Scioperare dal privato e dalle doppie morali

di Gianluca Ricciato (*)

«Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna». Sento questa frase da quando sono piccolo e prima mi faceva molto effetto. Mi faceva pensare a qualche specie di trama femminile che si tesseva nelle case private dei grandi uomini pubblici, cantanti, scrittori, presidenti e imprenditori. Mogli, compagne e fidanzate più o meno affascinanti che nei letti notturni suggerivano le grandi frasi e le grandi azioni. E tutto questo, devo dire, aveva il suo fascino e vedo che lo ha ancora. Poi, con l’affermazione della parità («ora che non possiamo farne a meno, per non farci smascherare facciamo in modo che anche le donne abbiano la loro fetta di pubblico, la loro quota rosa», più o meno), anche i veri o immaginari mariti delle donne di potere hanno assunto questo ruolo fascinoso. Questa immagine però ormai da molto tempo ha iniziato a nausearmi.

Prima di tutto voglio specificare una cosa. Non voglio dire che il privato non sia importante. Anzi al contrario credo che ogni azione pubblica o politica abbia in realtà un’origine o un movente personale, credo cioè che la spinta verso cui si muovono tutti e tutte nell’agire pubblico sia comunque una spinta personale, buona o cattiva che sia: si tratti cioè di un piccolo e squallido tornaconto economico o di una grande ingiustizia vista o subita che ti porta ad accogliere una grande causa. Sarà parziale come visione ma io vedo sempre di più questo.

Quindi la nausea che mi iniziò a salire qualche anno fa – nausea reale, non metaforica, in tante occasioni di movimento, a esempio – non mi derivava dalla presenza del privato, quanto invece dalla divisione netta fra questi due spazi, il pubblico/politico e il privato/personale, che sia i capetti alternativi di turno che il mainstream mediatico alimentavano e alimentano più o meno consapevolmente. Questa divisione è anche la divisione fra lo spazio del dicibile e del non dicibile, del fattibile e del non fattibile, che risale storicamente alla divisione fra maschile e femminile innanzitutto e alla doppia morale tipicamente patriarcale fra vizi privati e pubbliche virtù. Altri momenti di nausea, legati a questo discorso, furono il vedere questa divisione agita da tanti maschi e anche da alcune femmine nelle loro relazioni, ancora oggi nel duemilatredici, e nelle nuove versioni del capitalismo emancipatorio.

Arrivo al punto. Io oggi nel duemilatredici uno sciopero delle donne lo vedrei innanzitutto come sciopero del portare avanti questa dicotomia. Dal portare avanti innanzitutto la figura femminile della cucitrice del filo che tesse ciò che il potere distrugge, della suggeritrice nascosta dell’uomo, della ghost writer sessuale, di quella che prepara da mangiare perché il maschio è troppo impegnato in pensieri più alti e sofisticati per poter mettere mani sui fornelli. Ma anche della riproduzione di questo schema a ruoli rovesciati, che è quello che sta succedendo anche, non riuscendo nella maggior parte dei casi a spezzare questo schema senza che vada tutto a rotoli – senza salvare cioè il farsi da mangiare, la cura delle cose e delle persone, insomma le relazioni, il personale, il cosiddetto «privato» appunto, che poi è la vita che ti succede ogni giorno.

Dice Barbara Mapelli nell’introduzione al nostro libro sulla cura e la trasformazione del maschile: «Ragionare sulla cura significa allora, innanzitutto, costruirsi un’immagine, se pure stilizzata, del passaggio dalla differenza sessuale – le donne possono dare la vita – alla costruzione di genere, che da una diversità biologica edifica un sistema culturale, definitorio di ruoli, compiti e destini dei due sessi, cangiante nel tempo, malleabile e adattabile alle trasformazioni sociali e culturali, ma con un nocciolo duro centrale, che detta norme alle une e agli altri, così profondo e innervato nelle credenze collettive e nell’interiorità di ognuno, da far apparire naturali – e quindi giuste e inattaccabili – le leggi che impone»1 (pag 9)

In questi decenni di lotte femministe, di crollo della famiglia patriarcale, di liberazione sessuale vera o presunta, ciò che è rimasto ancorato nella mente della maggior parte degli individui è proprio questo «nocciolo duro» che detta le norme sociali ai due sessi, questo «innervamento» collettivo secondo cui dalle differenze biologiche discenderebbe naturalmente questo tipo di divisione sociale fra uomini e donne. Se non fosse così radicato, ci sarebbe una reazione di massa ogni qual volta il papa di turno parla di «famiglia naturale» riferendosi a quel modello di convivenza sociale imposto per secoli dalla romana chiesa. Invece le reazioni sono silenziose e minime da parte della società civile, e inesistenti da parte dei politici che non possono e non vogliono mettere in discussione, almeno in Italia, un dispositivo di potere che funziona ancora come collante coercitivo delle nostre relazioni umane – e viene in mente la famosa battuta di Corrado Guzzanti che imita un Francesco Rutelli/Alberto Sordi supino al potere ecclesiastico: «una famiglia, non quattro, che er santo padre se ‘ncazza»2 con riferimento a tutta l’accolita doppio-moralista cattolica che infesta da decenni le Camere italiane. E tutto questo funziona ancora oggi, in questi mesi, nonostante la giusta levata di scudi contro il femminicidio, nonostante lo smascheramento dei bordelli privati del fascismo berlusconiano, ora che i luoghi dell’esilio del duce televisivo appaiono sempre più simili alla Salò pasoliniana e alle sue perversioni.

Recuperare gli spazi pubblici, in tutti i sensi, a partire da quell’insurrezione rossa3 evocata nel blog dello sciopero delle donne in questi giorni, passando dal ritrovare luoghi di condivisione al di fuori delle gabbie mononucleari, fino alla capacità di non relegare nel privato questioni socio-culturali come la violenza maschile contro le donne, ma anche contro gay, lesbiche e trans, sono secondo me i modi principali per togliere il terreno sotto i piedi alla cultura della dominazione patriarcale che ancora agisce: ancora oggi all’alba del terzo millennio dell’era cristiana occidentale.

(*) Gianluca Ricciato fa parte dell’associazione Maschile Plurale (www.maschileplurale.it)

1 In Trasformare il maschile. Nella cura, nell’educazione, nelle relazioni, di AA VV, a cura di Salvatore Deiana e Massimo M. Gredo, Cittadella Editrice (Assisi, 2012)

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2 commenti

  • A me sembra tutto giusto quello che dice Gianluca. Ma ho un dubbio: perchè proporlo intorno al 25 novembre? In questa data lo sciopero delle donne è già indetto su contenuti precisi (contro la violenza sessista) e oltretutto fatica a passare sia a livello di adesioni importanti – per quel che capisco la Cgil prima lo appoggia, poi ci ripensa, poi si impegna qua e là…. – sia a livello di massmedia che figuriamoci se escono dal paternalismo e dal gossip maschilpipparolo.
    Mentre lo sciopero del 25 novembre cresce e si organizza dal basso e probabilmente sarà molto partecipato, i maschi potrebbero interrogarsi oltre che supportare la protesta. Le riflessioni di Gianluca ci chiamano dopo il 25 novembre a nuovi impegni; come pure il bel convegno di Parma (Disonorare la violenza) ieri e oggi: vi ho partecipato e proverò a raccontarvelo… appena trovo il tempo perchè sto girando come una trottola. (db)

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