Scor-data: 30 settembre 1956

Il Milk Bar esplode, continua la battaglia di Algeri

di Francesco Cecchini (*)   

Il Milk Bar esiste ancora in pieno centro di Algeri, al 40 di rue Larbi Benmhidi: la via è dedicata a chi ordinò allora la sua esplosione. E’ vicino alla Livrerie du Tiers Monde dove quando posso compro libri. Ha tavolini all’aperto che danno sulla piazza Emir Abdelkader.
È un tardo pomeriggio di ottobre ed è ancora estate. Fa caldo. In una spiaggia vicino a Bab el Oued, da dove vengo, c’è ancora gente che nuota, giovani che giocano e ragazze in costume in barba agli islamisti che ancora imperversano in città e a volte la macchiano di sangue. Penso a quando il Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) lo fece esplodere durante la Battaglia d’Algeri. Una battaglia persa, ma che come tutte quelle che si combattono in Algeria dal 1 novembre 1954 al 1962 contribuisce alla sconfitta del colonialismo francese. Mi aiutano le immagini del film di Gillo Pontecorvo che mi vengono in mente.

Sono le sei e mezza del tardo pomeriggio, quasi sera, di domenica 30 settembre 1956, quando una deflagrazione squassa il Milk Bar, mandandolo in frantumi. Il locale è affollato, i morti sono tre e i feriti una dozzina. La bomba che causa l’esplosione è deposta poco prima da Zohra Drif, una giovanissima militante (ha 22 anni) del Fronte di Liberazione Nazionale.

In un’intervista rilasciata nel marzo 2012 al giornalista Malik Ait Audia, del settimanale francese «Marianne», Drif spiega la sua azione di guerriglia urbana.

 

Perché l’ attentato?

«Erano mesi che gli estremisti dell’Algeria francese mettevano bombe nei quartieri francesi. Queste bombe, che hanno fatto centinaia di morti, erano messe con la complicità della polizia per terrorizzare il popolo algerino che sosteneva l’FLN. Questa campagna di bombe è culminata con l’attentato della Rue de Thèbes, in piena Casbah. Questa bomba messa all’una del mattino durante il coprifuoco, fece una carneficina, molte case sono crollate su coloro che le abitavano, si sono contati diverse decine di cadaveri. Fu evidente che la polizia coloniale non fece nulla. Fuori Algeri, l’esercito francese distruggeva i villaggi, se la prendeva con la popolazione civile che bombardava a tappeto, deportava centinaia di migliaia di persone in campi appositi. L’esercito conduceva una guerra totale contro il popolo algerino. L’obiettivo chiaro era di terrorizzare il popolo algerinoper fargli perdere ogni fiducia nella capacità dell’FLN di lottare e di proteggerlo».

Perché mettere una bomba al Milk Bar?

«L’obiettivo dell’azione decisa dalla direzione FLN, era di portare d’ora in avanti la guerra dentro le popolazioni civili europee che erano parte di questa guerra, esigendo di proteggere l’organizzazione con qualsiasi mezzo. Io l’ho fatto liberamente, condividevo totalmente la lettura politica della mia direzione».

Era cosciente che se la prendeva con degli innocenti?

«Non è a me che bisogna chiedere conto per questa bomba, ma ai poteri francesi che dal 1830 hanno schiavizzato il popolo francese utilizzando i metodi più barbari. Di che cosa erano colpevoli i milioni di algerini uccisi dal 1830? Di che cosa erano colpevoli gli abitanti dei villaggi distrutti dal napalm? Di che cosa erano colpevoli le vittime di una guerra totale fatta nelle nostre campagne con i mezzi del quarto esercito mondiale sostenuto dalla NATO? Io non sono nata per uccidere, non ho avuto nessun piacere personale a mettere quella bomba, ma eravamo in uno stato di guerra, una guerra che ci era stata imposta dal 1830. Come ha dichiarato il grande Larbi Ben M’hidi al generale Bigeard dopo il suo arresto e prima di essere assassinato: “Avremmo volentieri fatto a pezzi le nostre ceste contro gli aerei e i carri armati dell’esercito francese”».

Zhora Drif sentiva dell’odio?

«Mai. Non eravamo stati cresciuti nella cultura dell’odio. Il Fronte di Liberazione Nazionalefin dal 1 Novembre 1954 aveva dichiarato che facevamo la guerra al colonialismo francese e non al popolo francese. Alcuni francesi con molto coraggio ci hanno sostenuto perché credevano essere loro diritto quello di rimanere fedeli agli ideali che hanno fondato la Repubblica Francese».

Zhora Drif spiega oggi, con lucidità, perché aveva fatto saltare in aria il Milk Bar. La battaglia d’ Algeri di cui l’esplosione del Milk Bar è un episodio, è la messa in atto di una fase – la «toussaint rouge»di Larbi Ben M’hdi, uno dei capi dell’insurrezione del 1 novembre 1954: «Mettez la revolution dans la rue, et vous la verrez reprise e portée par de milions d’homme» (portate la rivoluzione nella strada, e la vedrete ripresa e sostenuta da milioni di persone).

«Va detto che Algeri in quegli anni è una città doppia ma non nettamente divisa, come per esempio Asmara con i bianchi da una parte e i neri dall’altra; Algeri è un mosaico complesso di quartieri europei e musulmani collegati fra loro. In alcuni casi si mescolano. La Casbah, la parte alta della vecchia città araba, è un labirinto di stradine, in mezzo ai quartieri europei costruiti nel XIX e XX secolo, la Marina, Bab el Oued, Bab-Azoum, Mustapha, El Biar, che a loro volta erano circondati ad quartieri musulmani vicini al porto o sulle colline: Belcourt, Clos Salambier, Climat de France. Qui vivevano anche europei poveri, i petites blanches. Un esempio è Albert Camus cresciuto a Belcourt. La popolazione musulmana a causa della maggior fecondità e dell’immigrazione interna dalle campagne aumentava più rapidamente dei bianchi e si ammassava in alloggi stretti e insalubri, nelle baraccopoli e nei casermoni di edilizia popolare.

È questo il campo di battaglia della battaglia d’Algeri, che secondo gli storici (a esempio Benjamin Stora) inizia quando nel gennaio del 1957 arrivano i paracadutisti di Massu per normalizzare una situazione di guerriglia urbana permanente. Vale la pena ricordare che dopo il ghigliottinamento, nella prigione Barberousse, di due patrioti il 19 giugno 1956, dal giorno dopo sino al 22 una cinquantina di colonialisti francesi sono uccisi o feriti, in 72 azioni di guerriglia urbana, con colpi di pistole o con granate.

 

Quando il 25 settembre Youcef Saadi ha l’approvazione di Larbi Ben M’hidi, dispone di alcune bombe artigianali, funzionanti e custodite nella Casbah. Youcef e Ben M’idhi avevano individuato nel centro di Algeri alcuni obiettivi: il Milk Bar, la Cafeteria e l’ufficio di Air France. L’idea di impiegare tre giovani militanti è di Yuucef, che nel film di Gillo Pontecorvo interpreta se stesso. Oltre Zhora Drif le ragazze sono Samia Lakhdari e Djamila Bouhired. Sono belle, eleganti vengono da un ambiente borghese e possono eludere senza difficoltà i posti di blocco. È Youcef che guida l’azione. Il 30 settembre le tre ragazze velate, indossano haiks bianchi, lo incontrano in una casa sicura di rue des Abdreames ed è lui che spiega – solo allora – cosa devono fare e il significato. Alle sei devono mettere 3 bombe in tre luoghi nel centro di Algeri perché «così ci faremo prendere su serio». Vedendo il loro stupore racconta loro quello che ha visto il 10 agosto a rue des Thebes, le case crollate i bambini morti, i feriti, i gemiti di dolore. Sicure di quello che devono fare per il bene della causa, le ragazze si tolgono l’hak. Djamila ha un vestito leggero, stampato, Zohra è in pantaloni con un pullover e Samia ha un vestito molto semplice color azzurro. Tutte e tre hanno una borsa da spiaggia. Dopo che Youcef da loro tre scatole in legno dove sono le bombe regolate a esplodere alle 6,30 (Kouache è il nome del tecnico che ha fissato l’orario) escono dalla Casbah e s’incamminano verso i luoghi da far esplodere. Le scatole in legno sono nascoste sotto un costume da bagno e un asciugamano da spiaggia. I posti di controllo, in tre differenti uscite dal quartiere arabo sono superati facilmente. Bastano un sorriso e una frase gentile ai soldati che controllano.
Quella domenica sera il Milk Bar, dove si mangiano i migliori gelati di Algeri, è affollato di giovani di ritorno dalla spiaggia. Vi sono anche molti bambini accompagnati dai genitori. Zohra è sola e si siede a un tavolo al centro della sala. Gli uomini non possono fare a meno di guardarla. È una bella ragazza. Anche Zohra non può fare a meno di guardare, innanzitutto i bambini. Ma pensa alle parole di Saadi su quello che è accaduto a rue de Thèbe, a quello che si sa sulle torture, ai villaggi massacrati. Dopo aver pagato il suo gelato si alza ed esce con passo sicuro. La borsa con la bomba è lasciata sotto il tavolo. Sono le 18.20.

Samia si fa accompagnare dalla madre, anche lei vestita all’europea. Al bar La Cafeteria, in rue Michelet di fronte all’Università bevono in piedi al banco due bibite. Samia lascia scivolare ai piedi del banco la borsa ed escono. Sono le 18.29.

Il Milk Bar e La Cafeteria esplodono alle 18.35. La bomba agli uffici Air France resta intatta; Kouache che è alle prime armi come artificiere, sbaglia i collegamenti. Vanno in frantumi muri, vetri, arredamenti e tavolini, ma è soprattutto pesante il bilancio di morti, amputati e feriti.
In città si diffonde il panico: il messaggio della resistenza algerina è scritto con il sangue: «Francesi, Algeri e l’Algeria non sono casa vostra».

Gli uomini del Fronte di Liberazione Nazionale percorrono le stradine oscure della Casbah gridando. «Siete stati vendicati. Il Fronte di Liberazione Nazionale ha fatto pagare l’attentato di rue de Tèbhes. Rimanete vigili. La battaglia non è che iniziata. Bisogna che diate fiducia al Fronte di Liberazione Nazionale, questa sera avete avuto la prova».

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”. Ma qualche volta ci sono argomrenti più leggeri che… ogni tanto sorridere non fa male.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

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