Taranto, ma quale lieto fine?

Ad aprile è attesa la sentenza della Corte di giustizia europea che potrebbe fermare gli impianti dell’ex Ilva. Ma in città i livelli di inquinanti non diminuiscono.

di Nicoletta Dentico (*)

Il film “Palazzina Laf” – con cui il regista Michele Riondino racconta la storia di un operaio dell’Ilva di Taranto reclutato come spia dai vertici aziendali- è un’accusa al sistema di sfruttamento e di violenza psicologica che ha segnato la gestione dello stabilimento da parte della famiglia Riva. I lavoratori riescono a ritrovare la loro dignità, i Riva vengono condannati. Ma la storia non ha un vero lieto fine.

La pellicola è un racconto “di cicatrici e di pietre d’inciampo – spiega l’indomito Alessandro Marescotti presidente di Peacelink-. Rappresenta pienamente lo stato d’animo di chi vive a Taranto, in bilico tra chi perde la speranza e chi la ritrova nel dolore”. Ma è possibile un finale positivo per l’ex Ilva, caso studiato nelle sedi internazionali per avvalorare l’urgenza di un trattato vincolante in grado di arginare le aziende che violano i diritti umani?

La politica non ha ancora un pensiero di sostenibilità sul vecchio mostro che ha stravolto la città, avvelenando il mare con i suoi scarichi tossici e l’aria con i suoi fumi di benzopirene. Il diritto a vivere in un ambiente sano vale anche per l’Italia, eppure da sempre l’ex Ilva si fa beffa di ogni norma europea in materia. Stiamo parlando di uno stabilimento che inquina senza produrre profitti, non riuscendo a raggiungere un punto di equilibrio fissato in sette milioni di tonnellate d’acciaio. La produzione del 2023 ha toccato i minimi storici, come ha rivelato Legambiente Taranto durante l’audizione al Senato del 6 febbraio 2024.

Malgrado le perdite, l’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente (Arpa) ha registrato un aumento della concentrazione di benzene, soprattutto dalla centralina del quartiere Tamburi dove la tendenza delle emissioni di questa sostanza è in costante crescita dal 2016. E dove gli eccessi di malattie e mortalità, anche infantile, hanno sollecitato un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel 2021.

La soglia di 27 microgrammi a metro cubo per il benzene fissata dalla letteratura scientifica è il valore di riferimento per misurarne i picchi e valutare i rischi sanitari associati all’esposizione a questa sostanza. Nel 2023 si sono registrati a Taranto più picchi di benzene che nei dieci anni precedenti.

Gli sforamenti della soglia di esposizione al benzene (fissata a 27 microgrammi per metro cubo) registrati nel 2023 a Taranto sono stati 32. Il dato più elevato degli ultimi dieci anni.

Neppure le polveri sottili (PM10 e PM2.5) diminuiscono e le fumate rosse prodotte dalle emissioni non convogliate (slopping), nocive sia per i lavoratori sia per la qualità dell’aria, hanno segnato l’inizio del 2024. Per raggiungere il pareggio, l’azienda dovrebbe aumentare la produzione e di conseguenza le emissioni, con un maggiore danno sanitario. Il Governo Draghi era orientato al rilancio dello stabilimento in un mondo globalizzato caratterizzato da un eccesso di capacità produttiva di acciaio.

L’ultimo decreto approvato a fine gennaio punta a garantire la continuità produttiva salvaguardando l’ambiente e la sicurezza con un prestito da 320 milioni di euro.
Ma la salute non viene nemmeno citata. Lo Stato può consentire la prosecuzione di un’attività che mette in pericolo la salute, anche quella dei bambini?

Marescotti chiede un piano di riconversione e di reimpiego delle maestranze, usando fondi per i nuovi armamenti, ad esempio i cinque miliardi di euro per il programma Gcap-Tempest. Sarebbe un’azione di sviluppo sostenibile per la bonifica e riconversione di un’area tra le più contaminate d’Europa.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si esprimerà ad aprile sul ricorso intentato da centinaia di cittadini di Taranto: un nuovo parere favorevole (come quello dell’avvocatura della Corte europea dello scorso dicembre) potrebbe fermare gli impianti del tutto. Un lieto fine?

(*) Tratto da Altreconomia.

Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici senza frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development.

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alexik

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