«Storia di un giornalista romantico…

sfruttato da un quotidiano comunista» (*)

ilmanifesto

Sono Giulio Di Luzio. Dall’agosto ’94 all’ottobre 2000 scrivo su «il manifesto» centinaia di pezzi firmati, in totale sono 400, inchieste e réportage dalla Puglia, articoli di cronaca sociale, immigrazione, sindacale, ambiente, mondo del lavoro e vertenze d’ogni genere. Scrivo anche di spettacoli e cultura, recensioni di libri di autori pugliesi, su pagine estere, politica e sport, pagine intere con la mia firma, prime pagine e copertine per fatti accaduti in Puglia. Ho lavorato per anni viaggiando in lungo e in largo per la mia regione, vuoi per raccontare i mille sbarchi di profughi e migranti sulle coste pugliesi, vuoi per delineare il profilo drammatico del mondo del lavoro al sud, raccontando per esempio la storia del più grande siderurgico d’Europa, l’Ilva di Taranto, in questi sette anni. Ho viaggiato senza mai un buono-pasto, un buono-benzina, una minima copertura per spese di pernottamento. Ho provveduto sempre a mie spese, trovando soluzioni caso per caso, appoggiandomi ad amici per l’uso del fax, senza mai un rimborso neanche delle spese telefoniche. Ho mantenuto dalla mia abitazione rapporti con tutta la Puglia e casa mia è stata una specie di redazione distaccata, tanto che in molti mi chiedevano di chiamarli dal mio telefono. I lettori mi identificavano col giornale, pregandomi di parlare di questo o quello. L’ho fatto perché ci ho creduto. Sono stato un giornalista romantico. Ho creduto in un giornalismo di denuncia, capace di dare visibilità e parola ai più disgraziati. Tanto per dare un’idea dell’intensità della mia collaborazione giornalistica, solo nel ’99 ho scritto 140 pezzi firmati e nei mesi della guerra nei Balcani ho scritto quasi ogni giorno, con una disponibilità e una continuità ininterrotte, ma i “compagni” del Manifesto non hanno ritenuto necessario rimborsarmi neanche una lira. Ho tirato a campare con altri lavoretti e alcune supplenze contestuali al lavoro di cronista, ma non è stato affatto facile. Ho pure pensato che quanto fatto per poche lire potesse rappresentare la gavetta necessaria per poi approdare alla professione a tempo pieno, ma «Il manifesto» si è guardato bene dal siglare con me alcun tipo di contratto, preferendo “pagarmi” a pezzi in una costante precarizzazione del rapporto di lavoro improntato alla massima flessibilità, all’inizio come Collaborazione Coordinata Continuativa, in seguito con la formula del Diritto d’autore. Ho lavorato senza limiti di tempo, di trasferte e giorni di festa, senza tutele e riposi settimanali, spesso chiamato urgentemente dalla redazione romana. Ho lavorato in deficit in questi sette anni. Ho lavorato durante le festività natalizie, pasquali, di Ferragosto, offrendo la mia incondizionata disponibilità, flessibile, precario e sottopagato, disponibile in ogni ora della giornata, pronto a partire in giro per la Puglia. Ho speso il tempo migliore di questi anni per questo giornale. A fronte di tutto questo ho ricevuto in totale 14 milioni e mezzo, di cui 5 nel dicembre 2000 dopo mie continue insistenze, forse per chiudere il mio caso, divenuto nel frattempo scomodo. Ho tentato per mesi un incontro con la direzione, ma invano. Solo nel settembre del 2000, dopo aver minacciato azioni di lotta, riesco a spuntare un incontro con la vicedirettrice Roberta Carlini a Roma (direttore Riccardo Barenghi). Un incontro ipocrita con una decisione già presa: “Continua per soddisfazione e non per altro – sono le sue parole– e poi un altro lo troviamo in Puglia”. Col conseguente stato d’animo rientro a Bari, senza neanche il rimborso delle spese di viaggio, pure promessemi dalla suddetta vicedirettrice. Questo è lo stile della direzione del «manifesto», che poi sbandiera proclami contro la flessibilità, il lavoro nero e via dicendo. Dopo quell’incontro divento una persona scomoda, perché chiedo i miei soldi e uno straccio di contratto per guardare al mio futuro. Scriverò con difficoltà gli ultimi pezzi fino a fine ottobre 2000. Poi tutto cambierà. Cercheranno di marginalizzarmi silenziosamente. Da Brindisi “spunta” un altro cronista, da Lecce già da tempo ce n’era un altro, i pezzi da Taranto vengono scritti da Roma. Tutto è chiaro. Non ci dormo per un paio di notti, non voglio crederci ed invece è proprio così! Ho problemi di salute. Nei mesi successivi faccio fare i conti da un commercialista e i miei corrispettivi, secondo il tariffario dei minimi inderogabili dell’Ordine dei Giornalisti per le prestazioni autonome da lavoro non subordinato, ammontano a 143milioni e mezzo delle vecchie lire. Ne ho avuti 14 e mezzo. «Il manifesto» mi deve 129milioni delle vecchie lire. A fine marzo 2001, dopo ben cinque mesi dalla fine della mia collaborazione giornalistica, mesi di conflitti e confronti sul da farsi di fronte all’atteggiamento indifferente del giornale, ho deciso di avviare la mia vertenza di lavoro contro «il manifesto», forte delle mie ragione e della consapevolezza che i diritti non possono fermarsi neanche davanti al portone di via Tomacelli. Ho deciso di raccontare questa mia storia perché ha la stessa dignità delle tante storie di sfruttamento che, da cronista, ho raccontato proprio su «il manifesto», ma questa volta sono io a vestire i panni dello sfruttato. Questa volta è toccato a me. L’ho raccontata perché è giusto che «il manifesto» ne dìa conto all’opinione pubblica, ai suoi lettori, e alla propria coscienza. Ho ricevuto numerose attestazioni di solidarietà e l’invito a continuare la mia battaglia per i miei diritti. Ho continuato la mia lotta per i diritti con la stessa passione con cui per anni ho scritto, col cuore e col cervello, sul giornale. Intanto «il manifesto» non si è mai fatto più sentire. Né mai più lo farà successivamente. La mia storia di giornalista sfruttato è stata inserita nel «Libro bianco sul lavoro nero. Storie di violazioni e soprusi nel mondo dell’informazione» a cura della Federazione Nazionale Stampa Italiana a pag. 58.

Il mio caso ha avuto accesso al Fondo di Resistenza della FNSI, attraverso un contributo per i casi più rappresentativi di violazione di diritti. Alla fine coi miei legali raggiungiamo un accordo e ricevo 10 milioni di lire in un clima difficile per me, “responsabile” a parere di molti colleghi di aver denunciato il manifesto.

Negli anni successivi ho collaborato a «Liberazione», «Repubblica Bari», «Il Corriere del Mezzogiorno» di Puglia. Autore di 6 libri inchiesta sul mondo del lavoro e delle migrazioni (giuliodiluzio.blogspot.com). Sono disponibile a raccontare la mia storia.

GIULIO DI LUZIO, 340.37.257.36

ilmanif-Rossanda

(*) Ieri in bottega ho postato la storia di «Zero potere», un impressionante video di Marina Piccone con «voci e storie di giornalisti freelance». Poco dopo così mi ha scritto Giulio Di Luzio: «partecipo al “dolore” di tanti colleghi, allegando la mia storia». E io la pubblico così, come potete leggerla anche su giuliodiluzio.blogspot.com . Aggiungo solo due immagini, che ho recuperato in rete. (db)

 

 

Redazione
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Un commento

  • Oggi posso esprimere un giudizio più pacato sulla vicenda umana e professionale che mi ha visto opposto a il manifesto ormai dieci anni, quando si concluse l’iter della vertenza di lavoro con un assegno staccato dall’amministrazione di Via Tomacelli di 10mila euro in mio favore. Devo dire che sono orgoglioso di aver portato i vertici del quotidiano eretico della sinistra davanti ad un giudice del lavoro. In quegli anni non fu così facile però. Tanti cronisti pugliesi condannarono la denuncia, penso solo con la convinzione che abbassare la testa potesse pagarein termini lavorativi. Non sono mai stato convinto di quella linea, soprattutto da giovanissimo quando partecipavo con interesse e passione civile e politica alle riunioni ed alle manifestazioni di Autonomia Operaia tra la Puglia e la Lombardia. Oggi il manifesto è l’ombra di se stesso ed a quella vertenza non ci penso più, dopo aver tanto sofferto nella solitudine in cui i cosiddetti comagni mi avevano lasciato. Rifarei tutto allo stesso modo. Ed invito i giovani cronisti a gridare la loro rabbia. Ovunque. Ora mi congedo da voi, devo completare un libro per le scuole medie sul razzismo. Un abbraccio a chi ama il giornalismo con passione e rabbia.
    Selvaggio e sentimentale, brigante indomito, Giulio Di Luzio.
    Sono un viandante. Non ho scuderie. La mia appartenenza è la strada.
    giuliodiluzio.blogspot.com

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