i loro pregi. Lo zombie Palermo certo allunga un tentacolo lebbroso che contagia e spaventa il resto della nazione. Ma almeno allunga qualcosa. Dall’Italia mediocre quanto saccente della civiltà dei consumi invece che cosa esce oltre alle scocche, i pneumatici e le barche di plastica? Voglia Dio che essa non debba un giorno dire alla feroce Palermo, come Antigone a Ismene: Tharsei, sù dé men zés: é d’émé psyché palai tethneken, rallegrati, tu che sei viva: la mia anima è morta da tempo». Trascrivo questa frase abitando nella Regione Emilia-Romagna dove l’inchiesta Aemilia ha tolto le ultime illusioni sul fatto che da queste parti fossero immuni dai “tentacoli” (le barche di plastica qui sono da tempo “un logo”).

Poi il libro riparte dal 25 dicembre 1130, «l’inizio della nevrosi panormita» e, se volessimo procedere per «scor-date», non sarebbero da trascurare il 22 febbraio 1625, il 27 marzo 1578, il 6 aprile 1724 (al rogo, al rogo), l’8 gennaio 1795 per arrivare poi ai giorni nostri, per esempio al «milazzismo» o a quel «caffè alla Pisciotta», cioè alla stricnina, che venne servito (il 9 febbraio 1954) in un carcere dello Stato a chi “parlava troppo”.

Pieno di notizie, analisi, descrizioni, utili provocazioni, intuizioni e «stravaganze ma non frottole» Datemi retta: leggetelo.

(*) Questa sorta di recensione va a collocarsi nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita e probabilmente continuerà a capitarmi di non parlare tempestivamente in blog di alcuni bei libri pur letti e apprezzati. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro, dai banali impicci del quotidiano +1, +2 e +3… o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche collega una recensione che poi rimaneva sospesa per molti mesi fino a “morire di vecchiaia”. Ogni tanto rimedio in blog a questi buchi, appunto chiedendo venia. Però, visto che fra luglio e agosto ho deciso di recuperare un bel po’ di queste letture e di aggiungerne altre, mi sa che alla fine queste recensioni recuperate e fresche terranno un ritmo “agostano” quasi quotidiano, così da aggiornare in “un libro al giorno toglie db di torno” quel vecchio detto paramedico sulle mele. D’altronde quando ero piccino-picciò e ancora non sapevo usare bene le parole alla domanda «che farai da grande?» rispondevo «forse l’austriaco (intendevo dire “astronauta” ma spesso sbagliavo la parola) oppure «quello che gli mandano a casa i libri, lui li legge e dice se van bene, se son belli». Non sono riuscito a volare oltre i cieli, se non con la fantasia; però ogni tanto mi mandano i libri … e se no li compro o li vado a prendere in biblioteca, visto che alcuni costano troppo per le mie attuali tasche. «Allora fai il recensore?» mi domandano qualche volta. «Re e censore mi sembrano due parolacce» spiego: «quel che faccio è leggere, commentare, cercare connessioni, accennare alle trame (svelare troppo no-no-no, non si fa), tentare di vedere perché storia, personaggi e stile mi hanno catturato». Altra domanda: «e se un libro non ti piace, ne scrivi lo stesso?». Meditando-meditonto rispondo: «In linea di massima ne taccio, ci sono taaaaanti bei libri di cui parlare perché perder tempo a sparlare dei brutti?». (db)

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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