Trarre profitto dai poveri. L’analisi di Matthew Desmond

della Redazione di Diogene (*)

 

“Poverty: An American Catastrophe”, l’ultimo libro del sociologo statunitense Matthew Desmond, differisce dal precedente “Forced Eviction”, che ha vinto il Premio Pulitzer nel 2017, per il forte impatto che sta avendo sull’opinione pubblica Usa e per l’analisi ancora più impietosa della società americana.
Per Desmond il fatto che ci sia così tanta povertà negli Usa è una catastrofe. Il sociologo illustra, dati alla mano, come allo Stato sociale negli Stati Uniti non manchi il denaro, contrariamente a quanto si crede. Il problema è semplicemente che viene utilizzato in modo discutibile e aiuta le persone sbagliate. Problema che di certo non è ristretto soltanto agli Usa.
Partendo dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza di diverse famiglie povere di Milwaukee, Desmond trova offensivo che, nonostante l’enorme ricchezza degli Stati Uniti, decine di milioni di persone debbano vivere in povertà.

“Forced Eviction” catturava l’attenzione grazie all’immersione di Desmond nella vita dei residenti afroamericani del North Side e degli abitanti di un parcheggio di roulotte spesso stigmatizzati come “rifiuti bianchi”. Anche stavolta Desmond, che proviene da una famiglia povera, ha utilizzato lo stesso metodo.
Ho preso parte attiva alla loro vita quotidiana, condividendo pasti e spazi di vita con loro”, racconta Desmond. Questa profonda connessione umana permea anche “Poverty: An American Catastrophe”, trasformandolo più in un’accorata denuncia che in un tradizionale saggio. Il New Yorker ha descritto il libro come dotato di “una forza morale devastante”.

Desmond, ora professore all’Università di Princeton e collaboratore del New York Times Magazine, trova profondamente ingiusto che, nonostante la colossale ricchezza degli Stati Uniti, decine di milioni di suoi cittadini debbano scontrarsi quotidianamente con la povertà.
Nel prologo del libro, si impegna a dimostrare che “anche noi, che siamo protetti, assicurati, alloggiati, educati e fortunati, abbiamo un ruolo in questa dolorosa assurdità”.
Contrariamente a molte opinioni diffuse, il governo degli Stati Uniti investe ingenti somme in welfare.
Eppure soltanto una parte esigua di questi fondi raggiunge effettivamente chi ne ha più bisogno. “In totale, gli Stati Uniti – se si sommano tutti gli investimenti – possiedono il secondo più grande budget sociale al mondo, superati solo dalla Francia”.
Desmond specifica che “questo conteggio comprende gli aiuti statali per le pensioni aziendali, i prestiti agli studenti, le detrazioni fiscali per i figli e le agevolazioni sulla proprietà immobiliare, che principalmente avvantaggiano chi è al di sopra della soglia di povertà.”
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“Che Guevara, Graffiti, and Homeless Woman” by Franco Folini. Licenza CC BY-SA 2.0.

 

Ma il centro del ragionamento di Desmond riguarda soprattutto chi trae profitto dalla povertà. Ed elenca una lunga serie di questioni irrisolte della vita sociale negli Usa, quasi tutte estendibili al resto del mondo.
Se oggi le persone sono oberate dal lavoro e sottopagate non è sempre stato così.
Durante gli anni ’50 e ’60, un terzo della forza lavoro americana apparteneva a un sindacato. Le retribuzioni dei lavoratori aumentavano rendendo il paese più ricco.
Il declino del potere dei lavoratori e la crisi dei sindacati hanno permesso il ritorno a condizioni salariali precedenti agli anni ’50, erodendo qualsiasi fiducia nel futuro e nella certezza del benessere.

Tuttavia il mercato del lavoro non è l’unico luogo in cui i poveri vengono sfruttati.
I mercati finanziari sono l’altro aspetto del problema: “Ogni anno, i poveri americani pagano oltre 11 miliardi di dollari in commissioni di scoperto, 1,6 miliardi di dollari in commissioni per l’incasso di assegni e quasi 10 miliardi di dollari di commissioni sui prestiti con anticipo sullo stipendio. Si tratta di 61 milioni di dollari strappati ogni giorno dalle tasche dei poveri solo in multe e tasse”.

Quando gli americani fanno domanda per i sussidi di invalidità, devono spendere una parte di ciò che riceverebbero in spese legali. “Nel 2019, subito prima che il Covid colpisse, sono stati stanziati 1,2 miliardi di dollari per gli avvocati che rappresentano le persone che richiedono il sussidio per la disabilità”.
Come è possibile, si chiede Desmond, spendere più di un miliardo di dollari in fondi di previdenza sociale, non per ottenere la disabilità, ma per procurare avvocati alle persone in modo che vedano rispettato il loro diritto?

Nel libro, Desmond offre una rappresentazione vivida e palpabile della vita quotidiana degli americani meno fortunati. Cita le ricerche scientifiche che indicano come la povertà possa danneggiare le funzioni cognitive più di una notte insonne e tenda a deteriorare la salute generale.
Desmond ricorda che, come sottolineato dall’attivista per i diritti civili afroamericano James Baldwin già nel 1961, “la povertà è un lusso incredibilmente costoso”.
Lo dimostra, ad esempio, la questione abitativa.
“I poveri, in particolare le famiglie nere economicamente svantaggiate, hanno scelte limitate quando cercano un appartamento. Pertanto, i proprietari di immobili possono richiedere loro affitti eccessivamente alti, e lo fanno spesso.”

Matthew Desmond.

Per risolvere il problema della povertà negli Stati Uniti, Desmond ha affermato che il governo deve fare tre cose: investire nelle famiglie riequilibrando la rete di sicurezza, dare potere ai poveri regnando sullo sfruttamento e costruire comunità inclusive e aperte.
Ha concluso che gli americani devono respingere l’idea che la povertà sia inevitabile e dovrebbero lottare per porre fine completamente alla povertà.
Porre fine alla povertà richiederà nuove politiche e nuovi movimenti politici, ma richiederà anche che ognuno di noi, a modo suo, diventi un abolizionista della povertà”, ha affermato Desmond.
Purtroppo in Italia dei numerosi lavori del sociologo statunitense sulla povertà risulta tradotto soltanto il saggio “Sfrattati”, edito da La nave di Teseo.
Eppure sembra in questo momento l’autore che più di ogni altro nel mondo sta cogliendo il nodo centrale del nostro tempo.

(*) Tratto da Diogene.
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alexik

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