Trump incendia i Caraibi

Le provocazioni statunitensi cercano il casus belli per attaccare il Venezuela, ma la pace è a rischio nell’intera America latina. La guerra al narcotraffico rappresenta solo il pretesto per impadronirsi delle risorse dell’intera regione.

di David Lifodi

 

Foto: https://rebelion.org/

 

Solo poche ore fa Trump ha smentito l’intenzione di attaccare obiettivi legati al narcotraffico in territorio venezuelano. Tuttavia, resta assai difficile fidarsi dell’uomo più potente, ma soprattutto ancor più volubile, del mondo, in particolar modo se trovasse conferma la creazione di una Joint Task Force creata ad hoc per i Caraibi.

Inoltre, prosegue l’avvicinamento minaccioso della portaerei Ford, mentre costantemente decollano e tornano negli Usa i bombardieri che sembrano cercare volutamente un casus belli, come se già non bastasse il tiro al bersaglio che prosegue ormai da troppo tempo su imbarcazioni ritenute lo strumento principale utilizzato dai cartelli del narcotraffico per il commercio della droga. Finora sono state 14 le navi colpite dagli Stati Uniti, con un saldo di circa 60 morti.

Trump ha deciso di trasformare i Caraibi in un laboratorio di operazioni militari che finirà per colpire non solo il Venezuela (e forse anche la Colombia), ma l’intera America latina che, in occasione dell’incontro tenutosi all’Avana il 28 e 29 gennaio 2014, è stata dichiarata “zona di pace” dal II Vertice della Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici.

Oggi la poco credibile guerra al narcotraffico serve a Trump per riattivare l’essenza della Dottrina Monroe. La guerra al traffico di droga e alle reti criminali transnazionali rappresenta soltanto un pretesto per promuovere un cambio di governo non solo a Caracas, ma probabilmente anche a Bogotá, tutelandosi dal punto di vista legale e spinta soprattutto da personaggi quali Marco Rubio, segretario di Stato Usa, e Pete Hegseth, a capo del Pentagono.

Tuttavia, almeno alle nostre latitudini, si presentano l’operazione Usa e la presenza di circa 4.500 militari sulla portaerei Ford in maniera acritica, ignorando la denuncia del presidente colombiano Gustavo Petro del 21 ottobre scorso: la guerra alla criminalità organizzata rappresenta il cavallo di Troia per impossessarsi del petrolio venezuelano. E ancora, si dimenticano i moltissimi latinoamericani morti a causa della guerra per la droga scatenata dai narcotrafficanti, ma nessuno sottolinea come la domanda di cocaina negli Stati Uniti non sia mai diminuita nel corso di questi anni e così, mentre gli antichavisti auspicano l’invasione del loro stesso paese per far cadere Maduro e il governo bolivariano, a partire dal poco credibile Premio Nobel María Corina Machado, si ignorano le molteplici raccomandazioni dell’Onu a non attaccare Caracas, semplicemente perché non ritiene il Venezuela il centro del narcotraffico.

I Caraibi corrono seriamente il rischio di divenire un teatro di guerra operativo poiché gli Usa puntano a recuperare il controllo geopolitico di una regione su cui, da tempo, ha messo gli occhi anche la Cina a livello di infrastrutture, logistica e tecnologia, ma, ipocritamente, utilizzano le scuse più diverse, dalla guerra alla droga all’urgenza di far rispettare i diritti umani nell’intera aerea pur di attaccare il Venezuela.

La denuncia di Gustavo Petro è costata al presidente colombiano l’inserimento nella lista statunitense delle personalità sospettate di terrorismo, un’accusa decisamente surreale, soprattutto se rivolta ad un capo di stato che sta spendendo gran parte del suo mandato nel tentativo di riportare la pace in un paese martoriato da una guerra sporca senza fine, a partire dal suo impegno per una pacificazione volta a coinvolgere sia le guerriglie presenti nel paese sia le organizzazioni militari di estrema destra che continuano ad uccidere attivisti sociali, sindacalisti, leader indigeni e contadini nella più totale impunità.

La crescente presenza di navi da guerra Usa nel Caribe indebolisce l’autonomia diplomatica della regione e, soprattutto, non si configura come una minaccia nei confronti dei cartelli della droga che, al contrario, sceglieranno di privilegiare le rotte terrestri e aerei per trasportare i loro carichi. Sotto questo punto di vista, per quanto risulti paradossale, quelle che Trump definisce minacciosamente come Organizzazioni Criminali Transnazionali non possono far altro che ringraziare la Casa Bianca per permetter loro di aprire altre strade utili all’esportazione della droga. Lo stesso presidente brasiliano Lula, che pure negli ultimi tempi non ha nascosto le divergenze con Maduro, ha sottolineato la pericolosità e l’inutilità dei bombardamenti Usa: l’America latina potrebbe trasformarsi da zona di pace a zona senza alcuna legge se passerà l’idea che ognuno può invadere il territorio di un altro paese e farla franca.

La miopia, o l’incoscienza della Casa Bianca, a seconda dei punti di vista, è tale che l’insieme di minacce militari ed estorsioni economiche messe in atto contro Caracas potrebbero incendiare Caraibi e America latina, dove non è in corso alcuna guerra che giustifichi lo schieramento del complesso militare-industriale a stelle e strisce, se non per degli oppositori assai poco credibili nel ruolo di democratici come María Corina Machado, basti pensare alla sua adesione ai numerosi eventi promossi dall’estrema destra spagnola di Vox e alle responsabilità nell’attuazione delle guarimbas allo scopo di destabilizzare il paese. È stata proprio lei, in un video, ad augurarsi l’intervento di colui al quale ha dedicato il Nobel, rimasto a sua volta abbastanza irritato dalla scelta emersa dai giurati di Oslo, promettendo petrolio, gas, minerali e molto altro, in un’aperta svendita delle risorse del paese a Usa e multinazionali.

Oggi, più che mai, il futuro del Venezuela, della Colombia, e, più in generale, dell’intera regione latinoamericana e caraibica rimane incerto, appeso ad un filo, nelle mani di uno dei presidenti più inaffidabili che gli Usa abbia mai avuto e in quelle di alleati in loco, da Milei a Noboa fino agli oppositori di estrema destra che auspicano l’intervento militare di Washington. A questo proposito, non risulta alcuna mobilitazione di Washington per liberare l’Ecuador, un paese, questo si, dove la criminalità e il narcotraffico sono realmente dilaganti.

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Firma l’appello a difesa del Venezuela e per la pace

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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