Scor-data: 16 ottobre 1968

Olimpiadi Mexico ’68: i pugni chiusi di John Carlos e Tommie Smith

di David Lifodi (*)

“Ai rompiscatole capita di fare la storia”: dice così John Carlos, il runner afroamericano che alzò il pugno avvolto in

un guanto nero insieme a Tommie Smith ai giochi olimpici di Mexico ’68, alla storica firma sportiva di Repubblica, Emanuela Audisio, in un’intervista pubblicata il 30 aprile 2012.

Quel 16 ottobre 1968, ricorda ancora Carlos, al momento di alzare il pugno, il suo braccio era un po’ piegato: “Ero pronto a difendermi da un’aggressione”, spiega, e in effetti le minacciose dichiarazioni del capo delegazione Usa, Payton Jordan (“Se ne pentiranno per il resto della loro vita”), unite agli insulti e agli atti vandalici che dovettero subire i due velocisti al ritorno negli Stati Uniti, testimoniavano il clima di ostilità nei loro confronti. La diciannovesime edizione delle Olimpiadi si svolge sotto i peggiori auspici. In Messico il paese è governato con il pugno di ferro dal presidente Gustavo Diaz Ordaz, e la tensione cresce a seguito del drammatico massacro di Tlatelolco avvenuto il 3 ottobre 1968, quando nella piazza delle Tre Culture, stracolma di studenti, i granaderos sparano senza pietà sulla folla. Il raggio verde di un elicottero che illumina i manifestanti è il segnale che la polizia attende: le vie d’uscita della piazza sono chiuse dai militari, impossibile fuggire. Sono centinaia gli studenti che restano uccisi. Tra i testimoni anche l’atleta italiano Eddy Ottoz, trovatosi in piazza delle Tre Culture e vivo per miracolo. Il 16 ottobre Tommie Smith e John Carlos erano consapevoli che, in caso di vittoria, avrebbero potuto sfruttare l’occasione per compiere una protesta eclatante. Entrambi sapevano che, se avessero vinto, si sarebbe trattato del successo di due americani, ma, riflette Tommie Smith, se avessi perso, ad essere sconfitto sarebbe stato un “negro”. La gara è un trionfo: Smith si classifica al primo posto, Carlos al terzo e, nel mezzo, l’atleta australiano Peter Norman. Di fronte ai centomila dello stadio Azteca di Città del Messico, al momento della premiazione, Smith e Carlos indossano un guanto nero: non intendono sporcarsi le mani per stringerle a Avery Brundage, il presidente filonazista del Comitato Olimpico (Cio) che aveva sostenuto la presenza ai giochi di Rhodesia e Sudafrica, le due nazioni che avevano impedito agli atleti neri di gareggiare. Ai due viene imposto l’obbligo di lasciare immediatamente il villaggio olimpico, non ricevono alcun attestato di solidarietà dalla squadra Usa e il Cio li accusa di “violazione deliberata e violenta dei principi fondamentali dello spirito olimpico”.  Non solo: l’opinione pubblica cercò di screditare i due atleti in tutti i modi, e ancora oggi non è finita. Allora vennero inviate alla moglie di Carlos foto di donne attribuite come amanti del campione e che poi la condussero al suicidio, ma tuttora, racconta Carlos, a suo figlio che è militare gli dicono che il padre è stato un traditore. La storia di quei pugni chiusi levati al cielo con rabbia racconta che fu la medaglia d’argento Norman a consigliare loro di spartirsi i guanti neri. L’atleta australiano mostrò coraggio e scelse di appoggiare il gesto dei due afroamericani: al momento della premiazione indossò la coccarda dell’Olympic Project for Human Rights, il movimento a cui appartenevano Smith e Carlos e che prima dello svolgimento delle Olimpiadi aveva molto discusso su come attuare forme di protesta. Anche Norman finirà per pagare quel gesto per tutto il resto della sua vita: nel 1972 sarà escluso dai giochi olimpici di Monaco e, nel 2000, non lo invitarono nemmeno ad assistere alle Olimpiadi australiane di Sidney, nel suo paese. Norman morì il 3 ottobre 2006, come un reietto della società: ai suoi funerali parteciparono anche Smith e Carlos. Il 12 ottobre 2013, su Alias, il supplemento del quotidiano il manifesto, Pasquale Coccia ricorda che l’idea di boicottare i giochi messicani fu avanzata da Harry Edwards, militante delle Pantere Nere, un ex giocatore di basket divenuto professore di sociologia in California. Nel 1966, durante il campionato universitario di pallacanestro degli Stati Uniti, nel corso di una partita l’allenatore Donald Lee Haskins schierò sette giocatori afroamericani su dodici della sua squadra per poi tenere in campo un quintetto esclusivamente di colore nella finale del torneo. La squadra del coach, che per la cronaca era bianco ed aveva voluto sfidare l’ostilità e il pregiudizio razziale regnante negli Usa, fu sciolta d’ufficio.  Fu da quell’episodio che nacque l’idea di boicottare le Olimpiadi, rafforzatasi dopo gli scontri razziali dell’estate 1967 a cui avevano partecipato gli stessi Smith e Carlos. Nonostante in molti prevedessero che tra gli atleti afroamericani partecipanti alle Olimpiadi il fronte del boicottaggio avrebbe avuto la meglio, solo dodici di loro si schierarono a favore di questa protesta. Nell’intervista rilasciata a Emanuela Audisio, ancora oggi Carlos se ne duole: il saltatore Bob Beamon fu solidale solo in parte con la loro protesta, mentre il pugile nero Foreman, dopo aver conquistato l’oro, sventolò la bandiera americana come se nulla fosse. Non tutti gli atleti statunitensi di colore, però, scelsero di chinare la testa di fronte alla mafia e al razzismo del Comitato Olimpico. Il 17 ottobre 1968, in occasione della finale dei quattrocento metri piani, salgono sul podio Lee Evans, James e Freeman: tutti si presentano alla premiazione indossando il basco nero delle Black Panthers. Le Olimpiadi messicane in Italia non passarono inosservate. Non solo per la testimonianza di Ottoz, che peraltro fu multato con la singolare accusa di “indisciplina” per la sua presenza in piazza delle Tre Culture il 3 ottobre 1968, ma anche perché il Pci chiese che l’Italia si facesse interprete del sentimento comune di numerosi atleti azzurri e si adoperasse affinché i giochi olimpici venissero sospesi o rinviati. Su Alias del 28 settembre 2013 Pasquale Coccia scrive: “Il Coni, per bocca del suo presidente Giulio Onesti, amico di lungo corso di Andreotti, dichiarò l’estraneità dello sport rispetto alla politica e lasciò la delegazione olimpica azzurra a Città del Messico”.

Ancora oggi John Carlos ribolle di rabbia e dice che non può dimenticare: a distanza di 46 anni, quei pugni chiusi chiedono dignità, diritti e giustizia sociale: in questo mondo nessuno è straniero e siamo tutti uguali.

NOTA: È vivamente consigliata la lettura di “Un pugno per sempre”, l’intervista di Emanuela Audisio a John Carlos pubblicata il 30 aprile 2012 su Repubblica.

(*)Ricordo – per chi si trova a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su 
http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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