«Vita e natura ridotte a oggetto di rapina»

Recensione di Alberto L’Abate, con divagazioni sull’attualità, del libro «Maledetta civiltà» di Theodor Lessing

Il 7 gennaio di quest’anno, a Parigi, è avvenuto l’orribile attentato alla redazione del giornale satirico «Charlie Hebdo», con l’uccisione di 12 persone, compreso il direttore, e di quasi l’intera redazione. Da allora tutti i giornali hanno dedicato, e continuano a dedicare, molte pagine per far capire, da un lato, le ragioni di questo “attentato alla libertà di stampa” e, dall’altro, la reazione del popolo francese (ma non solo) a questo attentato che è stato, quasi sicuramente, diretto contro l’uso della satira. Il giornale «Charlie Hebdo» si era infatti distinto per la sua, talvolta feroce, ironia contro tutti i poteri, sia politici che economici, ma anche religiosi. Ed i due personaggi che hanno commesso l’orrendo crimine sono fondamentalisti islamici, sono stati a combattere in Siria assieme ai gruppi anti governativi, dei quali fanno parte anche i militanti del Califfato Islamico (nota 1) e sembra che costoro abbiano commesso questo orrendo crimine per vendicare qualche vignetta satirica che prendeva Maometto, e l’islamismo in genere, come oggetto di ironia.

Ciò che colpisce di più in questi fatti è l’alleanza che si sta creando tra questi fanatici fondamentalisti mussulmani e un certo numero, non indifferente, di fondamentalisti antislamici che fanno parte della peggiore cultura europea .

Infatti questi sedicenti musulmani, compresi quelli dell’Isis, sembrano conoscere molto poco, e solo superficialmente, il pensiero di Maometto. Durante il periodo di circa tre mesi in cui mia moglie e io siamo stati in Iraq, con i «Volontari di pace in Medio Oriente» – per cercare di evitare quella guerra, non riuscendoci (nota 2) – leggevamo ogni giorno il Corano e vi abbiamo trovato pagine di una profondità, bellezza e apertura che questi fanatici mussulmani sembrano non aver letto né capito.

Dall’altra parte c’è una cultura (o meglio “incultura”) europea, che vede quasi con gioia questi fatti, e anche la crudeltà dei miliziani dell’Isis (che stanno conquistando l’Iraq, che si fanno fotografare, sorridendo, con in mano le teste decapitate di due persone, presumibilmente volontari occidentali): perché è sul crimine di Parigi e su queste crudeltà che basa il suo incitamento alla emarginazione ed alla lotta contro tutti i mussulmani considerati come pericolosi, e violenti, estremisti. E’ tipica di questo fatto la reazione di Marine Le Pen, la capa dell’estremismo di destra francese (che in Francia ha un notevole successo tanto che si parla di lei come possibile vincitrice di future elezioni presidenziali) che dall’occasione di quell’attentato propone di ripristinare la pena di morte.

Che distanze terribili: quella dei fanatici islamisti dal vero pensiero di Maometto, e dal Corano stesso, e tra questi europei come la Le Pen (emulata in Italia da Salvini, della Lega, suo alleato) e la migliore cultura europea come quella di Cesare Beccaria, e del suo «Dei Delitti e delle Pene» (nota 3) che probabilmente sia l’una che l’altro non conoscono affatto!

Di questa alleanza e di questo stretto collegamento reciproco tra fondamentalismi – l’uno ha bisogno dell’altro – è una buona raffigurazione questa barzelletta di una vignettista, Ellekappa (Laura Pellegrini), apparsa su «Repubblica» pochi giorni dopo l’attentato:

 

vignetta

 

E’ certo che l’Europa, con quella sua «Maledetta Civiltà» fustigata e messa all’indice – come vedremo in seguito – con grande acume, da Theodor Lessing, autore del libro tradotto e curato da Isabella Horn, ha grandi colpe per questo imbarbarimento delle culture, anche a livello mondiale, e non è stata certo, sempre, una scuola di civiltà e di apertura. Questo è confermato anche da un affermato storico del cristianesimo, Alberto Melloni, direttore della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna, in suo articolo sul «Corriere della Sera» dell’8 gennaio, a commento di quanto avvenuto a Parigi: «La cultura europea è profondamente segnata dagli orrori di cui si è resa responsabile: si è abbandonata alla violenza religiosa, all’interno e fra le Chiese; ha inventato una macchina di sfruttamento bestiale basata sullo schiavismo e sul colonialismo; ha costruito l’inferno totalitario e il genocidio come soluzione ‘finale’ che non ha avuto pietà di nessuno».

Ma Melloni non si limita a criticare questi aspetti negativi della cultura europea ma mette in luce anche una cultura europea diversa, di diritti umani conquistati, di progresso democratico, di visione pluralistica delluomo e conclude citando, come esempi di questa diversa cultura, due studiosi europei che definisce «filosofi del dialogo»: Abelardo (1079-1142) e Gotthold Ephraim Lessing (1729 – 1781) i quali sostengono che «la verità non è una esclusiva, che il bene deve essere tale per tutti». G. E. Lessing è vissuto assai prima di Theodor Lessing, e in un periodo – lilluminismo – in cui era più facile sostenere posizioni di apertura e di avanguardia.

Di questa cultura europea più aperta e più coraggiosa fa parte sicuramente anche il nostro Lessing che giustamente Isabella Horn (curatrice del libro «Maledetta civiltà») ha definito «filosofo della vita» perché si oppone e contesta in modo molto chiaro quella cultura di morte in cui ci troviamo tuttora, purtroppo, immersi, che vede i Paesi più potenti del mondo, membri del Consiglio di Sicurezza ristretto delle Nazioni Unite, con diritto di veto, e con un potere immenso di deliberare “a favore della pace”, consumare oltre l80% delle risorse mondiali, lasciando agli altri paesi le briciole, e li vede essere costruttori e venditori delle maggiori armi del mondo (anche qui oltre l80%) e perciò interessati più alla guerra che non alla pace. E con il fenomeno della globalizzazione la loro cultura si sta, ahimè, ormai diffondendo in tutto il mondo.

Venendo al libro di Theodor Lessing: il testo non è semplicissimo, con molte citazioni di testi indiani dei Veda, delle Upanishad e di altri importanti testi di quella cultura, e richiede non solo una attentissima lettura, ma anche il continuo richiamarsi alle note, molto accurate, scritte da Isabella Horn, per farcelo comprendere meglio.

Lessing è vissuto nella Germania prima della presa di potere di Hitler (1872-1933) ed è stato ucciso da sicari nazisti proprio nel 1933, anno di quell’ascesa. Ma questa uccisione è stata sicuramente facilitata anche dal fatto che le sue critiche alla società e alla civiltà nella quale era immerso non erano piaciute e non erano accettate dalla borghesia intellettuale di quel Paese che di quella cultura era la roccaforte. E questa cultura, tuttora viva e vegeta, ha anche, fino a tempi recenti, impedito di far conoscere appieno gli scritti di questo autore, che solamente recentemente è stato rivalutato, ristampato e riconosciuto per il proprio valore. I suoi scritti vanno, oltre ai numerosi testi filosofici, nel campo della poesia, della narrativa e anche della satira, di quella satira dal cui attacco mortale a Parigi siamo partiti per queste riflessioni.

Il libretto si compone di più parti: oltre alla bella introduzione della curatrice, il testo del nostro Lessing – «Maledetta civiltà», scritto nel 1921 – e poi il suo «Anteo ed Eracle: ovvero la lotta tra vita e spirito», anche questo dello stesso anno. Seguono le note dell’autore ai due testi prima citati: note molto scarne, soprattutto con citazione di testi. Le note di Isabella Horn sono invece al fondo delle pagine dei due testi di Lessing, per rendere più chiaro il loro significato. C’è poi un capitolo, scritto da Isabella Horn, intitolato «Theodor Lessing, biografia: un antiaccademico troppo scomodo»; segue un altro con le indicazioni delle opere di Lessing ed infine uno sulla bibliografia essenziale .

Siccome Lessing parla spesso di “spirito” in senso molto negativo riguardo alla cultura corrente, è utile farci aiutare dalla curatrice del libro per capire meglio in che senso: «lo “spirito” che sottende le espressioni di quanto l’uomo bianco intende, comunemente, per civiltà enfatizzandone le conquiste scientifiche e tecnologiche, con il conseguente “progresso”, niente ha da spartire con la sacralità immanente del soffio vitale, onnipresente, onnipervadente creatore, lo si chiami pneuma, atman o, in ebraico, rùach […] Lo spirito della “maledetta civiltà” osserva, analizza e scompone, seziona e viviseziona, smembra, classifica, codifica e cataloga, conta e calcola, elabora, manipola, pondera, valuta, confronta, soppesa i pro e i contro, i rischi e i benefici. Soprattutto giudica, vuole e decide, in virtù di una conoscenza vuota di sapienza, ma piena di sé in quanto derivante da un sapere puramente strumentale. Sapere che legittima il fine ultimo e unico di questo “spirito” […] il dominio incontrastato sulla vita e sulla natura ridotte a materia inanimata, oggetto di rapina, sopruso e sfruttamento di profitto e di lucro» (pagg. 6-7).

Anche per capire meglio il significato del titolo del saggio di Lessing riprodotto in questo libro – «Maledetta civiltà» – ci è di aiuto Isabella, parlando del giudizio dell’autore su questa cosiddetta civiltà: «Per Lessing – il successo, il progresso, il patrimonio e il possesso di beni materiali occupano i primi gradini, magari con l’aggiunta del matrimonio istituzionale e della “sacra famiglia”» (pag. 8). In questa cultura – aggiunge la Horn – l’essere umano, rinchiuso nel suo meschino individualismo «non sa né vuole comunicare, perché concentrato esclusivamente su se stesso… Congelato, irrigidito nella corazza delle prepotenti leggi dello spirito, è incapace di dare e ricevere calore, incapace di vera gioia e dolore vero, incapace di amare oltre la barriera dell’ego, incapace di partecipazione» (pag. 9).

E – continua Isabella Horn – sempre per spiegare il perché della “maledetta civiltà”: «Volontà, disciplina, operosità, ragione, radioso futuro all’insegna del progresso – questi numi tutelari della civiltà occidentale – fanno anche da funesti padrini al mostro della guerra e a quanto questa comporti di morte e distruzione , di fame e miseria, di menzogne e guadagni lordi di sangue» (pag. 11). Continua la Horn: «Antimilitarista e pacifista convinto, Lessing dimostra, cifre alla mano, il costo impressionante della Prima guerra mondiale in vite umane e in risorse economiche … E mentre a seguito della follia bellica, decisa e capitanata dai campioni di uno spirito beffardamente spacciato per cristiano, l’Europa è ridotta a un cumulo di macerie, le madri e i bambini muoiono di stenti e si ricorre alla “truffa della moneta cartacea” – come profeticamente la definisce Lessing – gli speculatori si fregano le mani e ingrassano a furia di macchinazioni losche e impunite, se non addirittura applaudite, invidiate e seguite come esempi dell’ingegnosità di menti spregiudicate, al passo con i tempi» (ibidem).

Benché io abbia citato più la Horn che lo stesso Lessing, prima di presentare – nella conclusione di questo scritto – alcune “perle” del pensiero di questo autore, mi permetterò di citarla ancora, nella parte finale della sua bella introduzione, che serve a capire come Lessing vede il futuro: «Non si tratta – scrive Isabella Horn – per lui di estirpare lo spirito, ma di guarirne la patologia del delirio d’onnipotenza. Allo stesso modo, la civiltà non va liquidata, ma rifondata dopo un “mutamento dei cuori”» (pag. 15). E ancora: «Si tratta di “inventare” un futuro con l’apporto di una ritrovata memoria dell’antica comunanza con la Terra e i suoi abitanti, all’insegna di un rinnovato rispetto per questa nostra madre dimenticata e maltrattata – o non ci sarà un domani vivibile e perciò auspicabile. Solo sulla base di un nuovo codice, d’un nuovo patto di amicizia con il pianeta, saremo – forse – in grado di costruire una civiltà di pace, empatica, giusta e solidale, da consegnare alle generazioni future» (pagg. 17-18).

Passando ora alle perle di Lessing – ma ce ne sarebbero tante altre da citare che quelli che leggeranno il libro saranno in grado di trovare da soli – la prima, secondo me, è questa: «Dappertutto la civiltà accumula molto di più di quanto l’uomo possa smaltire. Secondo la scienza dell’alimentazione, le proteine ed i carboidrati, inutilizzati e inutilmente stipati nei corpi ipernutriti degli avventori di un solo ristorante di lusso parigino o londinese potrebbero alimentare centinaia delle persone che, stremate e moribonde, stanno infreddolite sotto le finestre dell’economia dello spreco» («Maledetta civiltà», pag. 41).

Ecco una seconda perla, non scritta dall’autore in modo così come citato, ma all’interno di altri discorsi che, per rendere più chiaro il significato, ho preferito tralasciare: «Dov’è finita l’anima? E’ stata rimpiazzata dalla volontà! Dov’è finita la comunità? E’ stata sostituita dalla società! Dalla società intesa come un insieme, con l’obbiettivo dell’interesse comune, di atomi sociali esprimibili in cifre e chiamati persone o individui. […] Dove la comunità è viva, là non esiste Io e non esiste Tu […] La natura non conosce Io né Stati, ma solo la forza procreatrice mirante alla conservazione della specie e delle sue infinite manifestazioni […] Nessun amore ci unisce ma solo interessi e scopi: c’è soltanto la competizione tra le nostre cosiddette libere personalità […] persino l’amore, in cui svaniscono i confini e si annulla l’oscuro despota dell’Io, si è ridotto al margine del più autoreferenziale e sfrenato egotismo» (ibidem, pagg.48-49).

Un’altra: «Noi non siamo questa civiltà: le siamo asserviti. Essa non è la rivelazione di una vita, ma l’opera forzata di una volontà. Siamo gli schiavi di tutti i suoi beni e valori: verità, diritto, patria, Stato, famiglia, matrimonio, umanità. Al servizio di tutti questi poteri ideali, la vita reale è diventata un realissimo inferno. […] Vogliamo la guerra? Vogliamo la rivoluzione? Verranno entrambe, lo si voglia o no. La macchina è sfuggita al nostro controllo. E la medesima coazione che ieri spingeva l’Occidente alle guerre degli Stati militaristi e nazionalisti, domani ci manderà, a frustate, nelle battaglie disperate ed affannose di un proletariato mondiale in continuo aumento e senza la minima speranza. Esiste un solo punto a partire dal quale il mondo tramandatoci ha la certezza di un continuo ringiovanimento e rinnovamento: l’anima vivente, nella sua irripetibile singolarità. Si dovrà cambiare strada e cominciare dall’amore!» (ibidem, pagg. 66-67).

L’ultima citazione: «L’orrido inferno di due millenni è alle nostre spalle. Ma se questo mare di sangue, di sudore, di lacrime non è stato versato perché sorga un mondo migliore di giustizia, di bontà e di fratellanza, allora la terra è matura per la morte e merita di morire. Ed è senz’altro così, se l’uomo della civiltà cristiano-occidentale non impara a comprendere come le ferite che lui pensa di sanare con la sua civiltà , proprio da questa stessa sono inflitte. Solo tale conoscenza darà pace all’ebreo errante, allo “spirito”, al “figlio dell’uomo”» («Anteo e Eracle», pag. 103).

Ma prima di concludere definitivamente questa recensione mi permetterò una nuova digressione, riguardo a quella cultura indiana alla quale si richiama Lessing come esempio di una cultura “altra”, non basata sul potere e sul denaro, ma su valori reali come la solidarietà, la semplicità e lamore, e cioè quella cultura dalla quale trae origine anche Gandhi. Vorrei raccontarvi una barzelletta che proprio da questi ambienti proviene. Ce lha raccontata infatti – in un seminario alla «Casa per la Pace» di San Gimignano (gestita dalla mia famiglia) e dove, per una dozzina di anni abbiamo portato avanti training sulla nonviolenza – Narayan Desai, il figlio di Mahadev Desai, segretario di Gandhi dagli anni 1917 al 1942, morto mentre era in prigione con Gandhi a causa delle loro comuni lotte, contro gli inglesi, per lindipendenza dellIndia. Mahadev, con la sua famiglia, viveva negli stessi ashram fondati da Gandhi (prima quello di Ahmedabad, poi in Sevagram-Wardha) tanto che suo figlio Narayan è stato allevato anche dallo stesso Gandhi, e tra le altre cose ha scritto, oltre una delle più importanti biografie su Gandhi (nota 4) anche un bel libretto su come sia stato importante, per lui, essere educato anche dallo stesso Gandhi (nota 5).

Ecco la barzelletta: «Due indiani ubriachi entrano in un tempio dalle porte laterali opposte e vengono a trovarsi ai due lati della statua della divinità che sono andati a pregare. Il primo si inchina e si rivolge alla statua chiamandola “dea”; il secondo, invece, inchinandosi la chiama “dio”. Fra i due si sviluppa una lite su chi abbia ragione e ambedue si accusano a vicenda di essere ubriachi. Ma dopo aver lottato fra di loro ed essere alla fine rotolati dalla parte opposta della statua, rispetto a quella iniziale, si accorgono che avevano ragione tutti e due: questa per metà era una figura maschile e per l’altra metà una figura femminile». Nello spiegarci il significato di questa storiella Narayan Desai ci diceva che la nonviolenza inizia quando ci rendiamo conto di non possedere mai la verità assoluta ma solo una parte di essa e che perciò la “verità” va cercata insieme con gli altri, anche e forse soprattutto con quelli diversi da noi. Ed effettivamente il maestro di Narayan, Gandhi, pur restando fedele alla sua fede originaria, l’induismo, conosceva e apprezzava anche le altre religioni, come, a esempio, il cristianesimo, e cercava gli elementi comuni tra tutte le diverse forme di credenza, e non quelli che le dividevano.

Edi un tipo di cultura di questo genere che anche lEuropa e sicuramente tutto il mondo hanno un estremo bisogno, la sola cultura che può permettere di superare episodi tipo quello avvenuto a Parigi e dal quale siamo partiti per questa recensione.

(Firenze, 7 febbraio 2015).

Theodor Lessing

«Maledetta civiltà»

Stampa Alternativa, Viterbo, 2014

NOTE

1 – Questi vogliono arrivare alla costituzione di un unico grande “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (Isis) che essi chiamano Califfato Islamico.

2 – Si veda, su questo, il mio «L’Arte della Pace», Centro Gandhi Edizioni, Pisa, 2014: pagg. 16-20.

3 – Newton Compton, Roma, 2012.

4 – Il libro, in 4 volumi, è inserito in una collana di studi su Gandhi, intitolata: «My life is my message», e nella traduzione inglese, è stato pubblicato dalla casa editrice Orient Blackswan, Hyderabad, 2009.

5 – «Bliss was it to be young with Gandhi», Bharatiya Vidya Bhavan, Bombay, English edition, 1988.

 

Redazione
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Un commento

  • Daniele Barbieri

    Bella la “barzelletta” di Narayan Desai.
    Una lettura ottimista ci induce a credere che – nonostante l’ubriachezza – i due vedendo che c’è anche un’altra verità diverranno meno fanatici. Se gli occhi servono per vedere e la mente per pensare…
    Ma una lettura pessimista ci fa temere che i due, scambiandosi di ruolo e vedendo dunque “cosa c’è dietro”, dimenticheranno l’esperienza precedente e rimarranno fanatici… ma a ruoli invertiti. Tanti voltagabbana che conosciamo possono rotolare di qua e di là, permanentemente ubriachi: quel che vedono e/o ricordano non serve, conta la loro voglia di litigare più dell’esperienza.
    Qui comunque non perdiamo la fiducia. Grazie ad Alberto (e benvenuto in “bottega”) per questa bella recensione-riflessione.

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