Ucraina: I Nostri Valori

di  Francesco Masala (grazie a Carlos Latuff per le immagini trovate in rete) con articoli di Coordinamento Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo, Umberto Franchi, Michele Zizzari, Maurizio Acerbo, Pasquale Pugliese, Mike Davis, Oleg Yasinsky, Carlos Latuff, Doriana Goracci, Enrico Campofreda, Vincenzo Costa, Fulvio Scaglione, Angelo Gaccione, Pier Virgilio Dastoli, Francesco Vignarca, Raniero La Valle, Weaponwatch.net,Gian Giacomo Migone, Alberto Capece, Antonia Sani

Primo Valore – I bambini devono essere sempre protetti

 

Secondo Valore – Ai paesi occupati vanno fornite tutte le armi necessarie per difendersi

 

Terzo Valore – Tutti i criminali di guerra devono ricevere il giusto castigo

 

Quarto Valore – Tutti i profughi e i rifugiati devono essere accolti

 

Quinto Valore – La libertà di stampa è sacra e inviolabile

 

Sesto Valore – L’Università è il luogo della libertà d’espressione (*)

 

 

COME DISTRUGGERE UN PAESE: IL NOSTRO – Vincenzo Costa

 

Le guerre servono a ridisegnare equilibri di potere. Non solo militare e non principalmente militare. L’aspetto militare è sempre subordinato a quello politico-economico. E di fatto la guerra in Ucraina sta ridisegnando gli equilibri, e ogni giorno ognuno dei duellanti (che sono tutti gli attori della politica internazionali, gli Stati Uniti, la russia, la Cina, la UE, l’India) giocano questa partita. L’aspetto spettacolare e di propaganda, i morti (che sono reali e tragici) fanno parte di questo gioco per ridisegnare, per negoziare gli equilibri economico-politici, oltre che ovviamente militari.

In questo quadro ci sono i vasi di coccio, che sono paesi come il nostro, nei suoi rapporti con il resto del mondo. Che cosa sta cambiando nel mondo e per noi? La risposta è semplice: stiamo distruggendo il futuro del paese.

1) Questa guerra ci lascerà più poveri, molto più poveri. L’inflazione è già altissima, e nei prossimi mesi crescerà, mentre i salari resteranno al palo. STANNO DISTRUGGENDO IL POTERE D’ACQUISTO DELLE CLASSI LAVORATRICI DEL PAESE, dei pensionati, dei giovani che già arrancano dietro a lavori precari. Stanno bombardando la nostra vita, e di questo le persone se ne accorgeranno a fine anno, man a mano che il processo si paleserà: sarà l’apparire della realtà.

2) STANNO DISTRUGGENDO I NOSTRI RISPARMI. Con un’inflazione simile i nostri risparmi si stanno disintegrando, tra poco i pochi soldi che molti di noi sono riusciti a mettere da parte per il “non si sa mai” varranno poco, sempre meno.

Si era gridato al pericolo quando i populisti stavano mettendo a rischio il risparmio degli italiani, ma adesso è il governo che, deliberatamente, seguendo i dettami della casa bianca, per dimostrare fedeltà, sta distruggendo i nostri risparmi.

3) STANNO DISTRUGGENDO IL SISTEMA PRODUTTIVO DEL PAESE.

In primo luogo perché con costi dell’energia così alti non saremo competitivi, e quindi nel commercio internazionale altri prenderanno le nostre fette di mercato (e non saranno ovviamente i russi, ma americani, inglesi, francesi). Fette di mercato perse significa PERDITA DI POSTI DI LAVORO.

In secondo luogo, ABBIAMO PERSO UN MERCATO, forse non decisivo, ma comunque importante e cospicuo, COME QUELLO RUSSO, in cui esportavamo di tutto, dai macchinari al vino alla moda. Quello che il ministero degli esteri Russi ha chiarito non è un minaccia da gangster: ha semplicemente detto che quel mercato non sarà recuperato in futuro, perché le espressioni di ostilità sono eccessive, l’odio che il nostro governo sta esprimendo è fuori misura. Questo danneggerà inevitabilmente il tessuto produttivo del paese.

4) Esporteremo forse qualcosa di più negli USA, ma dipenderemo sempre più da essi, non solo militarmente. E di fatto, se l’intera Europa ha accettato, spesso cambiando posizione nel giro di poche ore (come Francia e Germania), è perché gli USA hanno minacciato sanzioni contro di noi se non li avessimo seguiti nell’applicazione delle sanzioni contro la Russia.

Sanzioni che, tuttavia, danneggiano l’economia europea ma sono una boccata d’ossigeno per quella statunitense. Ma essendo noi a sovranità limitata, non solo militare ma anche economica, abbiamo come europei dovuto accettare il diktat.

5) Se questo continua, se si blocca la “locomotiva tedesca”, o se rallenta, questo sarà un altro colpo durissimo per la nostra ripresa e per il nostro sistema produttivo, può provocare una spirale terribile che, un misto di inflazione e recessione: la tempesta perfetta.

6) La UE ha cambiato natura: è diventata un’agenzia militare. Non solo la parte di PIL dei paesi membri è lievitata a dismisura, ma la UE ha oramai un bilancio militarizzato, peraltro inficiato da conflitti di interesse enormi (Si veda il rapporto ENAAT), dato che la grandi industrie degli armamenti è implicata. Industria che ovviamente non conosce crisi e che anzi sta già facendo lauti profitti, sulla pelle degli ucraini e nostra.

7) Dombrovskis ci ha massacrati per uno 0,4% che servivano per il reddito di cittadinanza e per le pensioni. Sarebbe stato l’Armageddon. Invece aumentare a dismisura le spese militari è perfettamente compatibile. In fondo, per questi signori siamo solo carne da macello, le vite umane servono solo in quanto sono funzionali all’accumulazione del capitale, al profitto.

Ovviamente, questo è debito buono, non è debito cattivo. Ora sappiamo che cosa è il debito buono.

Qui non si tratta di fare i complottisti. Qui non indichiamo cause segrete. La differenza tra complottismo e analisi intellettuale è che l’analisi segue i fenomeni, cerca di mettere in luce che cosa un’azione produce, e questa guerra sta producendo questo, insieme ad altre trasformazioni più profonde, ma l’abbiamo già fatta troppo lunga.

Queste sanzioni sono sanzioni contro di noi, sono sanzioni che pagheremo noi, e noi si intende la gente che lavora (lavoratori e imprenditori), mentre altri ne trarranno motivo di arricchimento.

Da questa guerra uscirà una società più ingiusta, più crudele, più carica di odio

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DAI LAVORATORI VOCI CONTRO LA GUERRA – Weaponwatch

 

La guerra di propaganda in corso sta portando alla superficie piccole tessere del mosaico che rivelano la preparazione logistica del conflitto in Ucraina.

Dopo il bombardamento russo del 13 marzo scorso, abbiamo saputo che su territorio ucraino, a 20 km dal confine polacco, funzionava già dal 2007 il Yavoriv Training Center, centro di addestramento militare con istruttori della NATO che ha ospitato numerose manovre internazionali a guida statunitense, l’ultima (Rapid Trident) con la partecipazione di 15 paesi, tra cui l’Italia, nel settembre 2021. Yaroviv è sulla strada che collega il capoluogo ucraino di Leopoli con Resovia, in Polonia, a un centinaio di chilometri dal confine. Proprio nell’aeroporto di Resovia-Jasionka dal 5 febbraio opera un comando logistico statunitense protetto da un nutrito contingente di paracadutisti. Su questo scalo si concentra il possente ponte aereo organizzato dalla NATO per rifornire le forze armate ucraine, con un ultimo tratto da compiere via terra. Colpendo la caserma di Yaroviv, l’esercito russo non ha solo distrutto un importante centro di reclutamento dei foreign fighters, ma anche una base avanzata della NATO in territorio ucraino, passaggio obbligato per le armi in arrivo dalla Polonia.

A Resovia dal 1° marzo l’aviazione militare italiana sta inviando propri aerei da trasporto (Hercules e Boeing KC-767A), due-tre voli giornalieri in partenza sia da Pisa che dalla base di Pratica di Mare. Nonostante il governo abbia secretato quantità e tipologie delle armi inviate in Ucraina, successive indiscrezioni di stampa le hanno grossomodo descritte: mitragliatrici MG 42/59 da 7.62 mm (con munizionamento), alcune decine di lanciatori Stinger (con oltre 100 missili), alcune decine di lanciatori MILAN (con alcune centinaia di missili anti-carro), alcune migliaia di elmetti, 5.000 giubbotti anit-proiettile, circa 200 M72 LAW (bazooka anti-carro e anti-bunker), alcune migliaia di mitragliatrici pesanti Browning M2 cal. 12.7 (con milioni di colpi di relativo munizionamento), decine di mortai da 120 mm (e molte migliaia di bombe), decine di migliaia di razioni alimentari.

 

(L’Antonov AN-124-100 della compagnia pubblica ucraina Antonov Airlines, fotografato all’aeroporto Galileo Galilei di Pisa il 12 marzo scorso)

 

Niente di militarmente decisivo, se non come dimostrazione politica di allineamento alla linea del presidente Biden.

Cargo militari italiani stanno anche partendo da Pisa, da Pratica di Mare e da Verona Villafranca diretti a Constanza, porto romeno sul Mar Nero, altro hub coinvolto nelle operazioni in Ucraina, su cui convergono in particolare cargo militari francesi dalla base aerea di Istres Le Tube e britannici dalla base RAF di Brize Norton. Aerei militari italiani sono decollati anche per Šiauliai in Lituania e Riga in Lettonia.

Secondo la denuncia dei lavoratori dell’aeroporto pisano “Galileo Galilei” – che è un aeroporto civile, sebbene contiguo all’aeroporto militare “Arturo Dell’Oro” e alla base militare USA di Camp Darby –, parte di queste armi è stata imbarcata su aerei civili come “aiuti umanitari”, in particolare su un Boeing 737-8F2 della compagnia islandese Bluebird Nordic partito da Pisa per Resovia sabato 12 marzo. Il passaggio da Pisa di cargo Bluebird non è infrequente, ma in queste settimane la compagnia di Reykjavík sta spostando molto materiale tra le basi USA in Islanda e lo scalo di Billund, nello Jutland.

Nella stessa giornata è atterrato a Pisa anche uno dei cinque giganteschi Antonov An-124-100 della compagnia di stato ucraina Antonov Airlines, alcuni impegnati nella logistica militare al di fuori dello spazio aereo ucraino. Nonostante gli An-124 ucraini siano al momento non visibili agli strumenti di tracking in rete («due to European government data rules»), sappiamo che quello ripartito da Pisa è atterrato a Resovia.

Come nel caso delle navi saudite a Genova, e delle navi israeliane a Livorno e Ravenna, ancora una volta i lavoratori italiani della logistica, dei porti e degli aeroporti, stanno contribuendo a rendere evidente ciò che governo e partiti nascondono, ovvero la partecipazione attiva a tutte le guerre in corso, partecipazione sotto cui si nascondono non solo il più acritico allineamento internazionale, ma anche – se non soprattutto – la speranza di ricavarne vantaggi economici per poche grandi aziende italiane, quelle a controllo pubblico.

Il presidio dei lavoratori dell’aeroporto di Pisa del 19 marzo, lo sciopero a Genova dichiarato da USB per il 31 marzo – data prevista per l’arrivo di un’ennesima nave della compagnia Bahri – e l’iniziativa del 2 aprile sempre a Genova, promossa da un largo fronte di associazioni laiche e religiose con la partecipazione dei vescovi di Genova e Savona, ci sembrano le voci più serie e concrete che si stanno levando contro la guerra.

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Rompere lo schema della guerra – Pasquale Pugliese

…La nonviolenza rifonda il nesso tra etica e politica, riportando la morale nell’ambito politico ed espellendo da esso la violenza. La nonviolenza capitiniana, d’accordo con l’insegnamento gandhiano, si pone in atteggiamento decisamente antimachiavellico ricollegando strettamente i mezzi ai fini. Sotto questo aspetto il pensiero di Aldo Capitini è chiaro e preciso nel ribadire, e fondare ulteriormente, un principio assoluto del metodo nonviolento: “nella grossa questione del rapporto tra mezzi e fini, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile se vuoi la pace prepara la guerra, ma attraverso un’altra legge: durante la pace, prepara la pace”. È evidente, in questo senso, la vocazione rivoluzionaria della nonviolenza che ribalta esplicitamente una consolidata tradizione che vuole la guerra come via alla pace, la violenza alla rivoluzione, l’autoritarismo alla libertà.

Come riconosce pienamente anche Norberto Bobbio, “dal punto di vista filosofico la teoria della nonviolenza richiede un totale capovolgimento del modo tradizionale di porre il problema del rapporto tra mezzi e fini”. Questo è il tratto veramente e integralmente rivoluzionario: il metodo nonviolento non accetta di combattere l’avversario violento con le sue stesse armi, ma vuole essere alternativo anche negli strumenti, offrendo anzi all’avversario una via d’uscita dalla sua dimensione di violenza. “In quanto rovesciamento di tutto quello che è avvenuto nella storia la nonviolenza è rivoluzione, e non potendo essere mai attuata fino in fondo è rivoluzione permanente” – continua Bobbio – “Solo la nonviolenza è destinata a cambiare la storia, anche se nessuno sappia quando e come. E la cambia perché tende ad eliminare definitivamente il mezzo principale ed ultimo cui gli uomini sono sempre ricorsi per edificare la loro storia di sangue”

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Per fermare l’aggressione, al tavolo devono sedersi Biden e Putin – Raniero La Valle

(da Il Manifesto)

«Invito alla trattativa», «Spiragli di trattativa», «Trattativa, non invio di armi»: sono le parole più sagge che si possono dire dinanzi alla tragedia in corso. Purtroppo però fino ad oggi queste parole si sono rivelate fuori della realtà. Perché una vera trattativa si è rivelata impossibile da Antalya in poi. Tale impossibilità deriva però dall’ermeneutica dei fatti che risulta sbagliata fin dall’inizio ma come vediamo con sgomento è quella che comanda sia tutti i commenti che tutti i comportamenti.

Se le cose stanno come vengono oggi spiegate, per l’Ucraina e la Russia è in gioco la sopravvivenza, per l’una ad opera della Russia, per l’altra ad opera degli Stati Uniti. Putin come si dice “ha aggredito senza ragione Zelensky e deliberatamente ammazza i bambini e bombarda ospedali”, Zelenski non può deludere “il mondo contro Putin” come titolano a tutta pagina i nostri giornali, il mondo per il quale si immola, né può “tradire i suoi concittadini che ferma alla frontiera se hanno compiuto 18 anni, mariti, padri, e li rimanda indietro a combattere in città”; se le cose così vengono raccontate, è chiaro che tutti e due, pur incontrandosi, non hanno in mano la chiave del futuro. Anzi.

È fuori della realtà che Zelensky e Putin si siedano a un tavolo e aggiustino la guerra e il mondo. Ciò è inverosimile. Forse la disperazione farà il miracolo, ma non possiamo fare appello al miracolo. Non è invece inverosimile che al tavolo si siedano Putin e Biden. Anzi è tanto verosimile che già ci stanno, anche se virtualmente per uccidersi.

Se vogliamo tornare a una realtà non virtuale bisogna abbandonare quel racconto della guerra in cui tutti fanno finta di credere e che non è quello vero e unico.  Il fallimento maggiore è quello dei giornalisti che dovrebbero capire e spiegare i fatti come sono veramente (queste sono le “notizie”) e invece sono quasi tutti tragicamente embedded. Per i quali a volte anche Papa Francesco viene indicato come filo-Putin, semplicemente perché, diversamente da tutti gli altri, si pone il problema di una possibile mediazione di pace oltre le narrazioni contrapposte. È questione di vita o di morte “vedere come stanno le cose”, come ha detto Claudio Napoleoni morendo,

La guerra non è tra Russia e Ucraina, e questa è la ragione per cui il continuo ritorno su di essa nel discernere aggredito e aggressore, moralmente più che ineccepibile, è fuorviante, cioè ci porta fuori dalla via della soluzione. Pur ricca di argomenti, la condanna dell’aggressione non va a segno se non vede che questa non è in una sequenza duale, ma in una catena che comincia lontano e non finisce qui. La guerra è tra la Russia e gli Stati Uniti, anzi per essere ancora più veri è tra lo schieramento dei partecipi alle sanzioni sotto la guida americana e la Russia.

Dentro ci siamo anche noi e perciò abbiamo titolo per parlare. In ballo c’è l’assetto del mondo, dopo l’uso perverso della fine dei blocchi, tra gli Stati Uniti che vogliono il comando e tutto “il secolo americano” per sé, la Russia che non vuole essere messa ai margini o esclusa addirittura dal mondo e dalla storia, e la Cina che aspetta. L’Ucraina non c’entra niente anche se oggi paga per tutti e questa è la ragione principale della nostra pietà e del nostro dolore per lei, che è stata gettata da tutte le parti nella fornace senza alcun bisogno.

La vera risposta politica, non impotente e declamatoria (e se vera potrebbe essere meno irrealizzabile di quanto per il 99 per cento oggi appare), sarebbe una immediata trattativa da aprire tra Biden e Putin, che metta subito fuori della tragica scena l’Ucraina con un cessate il fuoco che lasci tutte le bocce ferme come in un fermo immagine, e postuli un mondo capace di sussistere (noi suggeriamo di dargli una Costituzione della Terra).

Se è vero come dicono i generali e i cultori machiavelliani della realpolitik che i negoziati e la pace si fanno tra nemici, quali nemici più veri di questi? Certo ci vorrebbero uomini di un’altra tempra. Ma Biden fin dall’inizio sta nella parte e lo sa benissimo anche se fa la bella figura di chi dice di non volere la guerra, non voler metterci dentro i soldati e la bomba, punendo piuttosto e aspettando il cadavere del nemico. Anche Putin sta assai nella parte e mentre era il più debole ha ostentato la forza di carri e soldati e poi ha compiuto il crimine di metterci la guerra e le bombe, ma più di Biden ha bisogno di uscirne senza arrivare al redde rationem finale. Il lancinante appello del Papa può aprire un varco, ma sono i protagonisti che devono oltrepassarlo, che devono fermare il massacro.

Dunque ci vuole qualcuno che rompa il cerchio magico (diabolico) della falsa ermeneutica corrente, che dica qual è il vero problema, che indichi la vera non impossibile soluzione, che riaccenda la perduta speranza.

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Perché la causa dell’Ucraina riguarda il ruolo e il futuro dell’Europa – Gian Giacomo Migone

(da Il Manifesto)

Il 30 novembre 1939 Stalin aggredì la Finlandia neutrale, approfittando dell’alleanza temporanea con Hitler, sancita dal patto Ribbentrop-Molotov che, nei mesi precedenti, costituì la premessa per l’inizio della Seconda guerra mondiale.

Scopo di Stalin era quello di trasformare la Finlandia in uno stato vassallo, presieduto dal presidente del partito comunista finlandese, allora di fede sovietica, di nome Otto Kuusinen.

Tuttavia, la straordinaria difesa finlandese – che utilizzò a suo favore quel “generale inverno” che aveva contribuito alla sconfitta di Napoleone e, in un non lontano futuro, a quella di Hitler e di Mussolini -, insieme con la solidarietà soprattutto della vicina, socialdemocratica e pure neutrale Svezia, costrinse Stalin ad accettare una pace di compromesso. La Finlandia rimase neutrale ed indipendente, Otto Kuusinen dovette emigrare a Mosca, e Stalin accontentarsi di una piccola parte dei territori finlandesi, per poi dedicarsi alla conquista dei paesi baltici come beneficio del patto di non aggressione con Hitler, a sua volta impegnato a conquistare la Polonia.

DAL PUNTA DI VISTA umano quell’aggressione, dimenticata nelle pieghe della Seconda guerra mondiale, era costata circa 200.000 morti, dei quali la maggioranza di nazionalità sovietica.

Dopo circa quattro mesi di guerra, prevalse la parola d’ordine, lanciata dalla vicina Svezia: “Finlands sak aer, la causa della Finlandia è nostra”. Di fronte ad un’altra guerra d’aggressione, a ottant’anni di distanza, non possiamo che dichiarare il nostro orrore per le vittime di qualsiasi guerra: oggi, innanzitutto civili, migranti ucraini in fuga, anche reclute russe. Le devastazioni causate da Putin ci stanno aprendo gli occhi con molto ritardo anche a quelle vittime invece nascoste, che tuttora crescono nello Yemen e che, a centinaia di migliaia, sono state causate da interventi militari, in violazione di ogni norma internazionale – le così dette “coalitions of the willing“, coalizioni dei volonterosi, guidate dagli Stati Uniti – in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, di cui anche noi siamo stati partecipi comprimari e/o fornitori di armi.

NELLO STESSO TEMPO non possiamo non fare nostra quella ormai defunta parola d’ordine, ispirata dalla volontà di un popolo che, a grande maggioranza, rifiuta di sottomettersi all’aggressore, rinunciando alla propria indipendenza: in quanto europei, la causa dell’Ucraina è la nostra. Perché l’Ucraina è parte dell’Europa, attaccata anche in quanto tale. Non sfugga il fatto che la Russia di Putin, con la propria aggressione, ha riesumato la divisione dell’Europa che ha caratterizzato la Guerra fredda, nel non abbastanza breve secolo scorso.

Come non può sfuggirci il fatto che quanto sta avvenendo in Ucraina restituisce alla Nato una funzione che aveva perso con la caduta del Muro, restaurando, almeno in questa fase, un principio gerarchico, fondato su una presenza militare statunitense, anche nucleare, su territorio europeo che, più ancora che in passato (ricordate il principio della doppia chiave?), sfugge al controllo degli Stati – in primis il nostro – che la ospitano. Come constata una prima pagina del New York Times (cfr. 14 marzo, p.1): “La guerra in Ucraina ha sollecitato la più grande revisione della politica estera americana…infondendo agli Stati uniti un nuovo senso di missione e mutando i suoi calcoli strategici nei rapporti con i propri alleati ed avversari”.

COME SPIEGA Alessandro Portelli, (il manifesto, 16 marzo), denunciare la graduale espansione della Nato, fino ai confini della Russia, non è per giustificare la politica di Putin, bensì, al contrario, per imputargli un ulteriore forma di aggressione nei nostri confronti, nel tentativo, per ora riuscito, di reinstaurare un bipolarismo, ad un tempo pericoloso e connivente, che riduce l’Europa a terreno di conflitti e di conquista di soggetti militarmente più forti – oggi Russia e Stati Uniti, in prospettiva la Cina – e priva mezzo miliardo di persone di una voce a livello globale.

PER CONTRIBUIRE A FAR cessare lo scempio in atto di vite umane, l’Europa deve trovare la sua unità politica e prospettiva strategica, ancora pochissimo presente nei consessi di Bruxelles, nella formulazione di un programma di pace che salvaguardi e accolga i fuggiaschi da questa e da ogni guerra, ripartendone equamente l’onere, senza distinzione di provenienza e di colore della pelle; che riconosca la pronta adesione dell’Ucraina all’Unione europea, preservandone l’indipendenza e la neutralità simile ad altri stati membri – opponendosi alle sintomatiche pressioni per l’adesione anche della Svezia e della Finlandia alla Nato, non a caso incoraggiate da provocazioni di Mosca nei loro confronti -, riconoscendo a quella parte dell’Ucraina a prevalente vocazione e lingua russa diritto di autodeterminazione. D’ora in poi chi pone al primo posto la ricerca della pace dovrebbe ricordare il monito del cardinale Martini, secondo cui è necessario rinunci ad una parte di ciò che ritiene giusto.

Mosca accentuerebbe il proprio isolamento sancito dall’Assemblea Generale dell’Onu, spingendosi oltre le pretese a suo tempo definite da Stalin a conclusione della propria aggressione alla Finlandia, né aiuta una soluzione pacifica del conflitto in atto la definizione di Vladimir Putin quale criminale di guerra da parte del presidente degli Stati Uniti. La sede naturale per la ricerca di una soluzione pacifica ed un ritorno alla legalità internazionale resta quella dell’Onu (cfr. Luigi Ferrajoli, il manifesto, 16 marzo) ove l’orientamento multipolare della Cina potrebbe risultare determinante.

QUANTO ALLA RIVENDICAZIONE di diritti e libertà umane, esse risultano assai più credibili nella bocca di coloro che protestano e subiscono conseguenti repressioni in Russia che non in quelle dei nostri governanti occidentali. Si riconosca il valore etico e politico della resistenza ucraina, senza aggiungere guerra alla guerra, armi alle armi, con riferimenti impropri a quella, ad esempio italiana, che si sviluppò militarmente contro un esercito nazista ormai in fuga. Piuttosto, si valuti forme di presenza e testimonianza solidale, da parte di governanti, parlamentari e volontari europei, in un teatro ancora di guerra, come prontamente suggerito da Alex Zanotelli ed altre persone impegnate per la pace.

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La strada sbagliata dell’aumento delle spese militari – Francesco Vignarca

(da Il Manifesto)

Oltre a devastare l’Ucraina, l’invasione decisa da Vladimir Putin ha ribaltato gli orizzonti di molte scelte politiche internazionali, soprattutto in Europa. È successo per le esportazioni di armi, con i Paesi dell’Unione europea che hanno deciso di ignorare norme condivise vincolanti, ma soprattutto lo si rileva sul tema delle spese militari. Un clima politico totalmente cambiato dal recente passato, in cui comunque il rialzo negli investimenti armati era in qualche modo limitato da una contrarietà nell’opinione pubblica evidenziata da diversi sondaggi. Oggi invece si cerca il consenso politico in direzione militarista.

Un consenso politico in direzione militarista che fa dichiarare con allegria al Sottosegretario alla Difesa Mulé che “non ci diciamo più che con un F-35 si costruiscono cento asili, ma che con l’F-35 ne proteggiamo migliaia”. Sempre che in futuro ci sia qualche soldo per costruirli e gestirli…

Nelle ultime settimane la Germania ha deciso di portare a 100 miliardi (praticamente raddoppiandolo) il proprio livello di spesa militare, la Francia si adeguerà e anche l’usualmente “neutrale” Svezia intende raggiungere i livelli suggeriti dalla Nato. Lo stesso è avvenuto in Italia con l’ordine del giorno votato a larga maggioranza alla Camera dei Deputati e spiegato come risposta alle richieste di Mario Draghi. Che in realtà aveva già rilasciato dichiarazioni di questo tenore dopo la conclusione della presenza in Afghanistan (situazione dimenticata, dopo solo sei mesi dal fallimento della missione militare occidentale) descrivendolo come passo verso la Difesa comune Europea, che potrà invece concretizzarsi solo dopo un reale affidamento all’Unione di competenze su politica estera. Tanto è vero che un Report diffuso in questi giorni dalla rete ENAAT dimostra che i primi fondi europei destinati alla difesa stiano solo diventando l’ennesimo sussidio all’industria militare.

Non regge nemmeno quanto dice il primo firmatario dell’OdG, il leghista Paolo Ferrari, secondo cui la spesa militare avrebbe avuto di recente una costante contrazione invertita solo dall’ultimo esercizio finanziario. I dati dell’Osservatorio Mil€x evidenziano invece una crescita costante dai 21,5 miliardi del 2019 ai 25,8 previsti per il 2022 soprattutto per l’aumento dei fondi per nuovi armamenti balzati da 4,7 a 8,2 miliardi di euro.

«È solo l’applicazione di una richiesta Nato già prevista» dicono in molti. Nemmeno questo è vero. L’indicazione di almeno il 2% del Pil in spesa militare fa capolino nel 2006 in un accordo informale dei Ministri della Difesa rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles (obiettivo per il 2024) in cui si indicava anche una quota per investimenti del 20%. Dichiarazioni di intenti mai ratificate dal Parlamento con forza normativa e obbligo vincolante per il Bilancio dello Stato. L’obiettivo del 2% non è mai stato giustificato in termini militari e collega una spesa pubblica a un parametro soggetto a fluttuazioni comprendente produzione di ricchezza privata: è quindi aleatorio e scollegato da reali esigenze tecniche.

«In una fase come questa è inevitabile aumentare le spese per la difesa», è un’altra delle giustificazioni addotte, vedendo nella Russia una minaccia sempre maggiore cui far fronte. Difficile però che un aumento di spesa da realizzare nei prossimi anni, e con effetti ancor più trascinati nel tempo, possa incidere sulla crisi in corso in Ucraina. Soprattutto perché, considerando il volume di fondi come parametro di potenza militare e assumendo che sia correlato a efficacia nella sicurezza, la sproporzione è già oggi enorme.

Dal 2015 in poi (cioè dall’occupazione di Crimea e Donbass quando la «faccia cattiva» di Putin era già evidente, ma senza che ciò fermasse gli «affari armati» europei) la Nato in totale ha investito nei propri eserciti oltre 14 volte quanto fatto dalla Federazione Russa. Un’astronomica cifra di 5.892 miliardi di dollari contro 414 (cioè una differenza di quasi 5.500 miliardi). Anche limitandosi all’Unione europea i dati indicano che i Paesi Ue (con Regno Unito considerato solo fino al 2019) hanno avuto una spesa militare combinata di oltre 3,5 volte quella di Putin: 1.510 miliardi di dollari, quasi 1.100 in più dei russi…

Chi ritiene che per rispondere alla minaccia del Cremlino, che uscirà dal conflitto ucraino con forze armate decimate e fortemente indebolite in assetti e capacità, si debbano ulteriormente aumentare le spese militari o ha problemi di aritmetica o ritiene altamente inefficienti (magari per corruzione?) gli investimenti fatti dai Paesi occidentali. Oppure, più semplicemente, si fa trascinare da una diffusa retorica con l’elmetto (comoda, semplificatoria, politicamente vantaggiosa) orchestrata in maniera interessata da chi sta già contando le montagne di soldi in arrivo per questa decisione. Resta da capire come le casse dello Stato possano permettersi 12 miliardi in più all’anno per soldati e armi.

L’autore è coordinatore delle campagne di Rete Pace e Disarmo

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Fermare la guerra in Ucraina, l’invio dei Caschi blu dell’Onu è una strada possibile – Pier Virgilio Dastoli

 

Caschi Blu dell’ONU per fermare l’avventura militare di Putin e garantire un futuro accordo di pace tra l’Ucraina e la Russia? È un’ipotesi che la comunità internazionale dovrebbe prendere molto sul serio. Nel conflitto drammaticamente aperto dal tentativo del capo del Cremlino di tornare alla “grande Russia come attore planetario, la strada di un accordo globale dovrà passare inevitabilmente dal Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York.

L’invasione dell’Ucraina ha riaperto problemi di governo del mondo che vanno ben al di là della volontà di annessione russa di un territorio che fino al 1991 apparteneva all’Unione Sovietica e della legittima difesa dell’integrità e dell’indipendenza di una nazione che si staccò dall’impero russo nel 1918, che fu membro fondatore dell’Unione Sovietica nel 1922 e che fu tra i cinquantuno stati che crearono le Nazioni Unite nel 1945.

Le Nazioni Unite sono intervenute all’indomani dell’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio attraverso il Consiglio di Sicurezza che – in una risoluzione del 28 febbraio – ha cercato la via del compromesso con la Cina deplorando” e non “condannando l’aggressione ed escludendo l’applicazione del capitolo VII dello Statuto che avrebbe potuto consentire di intraprendere un’azione militare per ristabilire la pace (peace keeping). Nonostante questa scelta di compromesso, però, la Cina si è astenuta insieme all’India e agli Emirati Arabi Uniti e la risoluzione poi non è stata comunque adottata per il veto della Russia, che presiede attualmente il Consiglio di Sicurezza.

Cinque giorni dopo l’Assemblea generale, dove le decisioni sono prese a maggioranza e dove i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza non hanno diritto di veto, ha condannato invece la Russia con 141 voti a favore, 35 astensioni, fra cui ancora la Cina e l’India, e solo cinque contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria).

La legittimità e l’autorevolezza dell’azione della comunità internazionale, che si è mostrata largamente compatta dall’inizio della guerra, al contrario di quanto avvenne durante l’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014, dipende ora dalla sua capacità di difendere – assieme all’Ucraina – le regole e i principi delle Nazioni Unite nell’immediato per imporre la tregua e il conflitto militare. Nonché, con un respiro più ampio, per riaprire la questione della riforma delle stesse Nazioni Unite.

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GUERRA E MAMME – Angelo Gaccione

La guerra trova i suoi sostenitori perché ne parliamo in astratto e mai dal punto di vista delle vittime. Io sono arciconvinto che se gli inviati di guerra andassero ad intervistare le famiglie ammassate nelle cantine al buio come topi, nei bunker di fortuna, nelle metropolitane al freddo; a chiedere ai bambini terrorizzati, agli anziani e agli invalidi che non possono fuggire, ai malati che non sanno dove andare, a tutti coloro che hanno visto le case devastate dalle bombe e ridotte in macerie, che hanno perso tutto, ricordi compresi, si sentirebbero rispondere che la guerra è la peggiore delle calamità che possa capitare al genere umano. Che andrebbe fermata subito, che Putin che li sta massacrando, e Zelenski che al massacro li ha condotti, e Biden e la Nato e i governi e quanti mandano armi e soffiano sul fuoco, per loro non fa alcuna differenza. Che loro guardano in faccia la morte ogni giorno, e dei nostri dibattiti di accademia non sanno che farsene. E che avrebbero preferito una pace ingiusta ad una guerra giusta. Ed invece a parlare sono gli opinionisti dai salotti televisivi, dalle loro comode e confortevoli dimore a disquisire sulla pelle degli altri. Sono altrettanto arcisicuro che se improvvisamente un missile cadesse sul tetto delle case di costoro e le devastasse, se vedessero il terrore con i propri occhi, se sentissero i boati annichilenti come gli ucraini, cambierebbero subito idea e chiederebbero un immediato cessate il fuoco. E se ascoltassero le mamme dei soldati russi o quelle dei giovanissimi ucraini che il governo ha forzatamente trattenuti in patria per mandarli scientemente al macello, si sentirebbero dire la stessa cosa: maledetta sia sempre la guerra e chi la provoca. Scoprirebbero che i loro cuori sono colmi dello stesso dolore per la sorte dei loro figli, che trepidano di giorno e di notte e in sogno vedono le bare che li riporta a casa. O forse neppure questo, perché i loro corpi sono talmente mal ridotti da non poterli neppure identificare. E sfregerebbero con le loro mani, anche di questo sono arcisicuro, i volti dei guerrafondai che ovunque sono simili.

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Chi è Nikolay Patrushev, cattivissimo del Cremlino che Putin ha messo a trattare con gli americani – Fulvio Scaglione

 

Fedelissimo di Putin, esecutore spietato delle sue politiche, è stato scelto per il ruolo più difficile: quello di negoziare col vero nemico, gli Usa, durante l’invasione russa dell’Ucraina.

 

Com’è quella frase? “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. Ecco: appena è cominciata l’invasione russa in Ucraina è ricomparso Nikolay Platonovich Patrushev, 70 anni, l’unico del vertice russo a tenere i contatti con gli americani e, mentre mezzo mondo si sente sull’orlo di una guerra mondiale, a sentirsi con Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza Nazionale di Joe Biden. Patrushev è uno che da sempre preferisce l’ombra e che duro lo è davvero. Anzi: è considerato il più falco dei falchi della cerchia ristretta di Vladimir Putin. Anche Patrushev, come Putin, è di San Pietroburgo. E anche lui, anzi molto più lui di Putin, ha fatto carriera nei servizi segreti. Figlio di un ufficiale della marina sovietica iscritto al Partito comunista, il giovane Nikolay si laurea in Ingegneria navale nel 1974, iniziando subito a lavorare per l’Istituto di costruzioni navali dove aveva discusso la tesi. Si ferma poco in Università, perché un anno dopo viene arruolato nel Kgb.

 

La banda di San Pietroburgo

Viene mandato a studiare nelle accademie dei servizi segreti di Minsk (odierna Bielorussia) e di Mosca e poi rispedito a Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) dove riesce a farsi notare fino a diventare capo della sezione anti-contrabbando e anti-corruzione. Risale a quel periodo, che fu di grande confusione ma anche di profonda ridefinizione degli equilibri di potere, la sua amicizia con Putin, che nel frattempo aveva lasciato il Kgb ed era diventato il braccio destro del sindaco democratico Anatolyj Sobciak, incaricato di curare le relazioni economiche con l’estero. L’incarico di Patrushev e quello di Putin permettevano, anzi imponevano frequenti contatti, lubrificati dalla passata colleganza. E i frutti della frequentazione si sarebbero visti di lì a pochi anni.

 

Patrushev prosegue la sua carriera nei servizi, fino a diventare ministro (1992-1994) della sicurezza della Carelia, la repubblica russa che confina con la Finlandia. Si fa una fama di dirigente austero, inflessibile, sgobbone. Putin, intanto, viene chiamato a Mosca dove inizia la carriera che sappiamo. Anche Patrushev sbarca nella capitale, per diventare vice-capo dell’organizzazione interna dell’Fsb, il servizio di controspionaggio erede (come l’altro ramo dei servizi, lo spionaggio estero) del Kgb. Nel 1998-1999 la svolta decisiva: Putin diventa direttore dell’Fsb e Patrushev lascia le scartoffie, scala i ranghi e diventa vice-direttore operativo dell’Fsb; poi Putin viene nominato primo ministro e Patrushev prende il suo posto come direttore unico, col titolo di ministro.

È un incarico che reggerà fino al 2008, quando gli arriva la nomina a segretario del Consiglio di Sicurezza, in effetti il gran consigliere del Principe. E Patrushev arriva lì proprio perché, a quel punto, la sua fama di falco è più che consolidata. E parliamo di fama perché, in certi casi, basta un’ombra nera per incutere timore. Putin diventa primo ministro nell’agosto del 1999 e in settembre una serie di attentati contro palazzi di abitazioni a Mosca, Buinaksk e Volgodonsk provoca 307 morti e più di mille feriti. Il Cremlino attribuisce le stragi ai terroristi ceceni e poco dopo lancia l’ultima e decisiva guerra contro la Cecenia. Molti, anche se su basi non del tutto convincenti, pensano invece che le bombe siano state piazzate dai servizi segreti di Patrushev proprio per dare a Putin la scusa buona per risolvere la questione cecena. Nel 2006, poi, l’ex agente dell’Fsb espatriato nel Regno Unito e diventato dissidente Aleksandr Litvinenko viene avvelenato con il polonio. Nel 2008, l’inchiesta condotta dai servizi segreti inglesi conclude che “l’operazione dell’Fsb per uccidere Litvinenko fu probabilmente approvata da Patrushev e anche da Putin”.

 

Da capo dei servizi segreti, Patrushev è stato l’uomo dei misteri, dei “probabilmente” che mettono paura. Ed è stato un implacabile esecutore delle politiche putiniane, soprattutto per quanto riguarda la brusca tirata di briglie agli oligarchi che credevano di poter disporre liberamente delle risorse e delle aziende strategiche della Russia. È lui, l’uomo dell’ombra, a orchestrare nel 2003 la rovina di Mikhail Khodorkovskij, l’uomo più ricco del Paese, il petroliere che pensava di poter siglare accordi con le grandi aziende petrolifere americane, accusato di frode ed evasione fiscale, imprigionato, spogliato delle proprietà e infine espulso dalla Russia…

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Accendere le fiamme: come l’Unione Europea sta alimentando una nuova corsa agli armamenti

 

Nel momento in cui scriviamo, nel marzo 2022, una guerra è scoppiata nell’Europa dell’est in seguito all’invasione illegale dell’Ucraina da parte delle truppe russe. Verso la fine del 2021 i disordini nei Balcani hanno raggiunto il punto di ebollizione. Le tensioni nel Mar Cinese Meridionale continuano a ribollire e minacciano la stabilità regionale e globale. Le guerre e la violenza continuano in Afghanistan, Iraq, Sahel, Siria e Yemen. Molte tra le nazioni più potenti del mondo stanno facendo “tintinnare le sciabole”, arruolando e schierando truppe, accumulando merci militari e preparandosi attivamente alla guerra. L’Unione europea (UE) non è si sta comportando diversamente. In direzione contraria rispetto al proprio principio fondatore di promozione della pace, anch’essa ha intrapreso un percorso per affermarsi come potenza militare globale. La storia però ha dimostrato che, lungi dal contribuire alla stabilità e alla pace, il militarismo alimenta solo tensione, instabilità, distruzione e devastazione.

In un “momento spartiacque”, in risposta alla guerra in Ucraina, l’UE ha annunciato che avrebbe, per la prima volta, finanziato e fornito armi letali a un Paese sotto attacco nell’ambito della European Peace Facility (il cosiddetto fondo strutturale per le Pace). Anche se questa mossa è senza precedenti, non è inaspettata. L’UE si sta ritagliando un percorso militarista da alcuni anni. La tendenza può essere fatta risalire all’entrata in vigore del trattato di Lisbona nel 2009, che fornisce la base giuridica per creare una politica di sicurezza e difesa comune. Meno di un decennio dopo, l’UE, dando inizio ad una nuova fase, ha creato linee di bilancio che avrebbero specificamente assegnato finanziamenti a progetti militari. Questa decisione di cambiare rotta ha portato saldamente l’UE su un percorso nuovo e profondamente preoccupante dove i problemi politici e sociali vengono affrontati non attraverso il dialogo e la diplomazia, ma attraverso la guerra e il militarismo.

Il Fondo Europeo per la Difesa (European Defence Fund EDF 2021-2027) ha un budget senza precedenti di 8 miliardi di euro per la ricerca e lo sviluppo di sistemi militari. È troppo presto per analizzare l’impatto del FES, che è ancora in fase di lancio, quindi questa ricerca guarda ai suoi due programmi precursori: l’Azione preparatoria per la ricerca sulla difesa (PADR 2017-2019) con un budget di 90 milioni di euro per finanziare la ricerca sulla difesa, e il Programma europeo di sviluppo industriale della difesa (EDIDP 2019-2020) con un budget di 500 milioni di euro per finanziare lo sviluppo di attrezzature e tecnologie di difesa. Come risultato di queste linee di bilancio, quasi 600 milioni di euro di denaro pubblico europeo sono stati concessi a società private profittevoli che commerciano in armi e tecnologie militari, così come a centri di ricerca privati tra gli altri beneficiari. Questi progetti pilota evidenziano tendenze profondamente preoccupanti per quanto riguarda il militarismo spinto dall’Europa che se verrà replicato nell’ambito del l’EDF, con un bilancio totale che è 13,6 volte quello dei programmi precursori, potrebbe portare a risultati potenzialmente catastrofici. Aumentando i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo militare di un enorme 1250% da un ciclo di bilancio all’altro, l’UE è ora sempre più intenzionata a investire nella guerra piuttosto che nella costruzione o nel mantenimento della pace…

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scrive Vincenzo Costa

Tutto quello che si poteva dire lo si è detto. Ora tutta la questione è se gli italiani vogliono riappropriarsi della loro vita e del loro destino o se preferiscono essere sacrificati sull’altare dei valori, che in realtà sono interessi di altri paesi, e pagare di persona scelte scellerate e dissennate.

Non servono più analisi. I popoli sono come i giovani: se cerchi di evitar loro di sbattere la testa ti odiano. Devono fare le loro esperienze.

Questa esperienza forse gli italiani devono farla. Non gliela si può evitare.

La cultura progressista, politicamente il PD e Italia viva, ha egemonia accademica, nei giornali, ovunque.

È una cultura totalitaria, intollerante, illiberale. Non è socialista ma non è neanche liberale nel senso nobile di un Mill, di un Tocqueville, di Gobetti, di Berlin e della sua apologia del pluralismo.

È una cultura fanatica, che identifica se stessa con la verità, con il bene, che crede di avere l’esclusiva della ragione, del sapere, della competenza. Ma è dominante, ha forza politica.

Vediamo dove porta il paese. Io credo al disastro.

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Crimini di guerra e criminali impuniti – Enrico Campofreda

 

Non c’è pace senza giustizia sostenevano la rete radicale e trecento Ong che peroravano l’intervento delle Nazioni Unite per creare tribunali che esaminassero i sanguinosi conflitti in Ruanda e nell’ex Jugoslavia, punendo i responsabili. Sappiamo com’è andata. Il Tribunale per il Ruanda, sorto nel 1994, ha condannato all’ergastolo sia Jean-Paul Akayesu, sindaco di Taba, per massacri e stupri subìti dall’etnìa Tutsi, sia Jean Kambanda, direttore delle Banche del Ruanda per partecipazione a genocidio e massacro. Seguì una sfilza d’ulteriori imputati e ricercati. La Corte per l’ex Jugoslavia, istituita nel 1993, ha chiuso il processo di primo grado nel 2008, quello di secondo due anni dopo. Fra gli accusati più noti il presidente serbo Milošević morì d’infarto mentre era detenuto, al capo dei serbo-bosniaci Karadžić e al comandante dell’esercito serbo-bosniaco Mladić vennero inflitti due ergastoli.  Quegli organismi sono divenuti i pilastri della Corte Penale Internazionale istituita nel 2002 con sede all’Aja, cui si fa riferimento per indagini e punizioni per reati di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. A supportarlo lo Statuto di Roma stipulato nel 1998, sottoscritto nel 2017 da 123 Paesi, più 32 firmatari senza ratifica ufficiale. Fra questi Stati Uniti, Russia e Cina, tre potenze globali. Condannare Putin può essere cosa buona e giusta non solo per le bombe e la morte seminata in tre settimane sul territorio ucraino, ma per l’ondata mortifera lanciata in epoche precedenti in vari luoghi: Cecenia, Georgia, Siria, Libia…

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A Mariupol c’è il mare – Doriana Goracci

 

E dire che qui c’era anche un centro balneare malgrado tutto e per tutto, intendo i veleni delle fabbriche: “..in termini di emissioni di sostanze nocive industriali, Mariupol non compete con nessun’altra città ucraina: se gli impianti metallurgici Azovstal’ e Illič, ubicati a pochi passi dal centro cittadino, sono gli indubbi responsabili dell’inquinamento dell’aria, anche il porto, ai margini di cui spunta una miniera che cade letteralmente sul mare, sa il fatto suo: navi con carichi ricchi di zolfo, pece di carbone e altri tipi di minerali entrano nelle acque portuali non sempre soddisfacendo i requisiti ambientali della legislazione e attraccando a pochi metri dalla spiaggia di Pesčaniy, tuttora popolare tra i cittadini e i turisti per la sua posizione centrale”.

 

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Caccia alle streghe in Ucraina contro giornalisti, attivisti e politici di sinistra – Oleg Yasinsky

 

In questi giorni in Ucraina molti autori preferiscono rimanere anonimi. Alcuni di loro ci hanno fatto arrivare le seguenti storie:

Il 19 marzo uno dei giornalisti più noti e popolari in Ucraina è stato arrestato dagli agenti del Servizio di Sicurezza. Purtroppo, la situazione drammatica del paese viene usata per “ripulirlo” dagli oppositori, in aperta violazione di tutte le procedure legali e giuridiche.

Yuriy Tkachev è un giornalista di Odessa, caporedattore della rivista online https://timer-odessa.net/.

È sempre stato molto critico nei confronti del precedente e anche dell’attuale governo ucraino per le sue politiche dopo le proteste della Maidan, dopo il “massacro di Odessa del 2 maggio 2014” a opera di estremisti di destra e i “cecchini della Maidan”; le indagini al riguardo sono state bloccate, rinviate per molti anni e non sono ancora concluse.

Tkachev era nel suo appartamento a Odessa quando verso le 7 del mattino è stato arrestato dagli agenti del Servizio di Sicurezza (SBU in ucraino), che durante la perquisizione, secondo quanto riferito dalla moglie, hanno trovato nel bagno “un esplosivo e una bomba a mano”.

L’ultimo messaggio di Yuriy Tkachev, poco prima di aprire la porta agli agenti dell’SBU, alle 6:34 sul suo gruppo Telegram personale, recita: “Sono venuti a prendermi, è stato un piacere parlare”.

Yuriy Tkachev, giornalista di Odessa arrestato dal Servizio di Sicurezza (Foto di Facebook)

 

I fatti sono stati pubblicati per la prima volta dall’attivista per i diritti umani Oksana Chelyasheva: https://www.facebook.com/profile.php?id=100008135108849.

Il post su Facebook recita: “Importante! Tutte le affermazioni secondo cui Yuriy Tkachev ha aperto un nuovo canale su Telegram dopo il suo presunto rilascio dall’SBU sono false. Sono riuscita a contattare la moglie di Yuriy, Oksana. Ha raccontato che l’SBU lo sta interrogando e lei non ha avuto la possibilità di entrare negli account del marito, perché tutti i computer e i telefoni cellulari erano nelle mani degli agenti. L’avvocato non ha il permesso di vedere Yuriy. Oksana ha detto che hanno davvero bisogno di sostegno per far conoscere l’accaduto”.

Secondo il suo racconto, Yuriy ha aperto la porta dell’appartamento e non ha opposto alcuna resistenza. Nonostante questo, la SBU lo ha trascinato fuori in corridoio, stendendolo a faccia in giù. Oksana ha dovuto lasciare l’appartamento senza subire violenza.

Oksana sostiene che attraverso la porta d’ingresso rimasta aperta ha visto uno degli ufficiali dell’SBU entrare nel bagno, dove è rimasto per diversi minuti, per poi sostenere di avervi “scoperto” una “granata e una bomba al tritolo”.

Dopo che quest’uomo è uscito dal bagno, gli agenti dell’SBU hanno riportato Yuriy e Oksana nell’appartamento, dove è iniziata la perquisizione. Allo stesso tempo, hanno costretto Yuriy a togliersi i vestiti, permettendogli di rivestirsi solo prima di portarlo via.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, i rappresentanti della destra e del nazionalismo, tra cui diversi noti intellettuali, hanno iniziato a invocare la violenza e persino l’omicidio di coloro che sostenevano pubblicamente gli accordi di Minsk, coloro che protestavano contro la “de-comunistizzazione” (la politica ufficiale dello Stato ucraino per cancellare ogni traccia di ideologia comunista nel paese) e la soluzione politica del conflitto nel Donbass. I primi obiettivi degli attacchi sono stati i gruppi di sinistra.

Sono apparse delle liste nere e alcuni “attivisti di sinistra” hanno iniziato a collaborare alla compilazione di liste di esponenti della “sinistra sbagliata”.

Il 3 marzo, nella città di Dnepr (ex Dnepropetrovsk, da cui la parte “Petrovsk” è stata rimossa anni fa come “russa”, in quanto si riferisce storicamente allo zar Pietro il Grande), i membri dell’SBU con la partecipazione dei neonazisti del gruppo paramilitare Azov hanno arrestato l’attivista dell’organizzazione di sinistra Livytsia Aleksandr Matiushenko. È stato accusato ai sensi dell’articolo 437 del codice penale di “partecipazione alla guerra aggressiva”. Poiché i tribunali al momento non funzionano, il procuratore ha deciso di trattenerlo per 30 giorni senza processo. I dettagli del caso legale non sono noti, perché la SBU li comunica solo all’avvocato. La maggior parte degli avvocati si rifiuta di difenderlo, per non venire accusata di essere un “agente del nemico” o chiede un onorario di 3.000 dollari, una somma molto alta per l’Ucraina di oggi.

Lo stesso giorno a Dnepr altre 12 persone sono state arrestate con accuse simili. Il 4 marzo sono state arrestate 14 persone e il 5 marzo 11.

A Kiev, gli arresti sono iniziati ancora prima. Il 27 febbraio sono stati arrestati i fratelli Mikhail e Aleksandr Kononovich, leader della Gioventù Comunista Ucraina, etnicamente bielorussi. Non si sa dove siano e di cosa siano accusati. Tutte le comunicazioni con loro sono state interrotte.

Il 4 marzo è scomparso Vladimir Ivanov, un attivista di sinistra della città di Zaporozhie. Non si sa dove si trovi e il suo account Telegram contiene post che chiaramente non sono suoi.

Vengono arrestati oppositori politici, rappresentanti della Chiesa che hanno lottato per la pace in tutti questi anni e chiunque abbia opinioni critiche.

Il 4 marzo nella città di Lutsk l’SBU ha arrestato Oleg Smetanin, violinista della filarmonica regionale Volyñ, accusandolo di aver passato alla Russia informazioni sull’aeroporto di Lutsk.

Il 7 marzo a Kiev sono stati arrestati il noto giornalista Dmitry Dzhanguirov, membro del partito “Novyi Sotcialism” (“Nuovo socialismo”), Vasily Volga, ex leader dell’Unione delle forze di sinistra, il giornalista Yury Dudkiny e lo scrittore Aleksandr Karevin, che ha scritto sulla sua pagina FB: “L’SBU è arrivato”. Sulla pagina Facebook di Dzhanguirov è comparso un video, in cui probabilmente sotto tortura dice cose che non affermerebbe mai. Non si sa dove si trovino e di cosa siano accusati. Non si sa nemmeno dove siano i difensori dei diritti umani del mondo.

Il 9 marzo, vicino alla città di Khmelnitsk, Oleg Pankartiev, assistente di un deputato del partito di opposizione “OPZZH (Piattaforma di opposizione per la vita)”, è stato arrestato e brutalmente picchiato ed è ancora detenuto dall’SBU.

Il 10 marzo a Kiev, Dmitry Skvortsov, un attivista per la pace della Chiesa ortodossa ucraina, è stato arrestato ed è riuscito solo a scrivere su internet che l’SBU era venuto a prenderlo. Lo stesso giorno, a Kiev, è stato arrestato il poeta settantenne Yan Taksiur, che nel suo programma sul canale youtube “Pervuy Kazatskuy”, denunciava la persecuzione politica della Chiesa ortodossa ucraina da parte del governo. Non si sa dove si trovino e di cosa siano accusati.

L’11 marzo è scomparso a Kharkov l’attivista di sinistra Spartak Golovachiov. L’ultima cosa che è riuscito a scrivere sui social media è stata: “Uomini armati in uniforme ucraina stanno sfondando la mia porta. Addio.” I combattimenti continuano, ma la maggior parte della città rimane sotto il controllo ucraino.

Sempre l’11 marzo a Odessa, l’SBU ha arrestato Elena Viacheslavova, la figlia di Mikhail Viacheslavov, bruciato vivo dai nazisti il 2 maggio 2014 nella Casa dei sindacati di Odessa.

Si sono perse le tracce anche di diversi membri dei partiti di sinistra “Novyi Sotcialism” (“Nuovo Socialismo”) e “Derzhava” (“Potere”). Hanno smesso di rispondere alle chiamate e sono scomparsi dalle reti. È possibile che si nascondano o che siano già detenuti.

Il 12 marzo l’SBU ha arrestato Elena Lysenko, la moglie del volontario di Donetsk Andrey Lysenko. Il 13 marzo è stata rilasciata, ma dopo essere stata costretta a registrare un video in cui calunniava il marito.

Il 13 marzo in un villaggio vicino a Odessa i nazionalisti hanno bruciato la casa di Dmitry Lazarev, un attivista di sinistra.

Il 15 marzo l’SBU ha arrestato e picchiato Artiom Khazan, un rappresentante del partito Shariy nella città di Alessandria della regione di Kirovograd. Il giorno dopo sui social network è apparso un video in cui Khazan calunniava il presidente del partito Anatoli Shariy. Non si sa dove si trovi attualmente Artiom Khazan.

Il 16 marzo nel villaggio di Tomashevka, nella regione di Kiev, un commando armato ha rapito Guennady Batenko, un prete della Chiesa ortodossa ucraina, che il giorno dopo è stato rilasciato dall’SBU.

Il 19 marzo nella città di Krivoi Rog i militari ucraini hanno arrestato a casa sua Yury Bobchenko, presidente del sindacato degli operai e minatori ucraini dell’azienda Arcelor Mittal Krivoi Rog, che appartiene a una multinazionale.

Queste notizie sono ancora incomplete. Nel mezzo della guerra e con il potere assoluto di molti gruppi armati nel paese, è assai difficile raccogliere informazioni e documentazioni su tutti questi orrori. Non sappiamo se ci sono decine o addirittura centinaia di detenuti, ma è chiaro che con ogni nuovo giorno di guerra la repressione contro dissidenti, pacifisti e attivisti di sinistra continuerà a crescere. I media mostrano la loro solita, complice indifferenza. È necessaria una campagna urgente di solidarietà globale.

Violando la Costituzione, il 20 marzo il presidente Volodymyr Zelensky ha bandito tutti i partiti politici di sinistra e di opposizione:

– “Oppozitsion naya platform azazhizñ (Piattaforma dell’opposizione per la vita)”.

– Partiya Sharia (Partito Shariy)”.

– Nashi (I nostri)”.

– Oppozitsionny iblok (Blocco dell’opposizione)”.

– Levaya oppozitsia (Opposizione di sinistra)”.

– Soyuzlevykh sil (Unione delle forze della sinistra)”.

– Derzhava (Potere)”.

– Progressivanaya sotsialisticheskaya partiya Ukrainy (Partito socialista progressista dell’Ucraina)”.

– Sotsialisticheskaya partiya Ukrainy (Partito socialista dell’Ucraina)”.

– Partiya Sotsialisty (Partito dei socialisti)”.

– Blok Vladimira Saldo (Blocco Vladimir Saldo)”.

Il motivo ufficiale di questa proibizione riguarda i “contatti con la Federazione Russa”. Come se ci fosse qualcuno in Ucraina senza contatti in Russia!

Come parte della politica di guerra, il 20 marzo le medicine bielorusse sono state ufficialmente vietate. Il governo ucraino sta conducendo da anni una guerra contro i malati e i pensionati e ora sembra che stia finalmente per vincere…

Agli abitanti della regione di Kiev è stato vietato di andare nei boschi senza permessi speciali. Non è chiaro se il motivo sia impedirgli di combattere da soli contro i russi, di formare nuovi gruppi di guerriglia con un orientamento politico imprevedibile, di scappare dalle loro case per i bombardamenti e/o per evitare la coscrizione obbligatoria per andare a combattere per gli interessi della NATO.

Nel frattempo, sui social media ucraini stanno apparendo centinaia di video che mostrano in diverse parti del paese persone affamate e stressate intente a sfogare la loro rabbia e frustrazione su ladri, presunti tali o aspiranti tali di entrambi i sessi, legandoli a pali e alberi con i pantaloni abbassati. Al loro fianco si vedono bastoni come strumenti pronti per volenterosi carnefici. L’Ucraina, che solo poche settimane fa sembrava una Colombia d’Europa, ora con la guerra si sta trasformando rapidamente in un’Europa medievale.

(Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo)

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I grandi uomini che non fanno la storia – Mike Davis

 

L’egemonia richiede un grande disegno? In un mondo in cui oligarchi dorati, sceicchi miliardari e divinità del silicio governano il futuro umano, non dovremmo sorprenderci nello scoprire che l’avidità genera menti rettiliane. L’aspetto che mi sembra più rilevante di questi strani giorni, in cui le bombe termobariche squagliano i centri commerciali e attorno ai reattori nucleari infuriano gli incendi, è l’incapacità dei nostri attuali superuomini di esercitare il loro potere verso la produzione di una qualsiasi narrazione plausibile del prossimo futuro.

Putin si circonda di astrologi, misticismo e perversione come facevano i Romanov nell’ultima fase del loro potere. A detta di tutti è sinceramente convinto di dover salvare gli ucraini dall’Ucraina, perché il destino celeste della Rus’ possa compiersi. Il presente deve essere distrutto per trasformare in futuro un passato immaginario.

Putin non è l’archetipo di uomo forte o il mastro ingannatore ammirato da Trump, Orbán e Bolsonaro: è semplicemente un uomo spietato, impetuoso e incline al panico. Le persone nelle strade di Kiev e Mosca che hanno irriso la minaccia finché i missili non hanno iniziato a cadere sulle città ucraine hanno dimostrato ingenuità soltanto nel pensare che nessun leader razionale avrebbe mai potuto sacrificare l’economia russa del ventunesimo secolo per innalzare sul Dnieper il vessillo fittizio dell’aquila bicefala. Nessun leader razionale lo farebbe, è proprio questo il punto.

Sull’altra sponda dell’oceano, Biden è immerso in una seduta spiritica non-stop con Dean Acheson [il ministro degli esteri Usa durante la Seconda guerra mondiale, interventista ndt] e tutti gli altri fantasmi delle guerre fredde. La Casa Bianca è sperduta in un deserto che ha contribuito a creare. Tutti i think tank e le menti geniali che presumibilmente informano le mosse della corrente Clinton-Obama del Partito democratico si stanno rivelando rettiliani tanto quanto gli indovini del Cremlino. Non riescono a immaginare nessun altro quadro intellettuale per il declino del potere americano se non la competizione nucleare con la Russia e la Cina. Abbiamo quasi sentito il loro sospiro di sollievo quando Putin gli ha tolto il peso mentale di dover elaborare una strategia globale nell’Antropocene. Alla fine, Biden si è rivelato un guerrafondaio al potere come pensavamo sarebbe stata Hillary Clinton. Anche se ora è distratto dall’Europa dell’est, chi può dubitare della determinazione del presidente nel cercare uno scontro con Pechino nel Mar cinese meridionale, acque molto più pericolose del Mar Nero?

Nel frattempo, sembra che la Casa Bianca abbia buttato nella spazzatura il suo già debole impegno progressista. Solo una settimana dopo la pubblicazione del report più spaventoso della storia, in cui l’Ipcc ha messo nero su bianco la prossima decimazione dell’umanità, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione Biden non ha menzionato il cambiamento climatico. Del resto, come si può paragonare questo rischio all’urgenza trascendentale di ricostruire la Nato? Trayvon Martin e George Floyd sono tornati a essere solo le ennesime vittime della violenza della strada, rapidamente scomparse dallo specchietto retrovisore della limousine presidenziale che porta Biden in giro per l’America a rassicurare i poliziotti della sua imperitura amicizia…

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scrive Maurizio Acerbo

L’Italia non sta facendo una politica di pace. Il ministro Guerini non mi rappresenta. Non sono solidale con gli esponenti di questo governo che ha schierato l’Italia con i falchi USA e GB, insieme a polacchi e cechi, invece di svolgere il ruolo di pace che la Costituzione assegna al nostro paese. La condanna dell’invasione russa è scontata ma l’Italia non doveva unirsi a quelli che gettano benzina sul fuoco con l’invio delle armi e la russofobia più becera che dilaga sui media e nelle dichiarazioni. La nostra storia di buone relazioni con la Russia avrebbe consentito un ruolo internazionale diverso, più utile a tenere aperto un canale di comunicazione con Mosca e uno spazio di mediazione. Invece Draghi ha deciso di non accettare l’invito di Putin e un ministro degli esteri ridicolo ha definito il presidente russo “un animale”. Purtroppo il nostro governo è dominato dall’ansia, tipica della classe dirigente di una colonia, di accreditarsi a Washington.

Purtroppo ci tocca ricordare con nostalgia i tempi in cui l’Italia era capace di una politica estera autonoma.

 

Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

 

 

 

 

Lo Strabismo ipocrita della doppia morale occidentale – Michele Zizzari

 

Siamo alle solite. Citando qualcun altro: se aiuti un povero sei un bravo cristiano, ma se ti chiedi perché esiste la povertà sei un pericoloso comunista. Così ora: se condanni la guerra sei un buon cristiano e un pacifista, ma se ti chiedi perché e come si è arrivati alla guerra e cerchi di capire se e come la si poteva evitare per non ripetere in futuro gli stessi errori del passato, torni ad essere un pericoloso comunista, anzi ancora peggio, un “putiniano”.

Chi sa quando la smetteremo con questo strabismo ipocrita

Questo è lo stato del dibattito sulla guerra in Ucraina (come del resto su tutte le altre) sui media, in tivù e sui social. Dove chiunque provi a comprendere le cause e la complessità degli eventi e ad analizzarli da più e diversi punti di vista per approfondirne le dinamiche (oltre che a registrarli soltanto per come si presentano ai più nel momento della loro immediata, drammatica e virulenta manifestazione) viene sistematicamente zittito, censurato, artatamente equivocato e accusato di ogni assurdità, fino a essere messo all’indice come un nemico della verità, naturalmente quasi sempre di quella più appariscente e superficiale, condizionata dallo stato emotivo generale e dall’informazione massiva che più fa comodo agli schieramenti geopolitici assunti a livello nazionale e internazionale dai paesi occidentali, cioè di quella verità che non ammette domande, dubbi, critica, autocritica o analisi ulteriori, insomma quella più facile da far passare e da far digerire all’opinione pubblica del cosiddetto mondo civilizzato, incessantemente bombardata e (anche se umanamente e giustamente) impressionata da notizie drammatiche e immagini cruente.

Ma lo strabismo ipocrita è in agguato, perché se le notizie drammatiche e le immagini cruente sono di profughi provenienti dalle più disparate e martoriate terre africane, di migranti torturati o annegati, bambini palestinesi trucidati, anziane donne irachene col velo che piangono i loro figli saltati in pezzi sulle nostre mine o schiacciati dalle macerie o di popoli che ci procurano quel non so che di fastidio (forse razzista?) e via di questo passo, anch’essi massacrati, ma dalle nostre invasioni di altri paesi sovrani (queste mai sanzionate, e se ne può fare un elenco lunghissimo), dai nostri bombardamenti (questi sì intelligenti e mai criminali), dalle nostre guerre (queste sempre sante e giuste, se non addirittura umanitarie) e dalla disperazione e dalla miseria più nera che ne segue… sembra che l’impressione, l’umana pietà, la sollecitudine verso l’altro, lo spirito d’accoglienza e di solidarietà (ovviamente non parlo di tutti, perché per fortuna c’è chi conserva la medesima umanità nei confronti di tutti quelli che soffrono) siano decisamente minori…

Speriamo che non sia per razzismo o per il fatto che quelle guerre siano state mosse dall’Occidente. Obbligatoria quindi una riflessione anche sull’emergenza umanitaria prodotta da questa guerra e sui profughi ucraini, cui in ogni modo bisogna dare tutto l’aiuto possibile, non certo in armi, ma per dare loro umanamente una mano e liberarli dalla guerra.

Ma anche qui l’Europa mostra tutta la usa ipocrisia e il suo strabismo umanitario, che soccorre gli uni mentre continua a lasciar morire gli altri, di bombe, di sete, di fame, di tortura, d’annegamento e malattie. Come se questi altri non scappassero anch’essi dall’orrore della guerra, dalle persecuzioni, dalla miseria e dalle umani degenerazioni che le guerre producono. Come se non fossero bambini, donne e civili anche loro, e per di più messi peggio di tutti, con meno diritti di tutti, senza alcuna capacità di sussistenza e senza poter neppure sperare nell’altrui solidarietà.

Ma se lo fai notare, fai dietrologia, e lo fai per giustificare le atrocità ora di Putin, come ieri quelle di Saddam, di Gheddafi, di Bin Laden e così via.

Insomma, non ci si può permettere di prendere in esame altri punti di vista senza essere insultati o tacciati di giustificazionismo. Non puoi cercare di capire perché e come possano nascere certi fenomeni storici, sociali e politici (come il terrorismo ad esempio, su cui è assolutamente vietato interrogarsi), né il perché certi popoli siano così diffidenti e prevenuti e ce l’abbiano così tanto con l’Occidente.

La tecnica della censura democratica è ampiamente e lungamente sperimentata (già a partire dalle tribune politiche e dalle interviste dei primi anni della televisione nei talk show di ogni tipo, e non solo; come ad esempio quelle fatte a personaggi scomodi come Pier Paolo Pasolini e più in generale agli esponenti politici di sinistra. La tecnica oggi è più o meno la stessa.

Il presentatore di turno o il moderatore (si fa per dire, ormai fomentatore di risse verbali) introduce la voce fuori dal coro con atteggiamenti e sorrisini capziosi e non appena apre bocca scatta la trappola, o meglio l’agguato. L’invitato viene ripetutamente interrotto con obiezioni (spesso fuori luogo e irridenti) che screditano sul nascere la sua persona e le sue idee, per impedire che possa articolare un qualunque ragionamento, fino a sommergerlo di altre voci gridanti, offese e accuse del tutto infondate, spesso deliranti, di quelle che fanno facile breccia e che stimolano l’immaginario collettivo e i luoghi comuni tipici del populismo e dell’ascoltatore medio occidentale, il più delle volte male e poco informato, o informato a senso unico.

Se poi talora viene concesso il diritto di replica, al dissidente viene subito tolta democraticamente la parola, affermando che ha già spiegato il suo pensiero (anche se non ha avuto modo di parlare) passandola ai più numerosi sbraitanti, allineati e conformi improvvisati esperti di tutto, o mandando la pubblicità, che (questa sì) non si arresta neppure davanti alle bombe.

Una censura democratica del pensiero critico ormai divenuta di massa con l’avvento dei social.

Sento ad esempio argomentazioni secondo le quali l’Ucraina avrebbe l’incondizionato diritto di chiedere e di far parte della Nato in base al principio dell’autodeterminazione dei popoli. Un principio che dovrebbe valere universalmente per tutti, a quanto si dice, indipendentemente da ogni altra considerazione. Se così fosse quindi, in base allo stesso principio, qualsiasi paese del mondo potrebbe aderire alla Nato di diritto. Potrebbe chiederlo perfino la Palestina, se solo gli fosse riconosciuta l’esistenza. Ma come tutti ben sanno non è affatto così. Perché ci sono paesi che possono e paesi che no. Per esempio alla Russia che chiese di farne parte si disse di no.

Dunque il principio dell’autodeterminazione dei popoli non vale per tutti.

Verrebbe da chiedere: perché mai l’Ucraina avrebbe questo diritto e altri no?

Come tutti ben sanno, a decidere chi ne ha diritto e chi no è l’organo direttivo della Nato, e cioè gli Stati Uniti d’America, che continuano ad usare la Nato come proprio strumento di espansione, di condizionamento e di dominio geopolitico. Entrano solo i paesi che aderiscono agli interessi USA, questo è il criterio. Ma questa è una di quelle verità che ormai non si possono più dire, senza passare per un “putiniano”.

Eppure – accettando pure di voler ragionare secondo una logica militare e di realpolitik – con la Russia nella Nato (che per me andrebbe invece dismessa o trasformata in un organismo internazionale di pace) si sarebbe forse potuto inaugurare un clima di distensione e superare la contrapposizione tra i blocchi. Un superamento che in realtà gli USA non hanno mai voluto operare, anche di fronte alla buona volontà della Russia che aveva unilateralmente avviato il disarmo e dato l’indipendenza a quasi venti paesi dell’ex area sovietica.

C’è poi da considerare che la Nato non è un’associazione ricreativa cui si aderisce a cuor leggero come a una bocciofila, ma un’alleanza militare con obiettivi ben definiti, con tanto di basi militari, armi (anche atomiche) e postazioni missilistiche; per di più a trazione USA (che nella storia – come e più della Russia – sono di fatto una potenza imperialista e colonizzatrice).

Un’alleanza che incide sugli equilibri, sui rapporti di forza e sulle relazioni internazionali.

Aderirvi è schierarsi militarmente, scegliere un “fronte”, “prendere posto in trincea” nel vero senso della parola, ed è quindi sempre un’azione di guerra e una minaccia armata diretta contro qualcun altro. Chi lo nega lo fa ipocritamente e deliberatamente per interesse di parte. L’esercito sempre più numeroso di esperti osservatori che passano sui media da una programma all’altro dovrebbero saperlo. E contro chi è schierata la Nato, se non contro la Russia? Come potrebbero o dovrebbero interpretare questa cosa i paesi sotto bersaglio se non come una minaccia?

O si vuol credere che quelle basi e quei missili siano lì, distribuiti per l’Est europeo e non solo, per gli alieni o per intercettare le meteore che dovessero cadere da quelle parti?

Far entrare nella Nato quasi tutti i paesi dell’ex area sovietica è stata una mossa strategica voluta dagli USA nel loro risiko geopolitico. Ma è anche stato un enorme errore (avallato con sconsiderata leggerezza anche dall’Europa) e insieme una mossa azzardata, una sciagurata provocazione che ci hanno progressivamente portato sull’orlo di una crisi nucleare.

E lo si sapeva benissimo. Illudere l’Ucraina e gli ucraini della possibilità di entrare nella Nato è stato il punto di rottura che ha portato allo scontro aperto, solo l’ultimo episodio di una guerra non dichiarata che l’Occidente capitanato dagli USA ha continuato a perseguire e muovere contro la Russia senza interruzioni, dalla guerra fredda a oggi.

Putin è senz’altro un despota al vertice di un regime antidemocratico, ma nei fatti le sue richieste sono solo una piccola parte di quello che già chiedeva Gorbaciov agli USA in cambio del disgelo, e cioè che nessun paese dell’ex Unione Sovietica entrasse a far parte della Nato. Quindi non si comprende neanche un po’ la meraviglia e il cieco rifiuto verso le attuali richieste di Putin, divenuto il mostro di turno da abbattere (la Cina può attendere ancora un po’), il Diavolo fattosi carne, anzi la reincarnazione del comunista che bombarda e mangia i bambini, mentre quando i bambini del resto del mondo li abbiamo bombardati e li bombardiamo noi, lo facevamo e lo facciamo in nome della democrazia e della civiltà, pensando che questa giustificazione basti a lavare la nostra coscienza agli occhi del mondo.

Certo, Putin è un criminale, ma non credo che i governi d’Occidente siano da meno, perché hanno invaso a iosa paesi sovrani in tutti i continenti, fatto guerre, bombardato e massacrato civili inermi per il mondo intero, in misura e quantità sproporzionate.

Abbiamo anche noi le mani gocciolanti di sangue, e ne abbiamo sparso molto di più.

E per motivazioni ignobili, per rapinare e saccheggiare le risorse degli altri, gas, petrolio, oro, diamanti, silicio, coltan e altri minerali strategici, acqua, foreste, campagne e territori per le  coltivazioni e gli allevamenti intensivi delle multinazionali occidentali e chi sa per cosa altro ancora; procurando catastrofi umane, sociali, politiche e ambientali su scala globale. Basta vedere i numeri dei morti, dei profughi e dell’impoverimento causati dal colonialismo occidentale.

Per non parlare di tutti i governi di stati sovrani, molti dei quali legittimi e democratici, che sono stati capovolti con l’intervento diretto dei corpi speciali della Cia e del Pentagono, che sono intervenuti ovunque nel mondo per indirizzare a proprio favore la politica nazionale di quei paesi, come anche in Europa (vedi Grecia dei colonnelli e non solo) e perfino in Italia, dove l’avanzata delle sinistre è stata bloccata con la strategia della tensione, con le bombe nelle piazze e sui treni, con omicidi mirati, prove generali di colpo di stato, tutto ben coordinato tra organizzazioni militari segrete come Gladio, corpi e servizi deviati dello Stato sotto le direttive della Cia e del Pentagono, mafie e terroristi fascisti e neonazisti. Perché quindi negare o meravigliarsi così tanto del colpo di stato del 2014 in Ucraina, messo a segno ancora una volta con la partecipazione di consiglieri di guerra USA e milizie neonaziste? La differenza è che gli USA (che con le loro guerre hanno fatto da soli oltre 20 milioni di morti nel mondo), la Nato e i Paesi d’Europa non vengono né sanzionati né accusati né condannati come criminali di guerra, anche quando lo fanno in sfregio al diritto internazionale e alle risoluzioni dell’Onu, come l’impunito e intoccabile Stato d’Israele che – disattendendo a decine di risoluzioni dell’Onu, occupa militarmente da 70 anni territori sovrani, continuando ad espandere la sua occupazione e operando un lento genocidio nei confronti del popolo palestinese.  Come nessuno ha accusato o sanzionato gli Usa per le sue decine e decine di aggressioni, invasioni e occupazioni militari di altrettanti stati sovrani e per i massacri compiuti in Corea, Vietnam, Grenada, in Centro e Sud America, in Africa, Somalia, ex Yugoslavia, Iraq, Libia, Siria, eccetera, eccetera. Questo l’ipocrita strabismo occidentale sul tema del diritto internazionale e della somministrazione selettiva delle sanzioni.

Come poi non vedere come una conseguenza più che sospetta (forse cercata, preventivata?) l’interruzione dei rapporti commerciali con la Russia, che dà così agli USA l’occasione di vendere e piazzare in Europa (legandosela meglio al guinzaglio) e nel mondo, ancora più armi, il loro gas, il loro petrolio, la loro carne, il loro grano e i loro cereali transgenici (o dei paesi e dei governi loro amici), magari chiedendo a Bolsonaro di radere al suolo l’intera Amazzonia.

Non abbiamo alcuna autorità morale per accusare e condannare l’altra parte del mondo, perciò faremmo meglio ad avere un atteggiamento più umile e smetterla di continuare a ergerci come il Capo della Corte Suprema del Bene e del Giudizio Universale.

Meglio chiedere scusa per tutto il male compiuto e cominciare a lavorare per davvero per la pace e la distensione, riconoscendo le nostre responsabilità e riparando agli errori, perché USA, Nato ed Europa sono i massimi responsabili dell’instabilità politica mondiale, e lo sono da tempo.

Altra evidente contraddizione delle argomentazioni portate nell’attuale dibattito è sostenere che affermare l’inopportunità geopolitica dell’entrata dell’Ucraina nella Nato apparterrebbe a una visione “coloniale” della questione, come se aderire al consesso dei colonizzati di un’altra potenza colonizzatrice non lo fosse. L’unica scelta possibile coerentemente “non coloniale” sarebbe invece la neutralità, che avrebbe potuto consentire all’Ucraina di svolgere un ruolo ben più determinante, da protagonista, quella di assumere una funzione di ponte e di dialogo, oltre che di poter fare affari con entrambe le parti. Una funzione che avrebbe assicurato la pace e la prosperità al popolo ucraino, e che avrebbe anche potuto avviare, attraverso lo sviluppo di buone relazioni di vicinanza, di amicizia e di scambio, un processo di democratizzazione anche in Russia.

Altra cosa che mi ha colpito è che qualche esperto considera l’adesione alla Nato dei paesi dell’Est europeo come un viatico per un processo di transizione verso la realizzazione di democrazie compiute in quei paesi. Peccato che diversi paesi che vi hanno aderito (come Polonia, Ungheria e altri, anche del continente russo-asiatico, Turchia compresa) abbiano al contrario avuto un’involuzione tutt’altro che democratica, anzi segnatamente populista, ultranazionalista e autoritaria, e per di più con preoccupanti rigurgiti neonazisti e di razzismo. Per non parlare che in queste considerazioni ritorna in mente un ritornello già sentito e smentito dai fatti, e cioè quello che si possa portare e promuovere la democrazia nel mondo con le armi, e ancora una volta con le armi della Nato. Come se queste armi non fossero ormai ben conosciute (per averle sperimentate sulla propria pelle) dai popoli di quello che consideriamo l’altro lato del mondo, come se non fossero bastate le catastrofiche esperienze già fatte.

Invece che imparare dagli errori, ho l’impressione che s’imparino gli errori per ripeterli.

Come quello di dare armi (guadagnandoci anche ovviamente) a non si sa bene chi e per quale scopo, col risultato di far durare la guerra più a lungo (guadagnandoci ancora di più) e di addestrare altri “corpi speciali” e non precisate “milizie” apertamente ispirati al nazismo, al razzismo e all’antisemitismo (vedi l’esponenziale incremento degli episodi di violenza antisemita che in Ucraina si sono avuti nell’ultimo decennio, violenze che non hanno registrato né reazioni né condanne da parte del governo ucraino). Per poi ritrovare quelle stesse armi e “milizie” e quegli stessi “corpi speciali” impiegati in altri conflitti e in altri scenari, dove la fanno da padroni governi populisti e ultranazionalisti sorretti dalla cieca violenza di esaltati assassini.

A consigliarci di ripeterli questi errori, oltre che i soliti e ben conosciuti “consiglieri di guerra” (sempre presenti laddove c’è da appiccare il fuoco, per poi nascondere l’innesco e ritirarsi nelle retrovie, magari oltreoceano, come quelli Usa hanno fatto in tutti i paesi dell’Europa dell’Est, Ucraina compresa, fin dalla caduta del muro) vi sono la nutrita e agguerrita schiera di esperti ed esperte, opinionisti, commentatori e analisti politici che proliferano come funghi a ogni occasione e che imperversano su tutti i media e a tutte le ore, sempre animati da una feroce critica unidirezionale e conformista.

Ho la netta sensazione che il governo ucraino si sia lasciato trascinare dalle forze ultranazionaliste (che già si opponevano alla pace in Donbass) e dalle promesse delle sempre attive sirene d’Occidente in una partita disastrosa, in una partita molto più grande dell’Ucraina e dei suoi stessi governanti, dilettanti allo sbaraglio, poco consapevoli delle forze in gioco, e quindi anch’essi responsabili dell’attuale situazione, responsabilità che – quasi come in una disputa infantile – vengono addebitate a un uomo solo.

Una partita giocata sulla pelle dei popoli da superpotenze contrapposte che ha trascinato nella tragedia il popolo ucraino, quello russo, l’Europa e il mondo intero, a causa delle terribili conseguenze che questa guerra sta producendo a ogni livello su scala globale: dalla crisi umanitaria a quella politica e delle relazioni internazionali, da quella energetica a quella alimentare, rischio nucleare compreso, magari per un’altra invenzione, già alimentata dai media, sull’uso di altre armi di distruzione di massa…

E pensare che Zelensky era stato eletto promettendo proprio la pace… ma come accade per lo più ovunque, una volta al governo si è facile ostaggio di chi ha e fa la voce più grossa… o facile preda d’inconfessabili mire, di chimere e pressioni… Oppure saranno state anche lì solo promesse da campagna elettorale? Come quelle di Salvini in Italia che aveva promesso di eliminare le accise sulla benzina… In Ucraina invece la benzina la si è versata sulla brace ancora ardente del già sanguinoso contenzioso con la Russia… E c’è chi ha soffiato sul fuoco dal di dentro e dal di fuori, da Oltre Manica e da Oltre Oceano…  Scellerati consigli di partner interessati a destabilizzare l’intero continente europeo, e non solo la Russia… Povero popolo ucraino, vittima sacrificale dell’assurda mischia creata dalle aspirazioni dei potentati locali e dai disegni dei grandi poteri mondiali.

Povera Europa, che per quanto si applichi, non ci riesce proprio ad avere un suo ruolo… e neppure a fare i suoi interessi, come nel Mediterraneo e in Medio Oriente, legata com’è a quegli degli USA.

Si sarebbe invece potuto e dovuto agire e trovare molto prima un accordo, a tempo debito, un’intesa tra tutti gli attori in campo, piccoli e grandi, nazionali e internazionali, sperando che tra governi criminali (USA, Russia e altri), parlandosi da criminali a criminali, ci si riesca a intendere per trovare una soluzione. Una soluzione ora assolutamente urgente, per il disastro che la guerra sta portando sul teatro di guerra e nel mondo. Purtroppo arriviamo sempre dopo, quando il peggio è già scoppiato. E questo non vale solo per la guerra, ma anche per la catastrofe ambientale che incombe, per la quale stiamo (come abbiamo fatto per la guerra, per la riduzione delle armi e delle spese militari) facendo poco e niente.

 

Post scriptum, a proposito della propaganda.

Il rampollo Rampinante di quella USA-Occidentale – quello in camicia e bretelle un po’ da dandy e un po’ da gangster che sforna un libro a settimana, che poi presenta a reti unificate (pubbliche e private) – ha già indicato nel titolo di un suo recente lavoro il prossimo bersaglio che la nostra superiore civiltà democratica deve colpire: “Fermare la Cina”.

Speriamo che – trovata un’intesa che cessi il fuoco in Ucraina – non ci si butti presto (sempre col prurito di portare democrazia e libertà in terre di spietate dittature) in un’altra crociata (purtroppo già in corso da tempo), per creare i presupposti di un’altra guerra con l’altro storico e mostruoso nemico degli USA, la Cina, cha da parte sua, alla maniera cinese, citando Il verso dell’antico poeta Hui Hong, ha fatto sapere: “Ѐ di chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”.

 

 

 

UCRAINA: PROVIAMO A RAGIONARE CON LA TESTA E NON CON LA PANCIA – Umberto Franchi

 

 

– Zelenski ha chiesto un incontro a Putin dicendo : e’ l’unica possibilità che la Russia ha per ridurre i danni causati dai propri errori … quindi e’ tempo di incontrarci per ripristinare l’integrità territoriale e la giustizia per l’Ucraina, altrimenti le perdite della Russia saranno tali , che la Russia impiegherà diverse generazioni per riprendersi;

– a questo “messaggio di pace” di Zelenski , la Russia, tramite il ministro degli esteri Lavrov, risponde : bisogna prima concordare un’intesa e dopo fare l’incontro Zalenky/Putin per sigillare l’accordo;

– Lavrov, sostiene anche che la proposta di Zelenski senza citare i possibili contenuti dell’accordo sia pur minimo, e’ sostanzialmente una minaccia ed un arroccamento , probabilmente suggerito dagli USA;

– Il capo delegazione alla trattativa l’Ucraino Podoliak , riprendendo anche la posizione della Vicepresidente Ucraina, ha sostenuto che l’Ucraina non vuole rinunciare a nessun territorio nel Donbass e in Crimea … e non e’ possibile una Ucraina neutrale perche vogliamo essere difesi dalla Nato.

– CHE FARE ?

– continuare con la guerra dove la Russia cerca di vincere utilizzando sempre più armi sofisticate e micidiali e con l’occidente che continua a mandare armi All’Ucraina affinché cerchi di invertire le sorti della guerra e vincere sulla Russia ? Cosa molto improbabile;

– continuare con le distruzioni e le morti dei militari Ucraini e Russi, nonché dei civili Ucraini ?

o invece e’ arrivato il momento affinché le parti trovino un accordo che tenga conto delle posizioni ed interessi dei due Paesi ?

QUESTI A MIO PARERE, SONO I NODI DA SCIOGLIERE :

– La Russia vuole una Ucraina neutrale perche’ non vuole armi missili atomici Nato ai propri confini e chiede anche la smilitarizzazione dell’armamento bellico inviato dagli USA negli ultimi anni. A MIO parere l’accordo dovrebbe vedere la neutralità Ucraina come l’Austria, cioè: si all’ingresso nella Unione Europea , no all’ingresso nella Nato ;.

– sui territori il Donbass potrebbe restare autonomo con l’impegno di applicare gli accordi di Minsk da parte dell’Ucraina e la Crimea ha già fatto la scelta di unirsi alla Russia nel 2014;

– per quanto riguarda la denazificazione , l’ Ucraina dovrebbe sciogliere il battaglione nazista AZOV di 1000 uomini attualmente incorporato nella guardia nazionale.

– credo che un accordo come quello sopra non sarebbe una sconfitta di nessuno, potrebbe e dovrebbe essere accettato da ambo le parti… ma fino a quando l’Occidente compreso l’Italia invierà armi , l’Ucraina Non lo accetterà.. ed andremo inesorabilmente verso l’escalation con il possibile coinvolgimento della Nato e la guerra atomica mondiale ;

– e soprattutto l’ Italia che manca sullo scacchiere della diplomazia mondiale, denunciando tutta la miseria ed incapacità diplomatiche del nostro governo… che continua ad essere succube degli USA/NATO

 

 

 

Sono tutti degli Zelensky – Alberto Capece

…si deve prendere atto che tutta la politica europea consiste nell’obbedienza alla Nato, la quale a sua volta non è che il braccio armato dell’elite nordamericana e della sua cultura distopica. Ecco perché un Parlamento che non ha voce dà credito a un uomo le cui gesta potrebbero essere testimoniate dagli abitanti di Mariupol che dopo settimane di vita come scudi umani hanno potuto finalmente lasciare la città grazie ai corridoi umanitari russi, mentre questo buffone che i nostri parlamentari sono obbligati a festeggiare perché così vuole Washington ha rifiutato qualsiasi offerta volta ad evitare un bagno di sangue. Ma in realtà andando indietro nella memoria non c’è stata una sola occasione in cui la Ue abbia cercato la pace e non si sia invece completamente accodata alla volontà della Nato, ossia del Pentagono e non abbia partecipato alla guerre finite o infine imposte da Washington. Adesso essa stessa si trova dentro il caos che non ha mai fatto nulla per evitare e ne sarà travolta, mentre i leader giocano a fare i resistenti, leggendo sul gobbo gentilmente fornito dalla Nato, perché bisogna pure avere un canovaccio per dire assurdità come le loro.

Ma tutto sommato è un bene che cadano definitivamente i veli narrativi sull’Europa, così come sui singoli Paesi che la compongono e si veda che la grande costruzione non è altro che una macchina teatrale di cui il ceto politico e dirigente in senso lato non è che il gestore in conto terzi. Solo riconoscendo i fallimenti si può tentare di riprogettare il futuro per evitare di essere senza futuro.

da qui

 

 

 

L’Avventura della Pace – Antonia Sani

 

…La parola Pace è comunemente intesa come “assenza di conflitti”, a partire dagli ambienti familiari, è l’aspirazione a una quiete senza ansie, il leopardiano “e il naufragar m’è dolce in questo mare”; è la parola più frequentemente impressa in lingua italiana e latina su tombe e monumenti funebri, sotto i quali ogni essere umano ha raggiunto la fine delle angosce, delle lotte, delle amarezze, delle travolgenti gioie della vita. Una pace passiva; è, dunque, sia trionfo dell’egoismo e dell’inerzia, ma anche esaltazione dell’altruismo e della generosità nel caso di una rinuncia pacifica all’autoreferenzialità …

Pace è talvolta una generica proclamazione del nulla. Pensiamo agli iridati tessuti di borse e valigie, alle bandiere arcobaleno pendenti dalle finestre di case e balconi al tempo della guerra in Iraq (2002-03) con al centro la scritta PACE., lasciate pian piano sbiadire prima della decisione individuale/collettiva di toglierle.

Cosa intendevano coloro che le avevano appese? Chi pensava al mito di Iride? Chi al ponte variopinto tra Dio e l’umanità?  Pace significava essere uniti nel dire NO a una guerra lontana, a indicare (ma non tutti consapevolmente) da che parte si stava; soprattutto auspicare per se stessi e i propri familiari una vita “sicura”, come se lo stendardo della pace fungesse da amuleto e potesse servire a tener lontani gli appetiti violenti, le aggressioni alla propria abitazione…

Ma “Un mondo di pace” significa anche un mondo in cui tutti/e abbiano cibo e lavoro nella giustizia sociale; a questo tendono  i gruppi di volontari, a casa nostra e nel mondo, uomini e donne, ragazzi e ragazze che impegnano la propria vita nell’educazione dei bambini, nell’assistenza agli anziani, e , in questi anni recenti, nell’accoglienza dei migranti; ma anche volontari e volontarie che si scontrano su terreni di guerra mettendo a rischio la propria vita per un sogno.

continua qui

 

(*) Mercoledì 22 Marzo alle ore 17:00 alla Facoltà di Filosofia dell’Università La Sapienza si sarebbe dovuta tenere la presentazione del Rapporto di Amnesty International sull’apartheid Israeliana in Palestina. Nonostante l’iniziativa fosse stata autorizzata dal Dipartimento di Filosofia, la sera prima l’Ateneo si è apertamente opposto alla sua realizzazione.

In solidarietà con le/gli student* della Sapienza, i giovani palestinesi e Amnesty International invitano di partecipare alle ore 17:00 alla Facoltà di Filosofia (Via Carlo Fea, 2) come da programma, contro ogni forma di oppressione.

(da qui)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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