Un muro tra Repubblica dominicana e Haiti

La decisione è stata presa dal presidente dominicano Luis Abinader all’insegna del nazionalismo anti-haitiano. Il muro, lungo 160 chilometri di confini, ha solo lo scopo di far crescere il razzismo contro gli haitiani, ritenuti da Abinader un vero e proprio capro espiatorio.

di David Lifodi

Un muro ai Caraibi. Un mese fa il presidente della Repubblica dominicana Luis Abinader ha presenziato, nella provincia di Dajabón, ai lavori per l’inizio della costruzione di un muro di 160 chilometri alla frontiera con Haiti per “bloccare l’immigrazione irregolare”.

Saranno 170 le torri di controllo lungo tutto il muro, definito dal presidente una “costruzione intelligente” per combattere le mafie, il narcotraffico e la vendita illegale di armi. Abinader, in questo caso, non ha menzionato il vero motivo relativo all’edificazione del muro, quello di trattare gli haitiani come il capro espiatorio da fermare prima che raggiungano la Repubblica dominicana. Solo Abinader, però, è convinto che entrambi i paesi beneficeranno della costruzione del muro, affidato all’impresa transnazionale tedesca Dermalog. Non a caso, dopo le dichiarazioni di rito all’insegna della fratellanza tra i due paesi, il presidente ha ribadito che la Repubblica dominicana raddoppierà i suoi sforzi per proteggere le proprie frontiere.

Le torri di vigilanza, alte quasi 4 metri, insieme allo spazio per il controllo delle pattuglie, saranno dotate anche di un sistema di controllo biometrico per le persone che entreranno regolarmente nel paese per un investimento di circa 31 milioni di dollari, solo per i 54 chilometri iniziali del muro.

Il muro finirà inevitabilmente per dividere migliaia di famiglie, ma Abinader ha dichiarato che la Repubblica dominicana “non può farsi carico della crisi politica ed economica di Haiti, né risolvere il resto dei problemi di questo paese”.

Tuttavia, nonostante l’evidente tentativo del governo dominicano di soffiare sul fuoco del razzismo, a partire dal dipingere Haiti come “una minaccia”, l’antropologa dominicana Saudi García ricorda che una parte dei suoi connazionali non ha mai ceduto al nazionalismo propagandato dal presidente, come ha dimostrato, lo scorso luglio, la carovana di dominicani che ha raggiunto la frontiera per chiedere che fosse rispettata la sovranità di Haiti a seguito dell’omicidio del presidente Jovenel Moïse. La Repubblica dominicana, prosegue l’antropologa, denuncia che nel suo paese ha preso piede una “mitologia nazionale volta a creare un nemico come formula di sopravvivenza del nazionalismo”.

Del resto, le differenze tra i due paesi furono accentuate all’epoca della dittatura di Rafael Trujillo (1930-1961) che, per dividere definitivamente i due paesi creò le cosiddette Colonias de Asentamiento Agrícola, uccidendo migliaia di haitiani su quella frontiera che fino ad allora era stata un territorio fluido, nonostante le origini dei due paesi fossero ben diverse. Nel 1937 avvenne il cosiddetto Masacre de Perejil, quando Trujillo ordinò alle sue truppe di uccidere la popolazione di origine haitiana che viveva nel territorio di frontiera.

Il termine “perejil” (prezzemolo), era utilizzato dalla polizia dominicana per identificare gli haitiani di origine africana, francofona o creola, ritenuti incapaci di pronunciare la “r” secondo i canoni del castigliano.

Se da un lato, la Costituzione di Haiti propugnava l’equità in tutta l’isola di Hispaniola, i fondatori della Repubblica dominicana lo fecero per sfruttare la popolazione nera come manodopera di lavoro schiavo, e del resto proprio Trujillo dette vita alla cosiddetta dominicanización della frontiera.

Lungo i 376 chilometri che dividono Repubblica dominicana da Haiti, tuttora militarizzati all’insegna dei confini tracciati da Trujillo nel 1936, prosperano mafie e razzismo.

Alla costruzione del muro, e alle sue infrastrutture tecnologiche, collaborano Israele e Stati uniti. Wooldy Edson Louidor, docente all’Universidad Javeriana de Colombia, fa notare che esiste una storia di solidarietà tra dominicani e haitiani, nonostante le cattive relazioni tra i due governi e il tentativo, da parte dell’elite dominicana, di trasformare ancora una volta gli haitiani in capri espiatori.

Peraltro, il razzismo dominicano è paradossale poiché buona parte degli abitanti della Repubblica dominicana è anch’essa di origine afrodiscendente ed il loro paese è anch’esso terra di emigranti.

Secondo il presidente Luis Abinader il muro sarà ultimato entro due anni. La sua decisione rappresenta un evidente passo indietro rispetto ai timidi segnali di distensione degli ultimi tempi, quando il governo dominicano si era detto disponibile ad aiutare i cittadini haitiani sul proprio territorio che necessitavano di un documento di identità. Sono circa mezzo milione gli haitiani residenti nella Repubblica dominicana, il 5% dei quali è composto da indocumentados che peraltro sono utili a quella stessa elite dominicana che alimenta le peggiori pulsioni razziste del paese.

La costruzione di un muro nei Caraibi rappresenta un pessimo segnale.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • Quello che sta succedendo in Repubblica Domenicana nei confronti di tutti gli haitiani sia regolari che non è vergognoso come è vergognosa l’indifferenza del mondo intero in special modo degli Usa e della civilissima europa il presidente Abinader dovrebbe vergognarsi difronte al mondo intero

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