Quante storie dentro un piatto di fave e cicorie
Questioni di cibo, sesso, genere, cucina, campagna, femminismo e patriarcato: introduzione al «Progetto Salento Bio Veg»
di Gianluca Ricciato
Mi sono reso conto da un po’ di tempo che alcuni di noi maschi del Sud abbiamo un rapporto particolare con la cucina, un rapporto che mi verrebbe da definire salvifico. Ho molti esempi che mi fanno dire questo, mi viene in mente il noto Dj Don Pasta, “salentino fuggitivo” come si definisce, con i suoi progetti di musica e cucina, oppure alcuni miei amici con cui condividevo infiniti e complessi banchetti negli anni universitari e che ora sono impiegati con successo nelle cucine di mezza Europa.
Probabilmente, rispetto alle nostre coetanee e conterranee, noi non abbiamo vissuto il cucinare e lo stare davanti ai fornelli con quel senso di nausea che deriva dalla imposizione di dover fare qualcosa per tradizione, perché la storia delle mamme, delle nonne e via di lì ti costringe ad un compito, a prescindere dal fatto che ti piaccia o che tu ne sia capace. Solo perché tu fai parte di un genere che storicamente ha quella funzione sociale. Spesso, non so se a torto o a ragione, il ribellarsi a questa imposizione di genere si porta appresso il rifiuto del lavoro di cura in generale. Io so che mi sono ribellato ad un’altra imposizione di genere, opposta e complementare a questa: quella che vedeva noi maschi ordinare alle mamme e alle sorelle di farci da mangiare e di prendersi cura di noi.
Ora, per delle strane congiunture della storia, mi capita di avere amiche che a stento si sanno fare un piatto di pasta e amici dediti a fare i massai. Non tutte, e non tutti, ovviamente. Ma io sono uno di questi, in verità. Mi piace dedicarmi a me e alle persone care in questo modo, mi dà un senso del tempo e delle relazioni che elude le necessità delle scadenze, sempre presenti nella nostra vita globalizzata.
Partendo da questi percorsi, questo progetto ha però una finalità più ardita e forse meno popolare, cioè quella di ritrovare nella cucina salentina antica, che per povertà era quasi esclusivamente legata ai prodotti della terra (cereali, verdure e legumi) un sapere necessario alla sopravvivenza, cioè il saper riconoscere, trasformare e valorizzare quello che serve all’essere umano per vivere bene. Che per me qui e ora significa fare rivivere questo sapere adattandolo ad una nuova situazione storica e geografica, perché non è una questione di confini e di radici identitarie, ma di contaminazioni eretiche e fruttuose.
I canti di gioia che arrivano ancora oggi da un passato pure così duro, la voglia di vita che riconosco ancora nei miei conterranei ultraottantenni e vedo sempre di meno nei miei coetanei, è legato anche a questo. A saper coltivare e cucinare un piatto di fave e cicorie. Senza ammazzare nessun essere vivente, è il mio valore aggiunto eretico. Che si sia cittadini o campagnoli. Che si sia maschi, femmine o altro… e non importa se la cicoria sarà romana e non salentina, ma basta che dietro abbia l’amore di qualcuno o qualcuna e il rispetto della terra.