Pillole di bancarotta n.3
In questa puntata delle “pillole” di Alessandro Volpi:
-il piano di privatizzazioni di oltre 20 miliardi di € del governo Meloni
-una legge di bilancio che non toccherà la rendita finanziaria
-i motivi della “promozione” dell’Italia da parte di Moody’s
-l’assalto della Commissione Europea al sistema pensionistico pubblico
-la riduzione dei dipendenti di Stellantis e gli investimenti miliardari nella finanza degli Agnelli/Elkann
Buona lettura!
A questo link le pillole precedenti. I testi delle pillole sono tratti da qui.
Proviamo a fare due conti
Il valore complessivo delle società partecipate pubbliche quotate era a luglio di quest’anno pari a quasi 264 miliardi di euro di cui lo Stato e Cdp possedevano quasi 90 miliardi.
Una prima considerazione su questo dato: in un anno il valore della partecipazione dello Stato solo per effetto dell’aumento del valore dei titoli di tali società è salito di quasi 10 miliardi. Tutto bene, allora?
Direi proprio di no. Il governo Meloni infatti ha deciso un piano di privatizzazioni di oltre 20 miliardi di euro, di cui ha già messo in atto una parte con dismissioni tra Eni, Mps e altro di 5-6 miliardi, ceduti a grandi fondi Usa o al salottino buono della finanza nostrana (Delfin e Caltagirone in primis).
Tale piano sta proseguendo: è in rampa di lancio la cessione di un ulteriore 14% di Poste, a cui potrebbe seguire quella di Ferrovie, magari attraverso lo strumento di uno spin off dedicato. Intanto si parla di imminente cessione della Banca del Mezzogiorno, naturalmente dopo averla risanata a spese dei contribuenti e dopo che è tornata a distribuire dividendi, di una quota parte di Enav, l’ente che gestisce il traffico aereo civile, e persino della Zecca di Stato dopo averla portata in Borsa.
In estrema sintesi, Meloni e Giorgetti scelgono con cura le società che garantirebbero maggiori introiti allo Stato in termini di utili e ne vendono pezzi crescenti a privati – grandi fondi Usa e “grandi famiglie” – in modo da trasferire loro gli utili pubblici.
Non male: poi magari con questi introiti si finanziano la quinta rottamazione e la riduzione del carico fiscale per i super ricchi.
Poveri e promossi
Il governo Meloni esulta per la “promozione”, da parte della agenzia Moody’s, del debito italiano a Baa2. Si tratta di un piccolo balzo in alto che non avveniva da 23 anni e che comunque lascia l’Italia al quarantacinquesimo posto della “classifica” mondiale.
Ma il punto non è questo. Per capire cosa significa la “promozione” bisogna tener conto di due fattori. Il primo. Moody’s è una società privata i cui principali azionisti sono Berkshire di Warren Buffet, BlackRock, Vanguard e State Street, i più grandi gestori del risparmio mondiale.
Il secondo fattore è costituito dai criteri di attribuzione del rating che prevedono un innalzamento quanto più debito e deficit sono bassi. Ora il governo Meloni ha presentato una Legge di bilancio che elimina di fatto la spesa sociale per ridurre il deficit e portarlo sotto il 3%. In sintesi, se non c’è spesa pubblica, il deficit si riduce e Moody’s migliora la pagella. Ma chi beneficia di tale aumento?
Non ci sono dubbi, non certamente la popolazione italiana che avrà meno servizi pubblici, a cominciare dalla sanità mentre ne traggono un evidente vantaggi propri i grandi gestori del risparmio perché i cittadini privati dei servizi pubblici dovranno indirizzare i loro risparmi ai fondi privati e quindi a BlackRock, Vanguard e State Street che, guarda caso, sono i proprietari di Moody’s: è come avere un “arbitro” che è dipendente di una delle squadre in campo, quella della finanza.
Bisognerebbe aggiungere che ormai il rating di Moody’s non riesce neppure a contenere il costo degli interessi sul debito, destinati comunque a crescere per la concorrenza dei debiti, in lievitazione, degli altri paese.
L’assalto
La Commissione europea guidata dall’ineffabile Von der Leyen propone un pacchetto di misure volte a smontare il sistema pensionistico pubblico a favore della previdenza privata. Le indicazioni sono molto chiare:
1) iscrizione automatica di lavoratori e lavoratrici a fondi pensione privati, a cui l’interessato può opporsi solo con una rinuncia formale
2) revisione profonda delle norme sui prodotti pensionistici personali paneuropei la cui vendita sarà decisamente semplificata, con costi ridotti e con forme evidenti di agevolazione fiscale a danno dei contribuenti che rifiutino il regime automatico
3) revisione delle forme di controllo e di vigilanza sui fondi pensionistici privati eliminando i vincoli “indebiti sugli investimenti”.
Certamente i grandi gestori del risparmio – BlackRock in primis – festeggiano: la Commissione europea offre al capitalismo finanziario, attraverso la destinazione obbligatoria del risparmio verso i titoli finanziari, l’unica vera linfa vitale.
Una nota di chiusura: la commissaria europea alle finanze, Maria Luís Albuquerque, è stata amministratrice non esecutiva presso Arrow Global, società di investimento con sede fiscale a Londra e una chiara predilezione per i fondi immobiliari.
I capitalisti
Stellantis ha ridotto drasticamente il numero dei dipendenti che non arrivano ormai a 38 mila di cui quasi 15 mila sono sottoposti a varie forme di ammortizzatori sociali.
Nel frattempo, nel 2023 Exor [la holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia italiana Agnelli, ndr] ha creato una società di gestione patrimoniale che ha in maniera davvero paradossale denominato Lingotto Investment Management, con sede fiscale a Londra. Tale società Agnelli/Elkann ha destinato quasi 7 miliardi di euro nell’acquisto di titoli di una quarantina di società, in larga parte americane, tra cui Google e Amazon, e in fondi che speculano su materie prime e oro. In sintesi, mentre abbandonava la produzione di auto, nonostante i sostanziosi incentivi, e mentre utilizzava a piene mani gli ammortizzatori sociali, Exor – la famiglia Elkann Agnelli – faceva una montagna di soldi in operazioni meramente finanziarie, evitando accuratamente le imposte e chiedendo l’affidamento ai servizi sociali per il povero John.
Un bel giochetto
Gli utili delle banche italiane sono arrivati nei primi nove mesi del 2025 a quasi 22 miliardi di euro. Da cosa dipendono?
In gran parte dalle commissioni, quindi dalla vendita di prodotti finanziari che, spesso, hanno acquistato dai grandi fondi americani, BlackRock in primis, con i risparmi degli italiani. Le banche fanno sempre meno credito e sempre più finanza, americana…
Ma immaginare un’imposta che si riferisca, in maniera strutturale, a questo tipo di profitti è considerato dal governo Meloni, e non solo, un sacrilegio. Anzi, le banche vanno pubblicamente ringraziate come ha fatto l’abbinata Giorgetti-Meloni.
Meloni e BlackRock….
La discussione sulla Legge di bilancio sta assumendo toni davvero incredibili.
Mi soffermo su due misure.
La prima. Sembra che il governo voglia cancellare l’aumento di imposta sui dividendi da partecipazioni di minoranza. In pratica, oggi, le società italiane che comprano partecipazioni azionarie di minoranza di altre società pagano, se si tratta di società Usa, il 16,2% sui dividendi, formato dal 15% di tassazione Usa e l’1,2% di tassazione italiana.
L’idea originaria era di portare l’aliquota italiana al 24%, ma questa soluzione pare già accantonata: altrimenti come farebbero le società italiane a comprare azioni di Big Tech Usa, sostenute da BlackRock, piuttosto che investire nel proprio ciclo produttivo?
La seconda misura dovrebbe compensare la perdita di gettito di questo ripristino dell’aliquota sui dividendi. Si tratta di tassare le vendite di oro (il cui prezzo ha oggi raggiunto i 4200 dollari l’oncia!), che ora pagano il 26% sulla plusvalenza se c’è una fattura che provi il prezzo, altrimenti pagano il 26% sul valore della cessione.
La proposta in campo prevede di pagare per chi non ha prove di acquisto una sola tassa una tantum sul valore complessivo del posseduto, magari milioni di euro, con un’aliquota del 12,5%.
Fantastico, l’Italia è il mondo dei ricchi e di BlackRock che è uno dei principali protagonisti dell’impennata del prezzo dell’oro in termini finanziari. Ma intanto il Corriere dedica un paginone a Prodi che dichiara che “Mamdani non è il modello” e serve “un riformismo concreto”.
I ricchi, molto concretamente, festeggiano.
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